Insolvenza? Handle with care

di GMDP

19 / 11 / 2011

La tradizione di tutte le generazioni passate pesa come un incubo sul cervello dei vivi (karl marx)

La fiducia al governo Monti inaugura una nuova fase nella gestione della crisi da parte capitalistica; a tratti pare di vedere emergere un tentativo di gestione governamentale - non tecnica- che prova a ricollocare il comando oltre la feroce dittatura della finanza così come abbiamo visto negli ultimi 24 mesi provando a tessere la fila del consenso parlamentare su di un piano di riforma generale del paese. Una gestione non migliore, ma diversa ed in progress.

Vogliamo qua fare un brevissimo appunto sul rischi derivati dall'elegia dell'insolvenza, che può diventare una maschera di Bali e limitare lo sviluppo della critica politica adeguata alla fase.

Quando ragioniamo intorno al tema del debito conviene separare quello familiare da quello sovrano. Nel primo si definisce, in un rapporto storicamente determinato, una composizione del salario in cui la parte “fissa, rigida ed indipendente” è, statisticamente, sempre più limitata in ragione della quotaparte variabile e della sua finanziarizzazione.

Questa seconda parte è quella che innerva il corpo proletario di mutui, leasing, anticipi fattura, fidi, cessioni del quinto, prestiti a breve e via complicando.

La battaglia per la riduzione dei TAEG- magari per lo sganciamento dall'Euribor in ragione di una tasso "poiltico"- e, soprattutto, della radicale agevolazione al credito senza garanzia mobiliare ed immobiliare è un'oggettiva battaglia salariale di nuova generazione come lo fu, osiamo il paragone, la battaglia per l'indicizzazione del salario all'inflazione.

Non pagare le rate del mutuo e sospendere le penali di ogni debito a breve è cosa buona e giusta, anche alla luce della forma lavoro contemporanea che si definisce ibrida nel piano cartesiano che va dalle partite iva e microimprese alla falsa subordinazione.

Altra cosa è il debito sovrano. Esso ha una composizione politica molto complessa e che non va banalizzata. Nel pancia del cumulato dei buoni del tesoro pluiriennali ci sono decine di miliardi di crediti da lavoro dipendente che storicamente hanno investito nella forma di investimento più pop, meno speculativa e con le minori barriere d'entrata.

Dall'altra parte, la non solvibilità macroeconomica non determina lo sbocco sul terreno dell'appropriazione della ricchezza non distribuita, ma un'immediata maggiore povertà soprattutto verso i milioni di lavoratori dipendenti.

E su un piano generale l'uscita dell'Italia da Euroland con il ritorno alla lira -o al talento, al fiorino, al sesterzio, al baratto, ect.

Insomma, c'è debito e debito. E forse dobbiamo cominciare a dire con forza che nella nuova fase della crisi -quella che mette sotto scacco il cuore dell'Europa con l'attacco speculativo alla Francia- dobbiamo parlare di piano europeo dei conflitti, di ricerca del comune politico europeo, di assunzione fino in fondo che il territorio deve essere una catapulta per la generalità del progetto. E non un ghetto in cui battere la moneta insolvente ed inflattiva nel mezzo di una crisi epocale, globale e dalla lunga durata nella quale tutte le isole imperiali sono in gioco, dalla Cina agli Stati Uniti, dal Giappone all'Italia appunto.

A chi parta di elegia dell'insolvenza e della povertà -con accenti catari ed augurandola sempre agli altri e mai a sé stessi, al contrario di ciò che fece San Francesco- contrappongo la ricchezza del possibile e l'Europa dei movimenti.