Reggio Emilia: ipocrisie di una protesta, contraddizioni di una città

Insieme a te non ci sto più

Una storia di tessuti rossi, intrallazzi, proteste e ipocrisie. Di Francesco Paone

15 / 7 / 2010

Potrebbe tranquillamente trattarsi di un bel film, una brutta storia, dall'intreccio cupo e dal finale a sorpresa, e forse per renderlo meno amaro della realtà è più semplice figurarlo in questo modo, con il distacco di chi lo vede attraverso la quarta parete di un palco, o sullo schermo bianco di un cinema.
E' una storia moderna, ambientata a Reggio Emilia: tra la piazza del comune e quelle della provincia. Si svolge dentro i palazzi, attorno ad essi e fuori nelle strade, nelle bettole e nei cantieri.
Raccogliendo i fotogrammi e le immagini di questa storia, immaginiamo prodotte da una vecchia polaroid, noteremmo le grandi “X” rosse appese ai palazzi dei comuni e della provincia: la protesta che gli enti pubblici hanno messo in atto contro i tagli ai finanziamenti, previsti dalla manovra finanziaria 2011/2012. La protesta legittima, di chi nei giorni precedenti, tra una commemorazione e l'altra, un nastro, un comizio, sembrava voler recuperare una sorta di “identità municipale” , attraverso la memoria di storie più vecchie, con i loro caduti e i loro eroi, dipinte in tele forse un po' naif, con una buona dose di retorica.
Queste grandi X rosse appese al municipio e al palazzo della provincia, centrali nello sviluppo di questa strana storia, rivolte al governo e al tassello centrale di questo immenso mosaico, sembrano voler dire «consegno a te la responsabilità di tutto. Insieme a te non ci sto più».
C'è una protesta, contro le politiche istituzionali basate sulla centralità del mercato, sul denaro e sulle relazioni di consumo, tutte inevitabilmente in crisi. Un rapporto che si spezza all'interno, nelle relazioni tra il centro e la periferia, un rapporto di scambio, tra la testa e i suoi arti, lo stato centrale e le sue diramazioni, province e comuni. Un rapporto diretto che si fa teso.
La linea di continuità che scrive e detta le regole del gioco è determinata dai codici della finanza, dagli scambi, dall'Economia con la “e” maiuscola, da meccanismi astratti, e soggetti distratti, da processi disumanizzati e dispositivi inumani.
E' una storia di mercificazione delle relazioni, delle risorse materiali e immateriali, di speculazione e profitti. E' una storia liberista, con le sue regole selvagge.
Quello che non viene fotografato, che non si vede stampato sulla pellicola, se non forse in alcuni negativi buttati via, sono i retroscena di questo racconto che ritornano come flash back inseriti da un qualche operatore incazzato che questo film l'ha visto e girato.
Ogni bel discorso, ogni sorriso, ogni nastro tagliato ha il suo negativo, il suo scarto: dove il sindaco sorride ed invita i giovani alla lotta, c'è un'ordinanza vieta cortei emanata dallo stesso, rispedita al mittente attraverso una buona dose di determinazione regalata e manganellate ricevute. Oppure ad un discorso e una cerimonia sulla legalità contro le mafie, corrispondono le immagini e le storie di sfruttamento nei cantieri, appalti e speculazione, accordi e strette di mano in Libia.
Nei retroscena c'è anche una casa cantoniera, di proprietà della provincia, che come altre case cantoniere verrà venduta all'asta. Questa casa nel corso di un anno di occupazione è stata attraversata da diversi soggetti ed associazioni cittadine, che si occupano della difesa dei beni comuni, che hanno utilizzato lo spazio come ritrovo e come sede per l’organizzazione di eventi, come laboratorio di critica delle politiche territoriali, urbanistiche e abitative. Soggetti che hanno restituito alla cittadinanza un pezzo di patrimonio pubblico abbandonato, per renderlo comune. Un progetto che ha visto la realizzazione di uno sportello per il diritto all'abitare, un orto sociale, e un'abitazione d'emergenza per donne in difficoltà.
C'è in questi scarti d'immagine un patrimonio pubblico svenduto, scambiato con qualcosa d'altro, inserito all'interno d'un bilancio attraverso categorizzazioni e voci generiche, abbandonato e riconvertito in liquidi, consegnato ad un qualche soggetto privato, eventualmente cannibalizzato e sciacallato.
In questi spettri di luce recuperati un po' in disordine, inseriti clandestinamente nel racconto di una città virtuosa, spogliata della possibilità di adempiere efficacemente alle proprie mansioni istituzionali di cura dei bisogni cittadini, emergono tutte le contraddizioni che albergano dietro la sagoma di cartone che viene ostinatamente esposta all'esterno dei suoi confini, fatta di vele bianche, luci tricolori, spot, commemorazioni e cerimonie.
Emerge l'ipocrisia di un'amministrazione che limitandosi ad addurre la colpa ai tagli dei finanziamenti pubblici, cerca di smarcarsi dalle proprie reali responsabilità di complicità nei confronti di determinate politiche economiche che si fanno sociali. Una serie di scelte che ben si delineano all'interno dei dispositivi di cui questa finanziaria è figlia.
E' difficile non cogliere la deliberata cecità, ed una certa ostinata arroganza, con la quale vengono ignorate esperienze di costruzione alternativa, di cui Casa Bettola è un esempio concreto in città, tese ad una partecipazione diretta ai cambiamenti e alle scelte che interessano il territorio, gli individui e i soggetti protagonisti di certi cambiamenti.
Si tratta di esperienze che rifiutando, attraverso la propria critica, le dinamiche liberiste che connotano le amministrazioni di tutte le città, esercitano ed esprimono un nuovo approccio alla capacità di essere ed esistere, che si smarcano dalle incombenze generate dalla crisi, cercano e sviluppano nuove soluzioni.
Questi spettri di luce recuperati un po' in disordine, scartati, strappati, tagliati, buttati via, raccontano una storia. Disegnano un altro finale, tutto da ricomporre, rimontare e riproiettare.
Raccontano una storia se non del tutto giusta, quasi per nulla sbagliata.