Io e il Coronavirus. Tra Barcellona e Treviso

Pt. 1

13 / 6 / 2020

Nelle principali lingue africane la parola povero non esiste. Non esiste perché quando una persona è povera, non è. Non è e basta. Qualcuno è povero quando non ha più niente, niente da dare e niente da ricevere. Vale a dire quando non ha più una rete sociale. Quandola condivisione diventa impossibile, e tu diventi un invisibile.

Un solo al mondo, che da solo non ce la fa.

Perché da soli, non ce la si fa.

Ma non ci era stato insegnato il contrario?

L’indipendenza che tanto inseguiamo però, non esiste. Siamo esseri sociali: e ora sappiamo tutti anche molto bene quanto l’isolamento sia una delle più grandi pene. In questo strano momento, ci siamo forse resi conto dell’importanza del condividere e della bellezza che c’è nella necessità di dipendere?

Tutti dipendiamo, gli uni dagli altri. E questo è molto bello. È molto bello essere legati, essere una catena, un gruppo, una società, un’unità. Essere un umano.

          Mi chiedo: quando passerà tutto questo, avrò ancora questa stupenda consapevolezza?

ozio

                                              IO NON OZIO

Spesso la mattina scrivo la mia lista delle cose da fare, che non sono davvero da fare o meglio lo erano un mese fa, ma ora non più. Ora me le invento,mi creo delle urgenze, delle necessità con scadenza. Mi creo dei bisogni per andare a letto serena, con la coscienza pulita che il mio, nel mondo, l’ho fatto anche oggi. Ma la lista non finisce mai, per fortuna.Non riesco mai a spuntarle tutte, me ne vengono sempre in mente di nuove. Altrimenti avrei del tempo libero, tempo per girarmi i pollici, tempo da dedicare al dolce far nulla. Ma non sono più capace di fare il nulla. Devo fare qualcosa. Devo sfruttarlo il mio tempo. Altrimenti questa lunga quarantena non ha fatto altro che rubarmi il tempo. Il mio prezioso tempo. Tempo durante il quale avrei fatto,avrei prodotto.

                                Prodotto, prodotto, prodotto.

In quarantena ho scoperto di non saper oziare.

Che cos’è l’ozio? Cosa vuol dire oziare? Noi oziamo?

                                                Io no.

Oziare non è dedicarmi a cose che mi piacciono, oziare non è neanche l’ora di relax davanti alla tv, non è la ricarica e non è la ricompensa. Oziare non è l’annuale e programmato premio che mi è concesso dopo un duro anno di produttivo lavoro; l’ozio non è la vacanza. Oziare è l’immeritato e consapevole far nulla. Vorrei imparare a riappropriarmi del mio tempo come libero dal dover fare, ridargli il vero prezzo: nessuno. Vorrei non essere io stessa un prodotto capitalista che ragiona in termini di produttività. Vorrei invece poter andare a letto senza sensi di colpa o “avrei dovuto”dietro le spalle anche dopo una giornata in cui HO FATTO NULLA.

                              Nel nulla c’è il tutto, c’è il senso.

                              Per me nel nulla c’è il sole.

IL QUI E L'ORA

ora

Si perde il contatto con la realtà, quella fuori dalle mura di casa. 

…Testa dentro, che lì fuori è un brutto mondo…

Mi sento in una bolla, satinata, appannata, intontita, opaca, come quando guardi la tv per troppo tempo. Il tempo e lo spazio li percepisco diversamente. Lo spazio si restringe, le distanze si allungano. Il tempo è strano, all’improvviso ne abbiamo tanto e a volte non sappiamo cosa farcene e ci annoiamo. Altre volte continua non essendo abbastanza, eppure lo è. Siamo sempre reperibili perché le scuse per non accettare una chiamata si sono ridotte, in proporzione inversa alla preoccupazione che nasce da una non risposta. La rete sociale ti riporta alla realtà, quella fuori dalle mura di casa.Ti tiene in equilibrio, ti tiene attaccato alla vita, ti tiene vivo, vivo, vivo.

                                                                            Vivo o sopravvivo?

Rispondo. È mia mamma, dall’Italia. Ormai mi videochiama ogni giorno.

Mi racconta, con tono scioccato che stavamo arrivando a dover scegliere chi poteva vivere e chi morire. Assurdo, spietato, inconcepibile.

O no? Penso, non è forse sempre stato così?

Chi se lo merita di più, chi ha più possibilità di farcela, chi è più potente, chi è più giovane, chi è più ricco, chi è più fortunato vive, vive, vive. Vive o sopravvive? Gli altri muoiono, ma non subito. Sono lontani, la mia azione non ha un effetto diretto, immediato o vicino. C’è una percezione diversa della mia responsabilità. Un po’ come l’effetto farfalla. Il legame che unisce Causa con Effetto è attutito nel sostrato di violenza strutturale in cui siamo immersi. In una diversa percezione spazio-temporale, l’azione singola si deresponsabilizza nella catena.

Fare la quarantena come atto di responsabilità collettiva verso chi, qui ed ora, è a rischio? O non fare la quarantena come atto di protesta verso chi, non solo qui ed ora, è a rischio?

Penso alla povertà, all’emarginazione, penso a chi vive di economia informale, penso a chi una casa per fare la quarantena non ce l’ha. Fare la quarantena è un diritto o un privilegio? Di certo è un obbligo.