Il sacco della Laguna. L'affarista, il magistrato, i movimenti

Elezioni comunali a Venezia

17 / 6 / 2015

 Chi ha vinto

Il 14 giugno 2015, con il 53,21% dei voti - staccando di ben 6567 preferenze il suo avversario Felice Casson - le urne consegnano la Città in mano all'imprenditore-affarista Luigi Brugnaro. Dopo 25 anni il Comune di Venezia torna ad essere amministrato dalla destra. Poco importa se l'ex magistrato ha retto in centro storico chiudendo gli spogli con il 51,17%, il grosso dei seggi e dei votanti è al di là del ponte, in terraferma, dove la coalizione di centrosinistra ha drammaticamente perso la roccaforte operaia di Marghera, ha perso Mestre, Chirignago, Zelarino e la Gazzera.

Le battaglie di Casson contro la chimica di morte, contro MoSE e corruzione non sono servite a scalfire l'immagine di bonaria novità che il miliardario patron della Reyer ha saputo costruirsi durante una campagna elettorale in cui non ha certo badato a spese: camicia bianca sempre aperta e pacche sulle spalle a tutti. Modi sguaiati un po' “zanza”, grigliate, feste con fuochi d'artificio e costosi DJ, centinaia di manifesti, pubblicità, lettere personalizzate recapitate a casa di ogni elettore, gadget fucsia di ogni tipo, video sponsorizzati su youtube, compreso un inguardabile rap. E alla fine ha vinto. Ha vinto questo Berluschino in saòr, amico fidato di quello vero e del suo galoppino Brunetta. Si dichiara renziano presentandosi con la Lega Nord, dice di non essere “né di destra né di sinistra” assieme ai Fratelli d'Italia della Meloni, raccatta perfino quel che resta di Forza Italia e l'1,5% dell'NCD. Luigi Brugnaro vince fagocitando i suoi stessi alleati, tutti ben al di sotto delle medie nazionali, mentre la sua lista personale diventa il primo partito in città e ne piazza 17 in consiglio comunale.

Ma se Brugnaro ha saputo, fuori tempo massimo, ravvivare i fasti della retorica imprenditoriale, dando voce a quell'individualismo arrogante e ostentato che sopravvive nella nostra società ben oltre il tramonto di Arcore, il nuovo sindaco di Venezia, alla faccia dell'approccio bonario, è un affarista vero. L'ex presidente di Confindustria Venezia inizia a guadagnare sul serio nel 2004 quando, grazie al famigerato “pacchetto Treu” che istituzionalizza il lavoro precario, fonda Umana, una delle prime agenzie di lavoro interinale. Diventata ora potentissima holding, conta su di un fatturato annuo da 300 milioni. Fiutando la grande abbuffata apparecchiata in occasione dell'esposizione universale milanese riesce ad ottenere un posto nel Gruppo Tecnico Nazionale Expo2015 e a farsi eleggere presidente del Comitato Expo Veneto. Chiaramente gli affari del sindaco non mancano nemmeno in Laguna. Eclatante il caso della Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia (attribuita al Sansovino), storica sede dei trionfi del basket veneziano dagli anni '40 agli anni '70. 

Nel 2008 la giunta di centrosinistra guidata per il terzo mandato da Massimo Cacciari affida per 42 anni e 20 giorni l'edificio alla SMV S.p.a., una società controllata direttamente da Luigi Brugnaro. Avrebbe dovuto restaurarla ed aprirla alla cittadinanza, ma in questi anni si sono viste solo feste esclusive, privati eventi aziendali, sontuose feste di matrimonio per multimiliardari indiani e sceicchi sauditi. Mentre il Comune non ha mai richiesto le penali previste per il ritardo dei lavori, il partner privato ha usato il bene pubblico a fini personali senza sobbarcarsi nemmeno i costi previsti. Conflitto d'interesse? Macché. Nemmeno ora che da sindaco passa da controllato a controllore. Stesse ombre sull'affare dei “Pili”: 40 ettari in gronda lagunare comprati per una “pipa di tabacco” dall'imprenditore veneziano. Terreni su cui incombono faraonici progetti di palasport, parcheggi, centri commerciali. Chissà se il nuovo sindaco concederà il cambio di destinazione d'uso...

Chi ha perso

Chi ha perso, drammaticamente e senza ombra di dubbio, è invece il Partito Democratico che, precipitando al 16,81%, ha trascinato a fondo con sé tutta la classe dirigente che in questi 25 anni ha amministrato la città lagunare. Sono lontani gli anni in cui Venezia è stata, anche dal punto di vista della governance, un vero laboratorio di sperimentazioni virtuose sul piano dei nessi amministrativi. Le prime giunte Cacciari-Bettin avevano davvero avuto il merito di innovare il modo di costruire amministrazione politica in città. Erano anni di coraggiose sperimentazioni  tra amministrazione, associazionismo e mondo della cooperazione che dotavano la città di uno dei più avanzati sistemi di welfare del paese. 

Gli anni in cui il consiglio comunale votava un ordine del giorno sulla legalizzazione delle sostanze e dava vita ad un innovativo servizio sperimentale di riduzione del danno al limite della legislazione italiana, sulla scorta di esperienze già consolidate in altri paesi europei. Si pianificava, dopo l'emergenza della guerra nei Balcani, il superamento dei campi profughi, chiudendo nel giro di due anni questi campi ormai diventati ghetti, ed aiutando chi ci abitava a trovare lavoro e casa. In Italia forse l' unico esperimento di superamento dei campi andato a buon fine e  non tramite le tristemente attuali ruspe. 

Erano gli anni in cui la Lega e la questione secessionista animavano il dibattito a NordEst. Cacciari e Bettin furono gli unici ad accettare quel terreno dicendo chiaramente che l'unica via possibile per battere la Lega era quella del federalismo, dell'autonomia e del decentramento, contro il centralismo dello stato nazionale.

Non a caso quelle giunte ottennero un importante e trasversale consenso in città. Al contrario di oggi la cittadinanza andava a votare in massa e votava per loro. Fu sull'onda di questa fiducia che venne chiesto il voto per Paolo Costa, il sindaco che tradì la città su una delle questioni sicuramente più importanti della recente storia veneziana: il MoSE. Era il 3 aprile del 2003 e l'allora sindaco partiva in direzione Roma per partecipare alla riunione del “comitatone”. In tasca aveva un mandato ben chiaro del consiglio comunale: nessuna grande opera alle bocche di porto. 

La salvaguardia di Venezia doveva passare solo attraverso il riequilibrio degli ecosistemi lagunari, ma una volta arrivato nella capitale il sindaco cambiò improvvisamente versione, votando favorevolmente all'avvio dei lavori dell'opera che divorerà l'intera vita amministrativa, politica ed economica della regione.

Come chiedere all'elettorato più sensibile ai temi ambientali di perdonare? Eppure il centrosinistra regge. Una terza giunta Cacciari viene eletta al ballottaggio contro lo sfortunato Felice Casson grazie ai voti di Alleanza Nazionale. Infine, ultima, la giunta Orsoni. Una giunta che pur opponendosi a nuovi scavi, non ha avuto il coraggio di appoggiare fino in fondo la lotta contro le grandi navi in Laguna, ostinandosi a proporre inesistenti progetti per un terminal crocieristico a Marghera ed alienandosi la fiducia di gran parte del movimento che lotta per l'estromissione delle navi dalla laguna e per un nuovo terminal tra le dighe del Lido.

Orsoni, l'unico sindaco nella storia della città arrestato per malaffare. Soldi sporchi girati dal grande burattinaio del Consorzio al Partito Democratico cittadino.

Certo, la mossa politica di Carlo Nordio, mastino della procura veneziana, è riuscita a mettere sullo stesso piano un finanziamento illecito ad un partito e il “sistema Galan”, quello che per trent'anni ha gestito la corruzione veneta coinvolgendo imprese edili, due diversi Magistrati alle Acque, politici ed assessori regionali. Ciononostante, comprensibilmente, da quel 4 giugno 2014, da quando le manette hanno stretto i polsi dei 34 "caduti" nella “Retata Storica”, il nome che in città è associato allo scandalo MoSE è quello di Orsoni, oltre a quelli della nomenclatura del PD veneziano, da Zoggia in giù. La credibilità di questo centrosinistra si è sgretolata definitivamente. Connivenze ed interessi sono emersi uno dopo l'altro e le difese sono state talmente deboli da dare ancora più forza all'accusa. Poco conta se le azioni dell'ex sindaco non inficiano il dato amministrativo, la gravità politica della complicità con il Consorzio e la connivenza con il “sistema MoSe” restano e hanno il loro peso.

In questi mesi, poi, il centrosinistra è riuscito a commettere tutti gli errori possibili. Non ha voluto andare al voto subito, scegliendo spietatamente di consegnare per quasi un anno la città nelle mani del commissario Zappalorto e della sua feroce politica di tagli. Sono stati mesi durissimi per Venezia. La scure commissariale si è abbattuta contro tutte le anomalie positive che questa città ancora offriva grazie allo sforzo tenace di qualche consigliere ed assessore: servizi scolastici, stipendi e contratti dei dipendenti, politiche di inclusione e welfare, servizi alla persona e politiche dell'accoglienza. Tutto è stato decimato, abbattuto. Tutto tranne gli stipendi dei dirigenti, è chiaro, tutto tranne la vera anomalia di questa città: la concessione unica al Consorzio Venezia Nuova e quell'aggio del 12% dei finanziamenti della Legge Speciale che il Consorzio si intasca del tutto legalmente. Un 12% che da solo potrebbe ripianare il debito del Comune. Nessuno del PD, a parte qualche rara voce fuori dal coro, ha detto nulla, nessuno è sceso in piazza con i comitati, i genitori, gli inquilini e gli occupanti delle case popolari. Tutti in coma come dei pugili suonati in attesa del gong. 

Con l'arroganza presuntuosa di chi è da troppo tempo al potere, questa classe dirigente è rimasta a guardare, ha regolato conti interni, ha lasciato ai commissari tutto il tempo di fare il lavoro sporco al posto suo, dando per scontato che, tanto, Venezia vota a “sinistra”. Nel frattempo il suo isolamento dai cittadini diventava incolmabile. La tardiva, ostacolata e da alcuni attivamente boicottata, candidatura di una persona pulita e chiara, come Felice Casson non è riuscita ad invertire la rotta. Lo stesso ex magistrato, forse per paura, non è riuscito a scrollarsi di dosso l'apparato di questa classe dirigente inadeguata e l'elettorato ha letteralmente scioperato le urne. Nemmeno la metà degli aventi diritto ha espresso la propria preferenza. Mentre il M5S (che pure a Venezia resta inchiodato al 12,6%) ha scelto di non appoggiare Casson ed il centrosinistra consegnando, di fatto, la città a Brugnaro.

Che fare?

E' ancor più evidente che il cambiamento non ammette scorciatoie.Tutto lascia intendere che l'imprenditore berlusconiano gestisca il bene pubblico come fosse il suo personale patrimonio ed i dipendenti come gli schiavi interinali delle sue agenzie. L' abbiamo già detto come Brugnaro rappresenti il partito degli affari e dei poteri forti, un partito potente che nel caso delle elezioni a Venezia decide di bypassare di fatto la politica entrando direttamente in gioco. Un' evoluzione ulteriore di quello a cui abbiamo assiastito con lo scandalo mose dove il consorzio venezia nuova   doveva intervenire corrompendo i diversi livelli della politica. Già minaccia ulteriori tagli al sociale ed il suo uomo di punta, la “sentinella in piedi” (ex UDC) Simone Venturini ha un'idea dei diritti civili alquanto medievale. Eppure, una grande verità è stata pronunciata - ironia della sorte - dalla bocca del neo-sindaco affarista: la vera ed unica opposizione sociale in città è rappresentata dai centri sociali, dai comitati e da quelle parti di società civile che negli ultimi mesi hanno tentato di contrastare lo stritolamento di Venezia da parte del Commissario. Durante la campagna elettorale non sono mancati gli attacchi personali e collettivi ai movimenti della Laguna, come se fossero complici del sistema di corruzione. Una tecnica retorica per delegittimare di fronte al proprio elettorato l'avversario e un esercizio esorcistico, un modo per allontanare per sempre dall'isola e dalla zona metropolitana questa costante dei movimenti. 

Ma l'esorcismo è destinato a fallire. Anzi, ai movimenti cittadini spetta il compito di guardare alla vittoria della destra non solo in termini resistenziali, ma anche in termini della necessità dell'apertura di un nuovo spazio costituente metropolitano. Il "partito del no" spaventa Brugnaro perché rappresenta, in realtà, una rete di centinaia di persone attivissime in città, capace di costruire mobilitazione e socialità, welfare dal basso e cultura, saperi critici e diritto alla città. Si tratta oggi di immaginare uno, o più, progetti innovativi per potenziare questa rete, per liberare Venezia dalla trita e pericolosa retorica imprenditoriale del nuovo sindaco senza farla ricadere in una storia passata che si è conclusa definitivamente.