Interposizione umanitaria e diritti negati nel paradigma della guerra moderna

Documento di approfondimento verso la manifestazione contro la guerra dell'11 giugno, verso la giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno.

7 / 6 / 2010

La guerra moderna colpisce prevalentemente le popolazioni civili e nel suo non dichiararsi mai ufficialmente crea situazioni di belligeranza asimmetrica: in genere da una parte eserciti tecnologicamente super avanzati e dall'altra intere popolazioni condannate e definite terroriste nella sintesi dei media globali. Esempio tra tutti l'immaginario creato ad hoc per giustificare occupazioni, assedi e genocidio nei confronti della popolazione afghana e di quella di Gaza. Quei popoli, quelle persone, altro non sono che terroristi e per ciò è legittima l'operazione piombo fuso del dicembre 2008 e il blocco marittimo e terrestre alla striscia di Gaza che dura ormai da quattro anni come è legittimo pensare al popolo afghano intero come ad un indefinito nemico talebano con la barba lunga ed un bazooka rpg in spalla. Questa non ufficialità della dichiarazione di guerra ha creato di conseguenza una particolare predisposizione di alcuni governi occidentali all'uso di prassi non conformi per gestire problematiche interne ed esterne, veri e propri stati d'eccezione.. La guerra non solo colpisce e distrugge aree di interesse come è ad esempio il medioriente ma entra nelle nostre società e quindi nelle nostre vite. Il duro trattamento a profughi e rifugiati riservato da molti paesi mediterranei compresa l'Italia e le politiche dei respingimenti adottato dal governo italiano danno una idea ben chiara di come sia la filosofia della guerra ad ispirare i governanti. L' Italia e l'Europa  mostrano benissimo come la filosofia di guerra ed il suo portato di stato d'eccezione permanente porti ad un degrado complessivo dei cardini su cui si dovrebbe fondare una democrazia; sotto la lente i diritti negati di richiedenti asilo e migranti nell'epoca dei respingimenti ma anche la sostanziale impunità goduta da forze militari e di polizia italiane spesso autrici di abusi violenti come denunciato dall'ultimo rapporto Amnesty. Lo smantellamento del diritto d'informazione italiano, operato a suon di leggi e pressioni informali del potere contro il giornalismo indipendente segna l'ingresso in una nuova era in cui zittire voci critiche non è più un eccezione russa o nordafricana ma è la normalità. Un quadro che allargato mostra  nelle tinte più fosche come il riallineamento degli assi di potere mondiale, contemporaneo al declino del primato nord-americano, permetta l'ulteriore surriscaldarsi di teatri storicamente caldi come il medioriente. In questo contesto  la questione israelo/palestinese rimane ignobilmente il terreno di baratto tra i governi arabi (Egitto in primis), Israele, gli Stati Uniti -ancora alle prese con la guerra infinita in Iraq ed Afghanistan- e le nuove potenze emergenti come l' Iran ed il Brasile. L'entrata in gioco del governo turco, ora più vicino ai paesi arabi, non deve essere letto come indice di una nuova coalizione in grado di risolvere il caso palestinese, ma come un ulteriore complicarsi della questione per chi, come noi, vede la guerra come dramma umanitario e non come possibile mezzo di futuro equilibrio. Ricordiamo che anche il governo di Ankara è alle prese da decenni con il tentativo di annullamento militare di un popolo come quello Kurdo; ci stupisce quindi la dimenticanza di chi nelle manifestazioni delle ultime settimane ha sventolato il vessillo turco come panacea per la liberazione della Palestina.

In questa complicanza internazionale essere attori umanitari contro la guerra risulta difficilissimo perchè si rischia di essere sacrificati per giochi ben più subdoli, ne è la prova il braccio di ferro tra Ankara e Tel Aviv pagato a caro prezzo dagli attivisti della Freedom Flotilla; Gaza e l'isolamento ad Hamas in questo caso pare siano passati in secondo piano. In questo senso possiamo leggere il sequestro di aprile degli operatori di Emergency come un messaggio a tutti gli attori non armati attivi nel contesto afghano ad astenersi dal ruolo scomodo di testimoni, ruolo importantissimo per noi italiani che privi di ogni tipo di informazione non ci facciamo “bastare” la retorica della missione di pace dei buoni soldati italiani di Herat. Pensiamo che il ruolo di Emergency in Afghanistan ed in altri paesi in guerra e l'azione degli attivisti della Freedom Flotilla siano da incoraggiare e sostenere scendendo in piazza come è stato fatto.

Non accettiamo che un milione e mezzo di persone continuino a vivere nel carcere a cielo aperto più grande del mondo, la striscia di Gaza. Esigiamo, insieme a tante organizzazioni umanitarie, la revoca del blocco terrestre e marittimo imposto da Israele e dal governo egiziano di Mubarak.

Pensiamo che il triste avvicinarsi di prospettive di guerra sempre più invadenti e distruttive non siano il naturale sbocco della crisi economica provocata dal capitale finanziario. Anzi pensiamo che il ritiro delle truppe dall' Afghanistan e la conversione delle risorse monetarie pubbliche dal militare al civile sia da auspicarsi a maggior ragione quando queste raggiungono cifre stimate in 33,1 miliardi l’anno collocando l' Italia nel 2007 all' ottavo posto mondiale nella classifica dei paesi più militarizzati (rapporto SIPRI 2008). Cifra che sarebbe utilizzata per implementare misure di protezione sociale per tutti coloro che non raggiungono da troppo tempo un livello di reddito sufficiente e dignitoso.

Questa giornata è inoltre un avvicinamento alla mobilitazione del 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato. La guerra oltre al suo aspetto distruttivo produce flussi enormi di esseri umani in fuga che devono trovare in paesi come il nostro accoglienza ed aiuto. Aderiamo alla campagna Welcome, campagna che sfocerà nelle mobilitazioni del 20 giugno nei porti di Venezia, Ancona, Bari ed in quelli greci di Patrasso e Igoumenitsa. Dai porti di Venezia, Ancona, Bari e Brindisi, la polizia di frontiera respinge ogni anno migliaia di profughi afghani, curdi, somali, eritrei, sudanesi, palestinesi, che cercano, nascondendosi dentro o sotto i tir in partenza dai porti di Igoumenitsa e di Patrasso, di fuggire dalla Grecia, paese dove l’asilo non esiste (0,03% delle richieste accolte) e che riserva ai migranti un trattamento paragonabile a quello libico. L’Italia ne ha respinti 3.148 nel solo 2009. Tra di loro moltissimi minorenni e bambini ora rinchiusi nelle carceri greche o rimandati in Turchia e da lì, molto spesso, nei loro paesi d’origine in mezzo alla guerra.

Emergency gruppo di Reggio Emilia,

ass. Città Migrante,

ass. Ya Basta R.E.,

Laboratorio aq16,

Pollicino Gnus,

Montagna Antifascista

leggi l'appello della manifestazione contro la guerra dell' 11 giugno a Reggio Emilia