Il virus della finanza e un nuovo incubo austerità

14 / 3 / 2020

I primi segnali di diffusione dell’epidemia di Covid-19 in Cina avevano fatto intuire come questa avrebbe fortemente inciso sull’economia. L’evoluzione delle ultime settimane, in particolare in Italia, segna un cambio di passo anche della crisi finanziaria, in un contesto di economia globale forse mai uscito dalla stagnazione, quantomeno in alcune aree. Per comprendere meglio quanto sta accadendo a livello di mercati finanziari e istituzioni monetaria, abbiamo intervistato Andrea Fumagalli.

Negli ultimi giorni l'emergenza sanitaria ha avuto grandi ripercussioni sul piano finanziario. Come va letta questa situazione?

La turbolenza sui mercati finanziari è iniziata un paio di settimane fa, anche se nell’ultima settimana si è toccato il fondo. Non è casuale il fatto che questa si stata legata innanzitutto a un aumento dell’attività speculativa al ribasso su alcuni titoli legati ai settori energetici, in seguito al calo del prezzo del petrolio, a sua volta dovuto al calo della produzione cinese, e quindi globale. 

Hanno avuto pesanti perdite tutti i titoli bancari, che hanno sofferenze e crediti aperti verso l’attività produttiva, tutti i titoli energetici, buona parte dei titoli manifatturieri e infine i titoli legati alla Silicon Valley, che avevano subito degli effetti negativi in seguito al blocco della fornitura cinese già nel mese di gennaio e a inizio febbraio. Da qui si è innescata una tensione speculativa che gioca sulla vendita di questi titoli, che possono essere interessati dalla crisi economica indotta dal coronavirus, per poi essere riacquistati quando saranno arrivati a un livello di valore ritenuto abbastanza basso, ma non così tanto da trasformarli in titoli spazzatura.  

Nell’ultima settimana l’attività speculativa è stata ancora più marcata che in quella precedente. A riguardo, è curioso che la Borsa di Milano, che solo nell’ultima settimana ha perso il 40% di perdita media complessiva degli indici azionari, grazia anche alla drammatica seduta di giovedì 12 marzo, la peggiore della storia con il calo del 17.

Fino al giorno prima la Consob – l’autorità che dovrebbe controllare l’andamento di borsa – aveva dichiarato che non c’era bisogno di intervenire perché non si trattava di attività speculativa. C’è stato un rapido cambio di opinione nel giro di ventiquattr’ore, con la stessa Consob che è intervenuta vietando le operazioni allo scoperto e di fatto ammettendo che è in corso un’attività speculativa al ribasso. 

Ieri le borse hanno segnato un forte rimbalzo positivo: gli ultimi dati davano la Borsa di Milano in crescita più alta rispetto all’Europa, recuperando quasi un 14% rispetto al giorno prima. Tale rimbalzo viene giustificato dal modo in cui funziona la speculazione: si gioca a ribassare il valore dei titoli per poi, una volta che il valore è ritenuto molto basso (e il 40% in meno in una sola settimana lo è) , intervenire riacquistano al valore ribassato. Queste operazioni vengono condotte a livello di Fondi di investimento, società immobiliari, alta finanza. Sicuramente non sono dettate dal microtrading del risparmio tradizionale. 

Ancora una volta si manifesta il biopotere che i mercati finanziari e i grandi attori in esso coinvolti, sono in grado di operare. 

Come stanno intervenendo i grandi istituti monetari? Come interpretare le ultime dichiarazioni della governatrice della BCE Christine Lagarde che hanno irritato addirittura il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella?

All’interno di questa situazione, che avrà sicuramente dei risvolti drammatici sull’economia reale e soprattutto sul mondo del lavoro, è proprio interessante analizzare le misure che sono state prese. La Federal Reserve è subito intervenuta, quando Wall Street ha avuto un calo del 7% e ha perso circa il 25% nell’ultima settimana, con una potente iniezione di liquidità. Complessivamente, fra operazioni di rifinanziamento a breve e lungo termine, sono stati messi sul mercato finanziario americano quasi 1500 miliardi. 

Di contro le borse europee, solo nella giornata di ieri, hanno perso 825 miliardi. La borsa di Milano, che comunque è molto piccola, ha perso 64miliardi di euro. Al di qua dell’Atlantico c’è stata la conferenza stampa della governatrice della BCE Christine Lagarde, che ha preso una posizione del tutto diversa: si è lasciata andare a una dichiarazione che ha successivamente ritrattato, ma che ha avuto un forte peso nello spiegare le dinamiche di questi giorni. 

Ha affermato che il compito della BCE non è quello di intervenire per ridurre gli spread immettendo moneta per sostenere titoli di Stato dei Paesi che maggiormente hanno difficoltà nel bilancio ai fini di garantire tassi di interesse sufficientemente sostenibili. Con questa affermazione ha smentito la linea intrapresa dal precedente governatore Mario Draghi, il famoso “whatever it takes”, che significava più o meno: a qualunque costo, sosterremo i Paesi indebitati, nel pieno della crisi dei debiti sovrani europei. 

La Lagarde ha fatto intendere che il “whater it takes” non sarà più mantenuto. Sarà compito di altri strumenti – nella fattispecie le politiche fiscali – far fronte alla crisi. Conseguenza di questa linea è che se un Paese vuole ridurre lo spread rispetto a un altro, deve intervenire rispetto al proprio bilancio pubblico. In altre parole, torna la vecchia ricetta delle politiche di austerity come unico strumento di politica economica in grado di impedire che si muovano attività speculative sui Titoli di stato. 

La dichiarazione della Lagarde ha avuto l’effetto opposto: già due ore dopo lo spread tra BOT italiani e titoli di Stato equivalenti tedeschi, che era intorno ai 200 punti, si è alzato a 250 punti. I primi due effetti pesanti si sono avuti sull’onere del debito italiano e sull’aumento dei tassi d’interesse, che avrà ripercussioni sul bilancio pubblico, già oggi fortemente penalizzato dalle politiche di austerity degli anni passati, soprattutto in quei settori essenziali per contrastare il CoVid 19, come la sanità pubblica.

Questa mossa della Lagarde è stata molto improvvida, sicuramente condizionata dalle pressioni di stampo tedesco. La stessa frase era stata utilizzata qualche giorno prima dalla rappresentante tedesca nel board  della BCE. Sappiamo che la linea di politica monetaria che la Germania ha sempre cercato di perseguire in questi anni è volta al massimo rigore, già ai tempi del ministro delle finanze Schaueble ai tempi della crisi greca. 

Un’affermazione di questo genere, da parte delle autorità monetarie tedesche, non stupisce. Diverso è il peso di una dichiarazione del genere se viene fatta da chi governa la politica monetaria europea, la Lagarde. E in effetti le ripercussioni si sono fatte subito sentire, con il rischio di far sfuggire di mano una situazione già particolarmente difficile. Nonostante la Lagarde abbia cercato di recuperare in qualche modo l’infelice uscita, rimane il fatto che le misure prese dal board della Bce sono abbastanza ridicole di fronte alla gravità della situazione. Le riassumiamo brevemente: la politica di espansione monetaria prevista ammonta a 120 miliardi di euro da qui fino a dicembre, intorno ai 15 miliardi al mese; al momento attuale vengono messi a disposizione 27 miliardi. Si tratta di una cifra insoddisfacente, soprattutto se teniamo conto che la Federal Reserve ha impostato, nel breve e medio termine, un’iniezione di liquidità di 1.500 miliardi di dollari, cifra di tutt’altro volume. Teniamo anche conto che nel periodo di quantitative easing di Mario Draghi, pur non di fronte a situazioni di emergenza e crollo dei mercati come questa, c’era una politica monetaria di circa 30 miliardi di euro al mese, esattamente il doppio di quello che la Lagarde vuole fare in un contesto ben più grave. 

I 27 miliardi di euro che la Bce mette a disposizione immediatamente sono di poco superiori a quei 25 miliardi che solo l’Italia chiede di poter ricevere attraverso lo scostamento dai livelli di rapporto deficit/Pil programmati l’anno scorso. Se queste cifre dovessero estendersi anche ad altri Paesi europei, come con ogni probabilità sarà necessario fare vista la diffusione rapida della pandemia anche in Francia, Germania e Spagna, significa che i 27 miliardi messi a disposizione sono “bruscolini”.

Di fatto al momento sembra, anche se le cose vanno valutate nel medio-lungo periodo, che ci troviamo di fronte a un cambiamento abbastanza radicale delle scelte di politica monetaria, tornando ai rigidi dettami dell’economia ordoliberista, cioè chi è in deficit deve pagare senza poter contare sull’aiuto di altri Paesi o di istituzioni monetarie.

L'attuale speculazione finanziaria, che si inserisce nelle pluralità di crisi che stanno esplodendo contemporaneamente, quali elementi di continuità o discontinuità ha con il ciclo economica che stiamo vivendo da circa un decennio?

Quantomeno nel breve periodo c’è una discontinuità, relativa proprio alle cose che ho appena detto. I ritmi lenti di crescita di molti Paesi europei avuti negli ultimi anni, in particolar modo dell’Italia, erano in parte stati alleviati dalle politiche “permissive” della Banca centrale europea. Se adesso questo viene meno, indubbiamente una situazione economica già precaria tenderà a peggiorare, se non a precipitare.

Questo lo potremmo vedere solo nei prossimi mesi, perché gli effetti sull’economia reale – in termini di capacità esportativa, crescita del PIL globale e crescita dei PIL a livello territoriale – al momento non ci sono. Nel prossimo trimestre vedremo sicuramente le conseguenze di quanto accade oggi.

Il rallentamento dell’economia europea, che già era in fase di stagnazione o poco più, avrà ripercussioni sul mercato del lavoro, processi di precarizzazione e impoverimento, con il rischio di creare un circolo vizioso che sembra non terminare mai.

C’è dunque una discontinuità per quel che riguarda le politiche monetarie europee, specie se la Lagarde continua a perseguire sulla strada indicata l’altro ieri, e questo è tutto da vedere perché c’è un conflitto interno alla BCE. Dall’altra parte c’è un elemento di totale continuità, laddove vale ancora il principio della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti in situazioni di crisi economica.

C’è un elemento di positività in questa situazione, legato al fatto che ci si sta rendendo finalmente conto che le strutture di Welfare pubblico sono essenziali per il funzionamento dello stesso capitalismo. Una sanità pubblica in grado di reggere situazioni di questo genere verrà sicuramente rivalutata, in quanto unico strumento che può quantomeno contenere le perdite di vite umane. Tutto questo porterà – almeno ci auguriamo – a un ripensamento di tutte le politiche di privatizzazione e smantellamento del settore pubblico verificatesi negli ultimi 20 anni.