Tratto da "Il Manifesto" del 04.02.11

Il Sud oltre intervento pubblico ed abbandono

di Giso Amendola*

5 / 2 / 2011

Difficile smontare l’ordine del discorso che ti assegna il ruolo dell’“assistito”. In modo più subdolo di qualsiasi altra etichetta che certifichi la tua subalternità, quella che costruisce la tua immagine come se tu potessi crescere grazie unicamente al dono e all’aiuto altrui, mira a sottrarti ogni autonomia, indispensabile presupposto per qualsiasi reale uscita dalla “minorità”. L’assistito non solo per definizione non è autosufficiente, ma deve continuamente ripagare il suo debito, gli vengono continuamente ricordati gli obblighi di fedeltà e di sempiterna gratitudine. Lo stesso soggetto dipendente finisce così per credere alla sua dipendenza, e ad autorappresentarsi in termini di soggetto bisognoso e carente.

Il discorso pubblico italiano sulla distribuzione territoriale della spesa pubblica è di questo tipo: più che a registrare obiettive situazioni di sofferenza, è servito negli anni a costruire un’immagine del Sud incapace per destino di elaborare un discorso di sviluppo autocentrato. Un’incapacità che è stata fatta propria paradossalmente da molti difensori del Meridione che si sono attenuti ai termini tradizionali della questione meridionale. Così, a chi ha costruito un discorso sulla spesa pubblica tutto giocato sul Sud come enorme buco nero dei conti pubblici e territorio quasi inevitabilmente consegnato all’assistenzialismo più degradante, si è replicato, in termini anche molto efficaci e documentati, con la dimostrazione di quanto sia mistificante l’immagine di un Sud ultrafinanziato a pioggia, ma non si è andati oltre la richiesta di un intervento pubblico ordinario meglio calibrato. Si è ben spiegato – penso per esempio agli importanti interventi di Viesti e Prota sulla questione del Fondo per le Aree Sottosviluppate – come la manovra governativa si sia concretizzata in un rilevante spostamento di risorse da Sud verso Nord, e come i residui stanziamenti FAS al Sud siano in realtà semplicemente sostitutivi della spesa ordinaria, e caratterizzati da un’assoluta mancanza di disegno strategico. Non si è ancora riusciti, però, a contrapporre alla propaganda sul Sud sprecone e malavitoso un autonomo discorso capace di andare oltre la richiesta di una migliore razionalizzazione della dipendenza meridionale dalla spesa pubblica. Per superare i limiti di un approccio che non riesce ad uscire da questa dipendenza, bisognerebbe abbandonare uno sguardo esclusivo sulle politiche pubbliche “centrali”, e saper guardare dentro i movimenti che stanno intensamente attraversando il Sud. L’intrecciarsi di lotte sui beni comuni ambientali e di un forte movimento studentesco e precario costituisce in questo momento il terreno per una nuova formulazione, non subalterna, della questione dell’intervento pubblico. Le lotte dei movimenti possono suggerire una diversa strada, fuori dalla scelta obbligata tra abbandono e assistenza. Quelle lotte, al Sud, chiedono che al sepolto intervento pubblico straordinario succeda non il nulla o, alla meglio, un’ordinaria riqualificazione e razionalizzazione “dall’alto” della spesa pubblica (comunque del tutto improbabile con questa classe dirigente!), ma un Welfare del “comune”, oltre il centralismo dello Stato Provvidenza, nel segno della riappropriazione del valore prodotto, del reddito universale, dell’accesso garantito ai beni comuni e della democratizzazione piena della decisione su di essi.