In marcia contro le grandi opere e per la giustizia climatica

9 / 12 / 2018

L’8 dicembre è suonata in tutto il mondo la sveglia contro l’attuale modello di sviluppo. Un modello insostenibile, nel quale il capitale espolia in continuazione la natura della sua parte vitale, mettendo sempre più a rischio l’equilibrio eco-sistemico. Sempre più persone hanno preso consapevolezza di questa insostenibilità e stanno mettendo in comune il portato globale di lotte che da anni si oppongono alle grandi opere, all’inquinamento massivo, ai modelli energetici fossili, al biocidio dei territori. 

Questa giornata di lotte ambientali si è aperta a Padova con un’assemblea regionale - indetta da Siamo ancora in tempo - dei comitati, dei movimenti e delle associazioni ecologiste impegnate nella lotta contro la devastazione dei territori e il cambiamento climatico. Dalle 10:30 di ieri mattina in tanti e tante hanno preso parte alla discussione e alla costruzione di un immaginario conflittuale comune che, a partire dalle rivendicazioni locali e dalle contestazioni alle singole grandi opere, sia in grado di tracciare un percorso che metta al centro la giustizia climatica.

La regione Veneto conta quattro inceneritori, 17 discariche e 5.700 ettari di terreno inquinato a Porto Marghera, detiene il titolo di territorio più cementificato d’Italia e subisce i danni da inquinamento da Pfas (acidi estremamente forti sversati in forma liquida) in gran parte delle province vicentina, padovana e veronese. La fragilità dell’ecosistema – tanto lagunare quanto dell’entroterra – si è manifestata in tutta la sua drammaticità non più tardi di un mese fa, quando la prima ondata di maltempo di questa stagione ha devastato interi boschi e provocato picchi di acqua alta a Venezia pericolosamente alti. Ciò nonostante, la giunta regionale a guida Zaia si dice determinata a investire in grandi opere come la Pedemontana e la A31, così come è stato per il Mose.

L’assemblea di ieri ha ribadito, coesa, la partecipazione alla mobilitazione nazionale del 23 marzo lanciata lo scorso 7 novembre a Venaus. In quell’occasione, dopo la due giorni a Venezia (29-30 settembre), i No Tav della Valsusa hanno ospitato il secondo appuntamento nazionale contro le grandi opere inutili e dannose e per la giustizia climatica, durante il quale le realtà intervenute hanno convenuto sul lancio di una mobilitazione nazionale a Roma a fine marzo per chiedere la tutela dei territori e dell’ambiente.

Non si è però trattato dell’unico appuntamento cui l’assemblea regionale di oggi ha aderito: al suo  termine, i partecipanti sono confluiti nel piazzale della stazione di Padova per la Marcia globale per il clima. Un’iniziativa lanciata in tante città del mondo in concomitanza alla COP 24, quest’anno in Polonia, la cui inadeguatezza è stata ampiamente provata e a cui si è voluta contrapporre l’urgenza di agire radicalmente per evitare i disastrosi effetti del cambiamento climatico che iniziamo a vivere sulla nostra pelle. Alla Marcia hanno aderito città e persone da tutto il mondo: gli effetti della “questione ambientale” toccano infatti l’intero globo, dalla miniera di carbone nella foresta Hambach ai territori della comunità Mapuche in Argentina e Cile, dai gasdotti olandesi agli oleodotti voluti da Trump nelle riserve Sioux.

La giornata di ieri in Italia ha avuto, quasi ovunque, una matrice comune, vale a dire la lettura delle grandi opere – tra cui il Mose, il Tav, la Tap, gli hub del gas… –, dei dispositivi di interesse militari come il Muos, e più in generale di tutti gli interventi con un più che significativo impatto sull’ambiente come attori principali sul palcoscenico del cambiamento climatico. Le logiche che guidano infrastrutture di questa natura sono infatti votate al profitto e sacrificano del tutto la tutela dell’ambiente, degli ecosistemi. Una gestione neoliberista della natura che incide – e continuerà a farlo, a meno di una brusca inversione di tendenza – pesantemente sul bilancio ecologico del nostro pianeta.

La Marcia globale per il clima di Padova ha visto la partecipazione di oltre 6.000 persone: è stato un corteo coloratissimo ed eterogeneo quello che ha attraversato la città dietro a un carro decisamente sostenibile. Al posto del tradizionale furgone, la testa del corteo era preceduta da un risciò su cui sono stati montati pannelli solari per l’alimentazione dell’impianto sonoro. Sono stati tanti gli interventi lungo il percorso: tra le voci il comitato No Grandi Navi, No Dal Molin, collettivo MalaCaigo, CRA Padova e comitato NoPfas. Alle 15:00, in sincrono con il resto d’Europa, è stato “suonato” il primo climate alarm, la sveglia simbolo dell’urgenza dei provvedimenti. Data la partecipazione, nonostante l’iniziale opposizione delle forze dell’ordine, il corteo ha deviato arrivando, anziché in piazza Antenore (come previsto) in piazza Garibaldi, riempiendola.

La piazza sicuramente più partecipata è stata quella torinese, per cui gli organizzatori parlano di 70.000 persone. Un corteo ricchissimo che non ha mai voluto essere una replica alla mobilitazione delle madamine lo scorso 10 novembre, nonostante un confronto sia dato spontaneamente. E non soltanto nei numeri, ma soprattutto nella composizione: la piazza anagraficamente statica del fronte favorevole alla Tav si è scontrata con una moltitudine eterogenea. Ad aprire la strada c’era lo striscione «C’eravamo, ci siamo e ci saremo. Ora e sempre NoTav», subito seguito da un secondo: «Partigiane della terra e del futuro. NoTav». A reggerli file di donne di ogni età, dalle bambine alle nonne. L’intergenerazionalità è stata sicuramente un dato rilevante della composizione torinese, che ha dato voce agli studenti, ai sindaci NoTav e a tanti altri.

No Tav

Spostandosi ad est, oltre alla piazza padovana si è tenuta, in Friuli Venezia Giulia, la manifestazione di Udine: «A livello politico» dicono gli organizzatori «non ci sono adeguati segnali di preoccupazione e di azione per azzerare le emissioni di gas serra e cercare quindi di evitare i fenomeni più catastrofici». Proseguendo verso sud, altri tre appuntamenti significativi sono stati quello a Bologna della rete Terre in Moto, quelli di Melendugno, indetto dal movimento NoTap, e quello di Niscemi lanciato dai NoMuos. Nel capoluogo emiliano, attivisti della rete Terre in Moto Marche hanno sanzionato simbolicamente la sede di Cns, l'azienda costruttrice delle Soluzioni di Emergenza Abitativa, le casette per gli sfollati del sisma del centro Italia, infestate da muffa e funghi. Sae che marciscono, richiedono ripetuti interventi di manutenzione e costringono gli occupanti a continui trasferimenti. «Oggi dall’Appennino marchigiano siamo a Bologna per questo: per consegnare al CNS parte di quell’immondizia che loro stessi hanno destinato ai terremotati in questi mesi. Con questo “regalo” vogliamo ribadire a chi pensa di speculare sui terremotati in qualsiasi forma, sia essa politica o economica, che non lo permetteremo. Gli abitanti dell’Appennino non lo permetteranno!».

Terre in Moto

In Puglia migliaia di persone hanno sfilato contro il gasdotto e tutte le grandi opere inutili, e anche qui le donne hanno dato il via a un’azione. Le Mamme NoTap hanno infatti provveduto a ripristinare lo zerbino all’ingresso dell’infopoint Tap della città: un gesto simbolico per ricordare quando, il 2 marzo scorso, in seguito a una manifestazione undici attivisti vennero denunciati per furto aggravato. Corpo del reato era proprio lo zerbino dell’ufficio, rinvenuto poi nella spazzatura. Ne sono stati messi una decina questa mattina, di zerbini, ma, come dicono i manifestanti, non basteranno mai per pulire le suole sporche di chi quel gasdotto l’ha voluto e lo vuole.

No Tap

Anche nella provincia nissena sono state migliaia le persone che hanno deciso di aderire alla mobilitazione del coordinamento NoMuos: «Il MUOS lo può fermare solo la lotta popolare». Da tutta la Sicilia sono arrivate persone contro il sistema satellitare installato dagli Stati Uniti.

 no Muos

Occorre però sottolineare il carattere internazionale di questa giornata straordinaria: a partire da Katowice, sede del COP24, passando per Parigi, dove il movimento Il est encore temps ha invitato i gilet gialli a unirsi in un unico corteo di 30.000 persone, e poi ancora a Londra, dove le rivendicazioni hanno trovato voce soprattutto attraverso il movimento Extinction Rebellion, per un totale di 191 città in 22 Paesi.

Marcia Clima