Potrebbe tranquillamente
trattarsi di un bel film, una brutta storia, dall'intreccio cupo e
dal finale a sorpresa, e forse per renderlo meno amaro della realtà
è più semplice figurarlo in questo modo, con il distacco di chi lo
vede attraverso la quarta parete di un palco, o sullo schermo bianco
di un cinema.
E' una storia moderna,
ambientata a Reggio Emilia: tra la piazza del comune e quelle della
provincia. Si svolge dentro i palazzi, attorno ad essi e fuori nelle
strade, nelle bettole e nei cantieri.
Raccogliendo i fotogrammi
e le immagini di questa storia, immaginiamo prodotte da una vecchia
polaroid, noteremmo le grandi “X” rosse appese ai palazzi dei
comuni e della provincia: la protesta che gli enti pubblici hanno
messo in atto contro i tagli ai finanziamenti, previsti dalla manovra
finanziaria 2011/2012. La protesta legittima, di chi nei giorni
precedenti, tra una commemorazione e l'altra, un nastro, un comizio,
sembrava voler recuperare una sorta di “identità municipale” ,
attraverso la memoria di storie più vecchie, con i loro caduti e i
loro eroi, dipinte in tele forse un po' naif, con una buona dose di
retorica.
Queste grandi X rosse
appese al municipio e al palazzo della provincia, centrali nello
sviluppo di questa strana storia, rivolte al governo e al tassello
centrale di questo immenso mosaico, sembrano voler dire «consegno a
te la responsabilità di tutto. Insieme a te non ci sto più».
C'è una protesta, contro
le politiche istituzionali basate sulla centralità del mercato, sul
denaro e sulle relazioni di consumo, tutte inevitabilmente in crisi.
Un rapporto che si spezza all'interno, nelle relazioni tra il centro
e la periferia, un rapporto di scambio, tra la testa e i suoi arti,
lo stato centrale e le sue diramazioni, province e comuni. Un
rapporto diretto che si fa teso.
La linea di continuità
che scrive e detta le regole del gioco è determinata dai codici
della finanza, dagli scambi, dall'Economia con la “e” maiuscola,
da meccanismi astratti, e soggetti distratti, da processi
disumanizzati e dispositivi inumani.
E' una storia di
mercificazione delle relazioni, delle risorse materiali e
immateriali, di speculazione e profitti. E' una storia liberista, con
le sue regole selvagge.
Quello che non viene
fotografato, che non si vede stampato sulla pellicola, se non forse
in alcuni negativi buttati via, sono i retroscena di questo racconto
che ritornano come flash back inseriti da un qualche operatore
incazzato che questo film l'ha visto e girato.
Ogni bel discorso, ogni
sorriso, ogni nastro tagliato ha il suo negativo, il suo scarto: dove
il sindaco sorride ed invita i giovani alla lotta, c'è un'ordinanza
vieta cortei emanata dallo stesso, rispedita al mittente attraverso
una buona dose di determinazione regalata e manganellate ricevute.
Oppure ad un discorso e una cerimonia sulla legalità contro le
mafie, corrispondono le immagini e le storie di sfruttamento nei
cantieri, appalti e speculazione, accordi e strette di mano in Libia.
Nei retroscena c'è
anche una casa cantoniera, di proprietà della provincia, che come
altre case cantoniere verrà venduta all'asta. Questa casa nel corso
di un anno di occupazione è stata attraversata da diversi soggetti
ed associazioni cittadine, che si occupano della difesa dei beni
comuni, che hanno utilizzato lo spazio come ritrovo e come sede per
l’organizzazione di eventi, come laboratorio di critica delle
politiche territoriali, urbanistiche e abitative. Soggetti che hanno
restituito alla cittadinanza un pezzo di patrimonio pubblico
abbandonato, per renderlo comune. Un progetto che ha visto la
realizzazione di uno sportello per il diritto all'abitare, un orto
sociale, e un'abitazione d'emergenza per donne in difficoltà.
C'è in questi scarti
d'immagine un patrimonio pubblico svenduto, scambiato con qualcosa
d'altro, inserito all'interno d'un bilancio attraverso
categorizzazioni e voci generiche, abbandonato e riconvertito in
liquidi, consegnato ad un qualche soggetto privato, eventualmente
cannibalizzato e sciacallato.
In questi spettri di luce
recuperati un po' in disordine, inseriti clandestinamente nel
racconto di una città virtuosa, spogliata della possibilità di
adempiere efficacemente alle proprie mansioni istituzionali di cura
dei bisogni cittadini, emergono tutte le contraddizioni che albergano
dietro la sagoma di cartone che viene ostinatamente esposta
all'esterno dei suoi confini, fatta di vele bianche, luci tricolori,
spot, commemorazioni e cerimonie.
Emerge l'ipocrisia di
un'amministrazione che limitandosi ad addurre la colpa ai tagli dei
finanziamenti pubblici, cerca di smarcarsi dalle proprie reali
responsabilità di complicità nei confronti di determinate politiche
economiche che si fanno sociali. Una serie di scelte che ben si
delineano all'interno dei dispositivi di cui questa finanziaria è
figlia.
E' difficile non cogliere
la deliberata cecità, ed una certa ostinata arroganza, con la quale
vengono ignorate esperienze di costruzione alternativa, di cui Casa
Bettola è un esempio concreto in città, tese ad una partecipazione
diretta ai cambiamenti e alle scelte che interessano il territorio,
gli individui e i soggetti protagonisti di certi cambiamenti.
Si tratta di esperienze
che rifiutando, attraverso la propria critica, le dinamiche liberiste
che connotano le amministrazioni di tutte le città, esercitano ed
esprimono un nuovo approccio alla capacità di essere ed esistere,
che si smarcano dalle incombenze generate dalla crisi, cercano e
sviluppano nuove soluzioni.
Questi spettri di luce
recuperati un po' in disordine, scartati, strappati, tagliati,
buttati via, raccontano una storia. Disegnano un altro finale, tutto
da ricomporre, rimontare e riproiettare.
Raccontano una storia se
non del tutto giusta, quasi per nulla sbagliata.
Reggio Emilia: ipocrisie di una protesta, contraddizioni di una città
Insieme a te non ci sto più
Una storia di tessuti rossi, intrallazzi, proteste e ipocrisie. Di Francesco Paone
15 / 7 / 2010