Il vecchio muore ed il nuovo non può ancora nascere

8 / 3 / 2018

Il titolo di questo articolo riporta una celebre espressione gramsciana contenuta nei Quaderni, quando analizza quella permanente instabilità politica e frammentazione che caratterizza negli anni Venti e Trenta del Novecento. La crisi della democrazia rappresentativa, dei partiti, la crescente difficoltà di formare governi, nel quadro della crisi economico- sociale che attraversa tutto l’occidente capitalistico e che sfocia nel fascismo o in regimi autoritari. Il problema è la scissione del rapporto tra popolo, o meglio tra i diversi interessi di classe che lo compongono, ed élite dominanti; tra rappresentati e rappresentanti, non più in grado di rappresentare e mediare questi interessi.

Sono queste le caratteristiche strutturali delle crisi epocali, in cui si intrecciano le trasformazioni radicali del modo di produzione e della forma- Stato, che alludono alla possibilità di un nuovo che nasce, un nuovo inizio, una rivoluzione sociale. Nella misura in cui questo nuovo non nasce, «è bloccato nel suo carattere progressivo», come dice Gramsci, Di conseguenza non matura un potere costituente di profonda innovazione dell’intero ordinamento della vita sociale, produttiva e riproduttiva; la dialettica risulta monca, interrotta, implode e si rovescia nei suoi elementi costitutivi.  Così succede che il nuovo riassume continuamente le sembianze del vecchio e il populismo non può essere altro che «regressivo», divenendo la maschera di un nuovo autoritarismo.  

Periodi più o meno lunghi di questa continua rottura degli equilibri politici hanno come sbocco o governi di grande coalizione (la «fusione sotto un’unica direzione» di cui parlava Gramsci) o il cesarismo-bonapartismo, ossia l’ emergere di personalità carismatiche e autoritarie, singole figure, ma anche gruppi dominanti omogenei;  un potere sovrano che produce l’eccezione e su essa fonde le proprie decisioni.La fiducia e le aspettative si spostano velocemente da una coalizione all’altra. Questa oscillazione non produce significativi cambiamenti nelle politiche adottate - in particolare in quelle economiche - e ciò fa sì che lo stesso meccanismo dell’alternanza attraversi un logoramento sostanziale, aprendo la strada a nuove forze su cui si possono concentrare aspettative palingenetiche di mutamento radicale e immediato.

Lo stesso successo elettorale di queste nuove forze, però, subisce spesso una parabola di veloce consunzione. In parte perché difficilmente riesce a colmare lo iato tra aspettative sollevate e politiche realizzate, in parte perché diventano esse stesse vittima del processo di mediatizzazione della sfera pubblica: un’ascesa basata sulla frattura vecchio/nuovo, ma come tale incline a trasformare velocemente il nuovo in vecchio e la promessa in delusione.

Sono queste le caratteristiche delle rivoluzioni passive, in assenza di un significativo conflitto tra classi sociali antagonistiche. Il conflitto tra le classi è agito esclusivamente dall’alto, come esercizio unilaterale delle élite, capaci non solo di sottrarre reddito, diritti sociali, potere politico ai gruppi subalterni, ma ancor più di catturarne desideri, speranze, immaginario, costruire identificazioni fittizie nell’accettazione passiva della subordinazione. La servitù volontaria, appunto, proiezione spettrale dei populismi identitari e organicistici, di cui il razzismo e nazionalismo sono elementi costitutivi.

Le elezioni politiche nel nostro Paese contengono molti di questi aspetti. Tre sono gli elementi da sottolineare: la vittoria del Movimento 5 Stelle, della Lega, il crollo della “sinistra” in tutte le sue espressioni.

Il movimento 5 Stelle è fenomeno complesso, in un certo qual senso è la forma italiana compiuta di populismo, in cui le differenze vengono annullate in una sintesi organica del «popolo contro le élite» e nella simulazione del tutto virtuale della democrazia diretta. Come detto prima, essa è un misto di caratteri progressivi e regressivi, di innovazione e reazione, nasconde elementi bonapartisti, carismatici e autoritari, catturando bisogni, desideri, immaginari delle classi subalterne per ridefinire e riarticolare le forme del dominio. Vedi la consonanza con la Lega sull’immigrazione e l’approccio al razzismo istituzionale. Non è questione secondaria, anzi è la questione dirimente, la madre di tutte le battaglie, poiché la posta in gioco riguarda i diritti universali, la cittadinanza, la libertà, la dignità, un’esistenza degna per tutti, al di là delle differenze di genere, di razza, di classe. Razzismo, neo-nazionalismo, rigurgiti neo-fascisti vanno di pari passo nella ridefinizione del comando imperiale trans-nazionale. Sono due facce complementari della stessa medaglia: non contraddizioni antagonistiche, ma funzionali all’unità sistemica ordoliberista.

In assenza di una reale dialettica tra le classi, e la loro fusione –sublimazione in un indistinto concetto di popolo, non sembra proprio che il Movimento 5 Stelle possa incarnare un populismo progressivo e lo schiacciamento sulla reazione-conservazione dello status quo è molto probabile. Come ci insegnano Macchiavelli e Marx, solo il conflitto tra le classi può determinare una democrazia vera ed espansiva, allargare la sfera dei diritti, dell’eguaglianza, della giustizia sociale. La sua rimozione può portare solo al «declino della Repubblica» e alla corruzione dei suoi principi fondamentali, al di là delle suggestioni elettoralistiche e dei programmi proclamati.

Tanto più che i 5 Stelle sono diventati essi stessi un’élite di governo, si sono preparati e si stanno preparando a gestire l’altro polo della dialettica, il potere dello Stato. Ebbene, quale Stato? Quale sovranità rispetto ai diktat dei poteri imperiali sovranazionali, della UE o della BCE? Si apriranno nuove contraddizioni e questo è un bene per i movimenti autonomi extra istituzionali, poiché il problema vero è la lotta di classe trans- nazionale declinata in forma nuova, i conflitti e i molteplici punti delle resistenze intersezionali - di classe, di genere, antirazziste, ambientali e antiautoritarie - contro l’ordine globale neoliberista.

La Lega: più volte abbiamo sottolineato che, più dei vari gruppuscoli neo fascisti il vero pericolo nazional-populista e razzista è costituito dal partito di Matteo Salvini. Questo i movimenti lo hanno già ben compreso e praticato in forma massificata, quantomeno da Macerata in poi, evidenziando le contraddizioni storiche dell’antifascismo rituale e di maniera.

La trasformazione della Lega, da forza territoriale autonomista e federalista, in partito nazionalista-lepenista è emblematica e, soprattutto, l’orizzonte razzista è sicuramente determinante. L’antifascismo ovviamente va mantenuto, ma è solo la superficie che va distrutta e rimossa per poter scavare più in fondo, dove il volto del nemico si mostra in tutta la sua tracotanza come nuovo  fascismo ordo-liberista, a difesa del mercato con l’aggiunta di alcune sfumature sociali. Economia sociale di mercato - come nell’ ideologia dei teorici tedeschi dell’ordoliberismo - basata su un sistema articolato di discriminazioni, esclusioni/inclusioni, diritti differenziali, dispositivi di sottomissioni, gerarchie rispetto al merito e all’obbedienza dei soggetti sociali. La Lega è nemica e antagonista diretta rispetto alla costruzione del comune. Ma anche questa contraddizione potrebbe essere agita in maniera molto più determinata e significativa da parte dei movimenti.

Il crollo della sinistra non è una novità, in Italia e per tutti i partiti della socialdemocrazia europea. Si tratta dunque di fenomeno endemico al post-fordismo e la vera natura di questa catastrofe va iscritta nel mantenimento di una tenace e ottusa ideologia lavorista incapace di comprendere le trasformazioni del modo di produzione, dal mutamento della composizione di classe ai nuovi bisogni e desideri delle moltitudini, fino alla globalizzazione capitalistica,. I vecchi paradigmi del fordismo e del keynesismo, l’ordine sociale e la cittadinanza basata sulla disciplina e la centralità del lavoro salariato, sono morti e sepolti. Non è un caso che il bottino elettorale nel mercato della politica da parte dei partiti vincitori sia stato determinato dalla proposta del reddito di cittadinanza o dalla abolizione della legge Fornero.

Al di là delle promesse elettorali, che lasciano il tempo che trovano vista la perdita di sovranità delle costituzioni nazionali, al di là della ovvia considerazione che nessuna tra le forze in campo ha la possibilità di costruire un governo stabile - almeno finora - rimane un campo di contraddizioni insuperabili dentro il vecchio ordine e che allude alla costruzione di un ordine nuovo.