In Italia solo Federico Rampini su Repubblica ha dato rilievo alla colossale cantonata, diventata nel frattempo dogma economico, degli economisti Reinhart-Rogoff.

Il rapporto debito pil: una bufala catastrofica

da ridere per non piangere

di Bz
1 / 5 / 2013

È trascorsa una settimana da quando la notizia ha cominciato a circolare, da quando i guru dell’economia mondiale Reinhart-Rogoff sulle colonne del New York Times, hanno dovuto ammettere il loro errore - la “prova scientifica”, secondo gli autori - che affermava: se il debito pubblico di una nazione raggiunge la soglia del 90% del Pil, diventa un ostacolo insuperabile alla crescita. Lo hanno fatto con un editoriale sul NYT, cercando al tempo stesso di prendere le distanze dalle politiche di austerity applicate su scala mondiale usando la loro ricerca.

In Italia solo Federico Rampini su Repubblica ha dato rilievo alla colossale cantonata, diventata nel frattempo dogma economico, degli economisti Reinhart-Rogoff, portata alla luce da Herndon  uno sconosciuto ricercatore dell’università di Amherst; tutti gli altri grandi organi di informazione, anche specialistica, hanno glissato o dato un resoconto di poche righe. Giusto il contrario – va riconosciuto - della discussione generata, sul WSJ & NYT, tra le pop star degli studi economici di orientamento keynesiano e neoliberista, negli USA ove la ‘ricetta’ non ha trovato applicazione.


Il dogma era [ed è] che se il debito pubblico di una nazione raggiunge la soglia del 90% del Pil, diventa un capio al collo che strangola ogni possibile crescita, ciò dimostrato con una sequenza si analisi ecometriche, di calcoli statistici e matematici, di qui la preliminare necessità di contenere il rapporto debito pubblico PIL sotto quel parametro, pena il default, più o meno prossimo, a seconda delle condizioni relative a quella economia ma  inesorabile per il Paese in oggetto: un teorema economico, che è diventato la bussola d’orientamento per tutti gli interventi di politica economica e finanziaria, nazionali ed internazionali, in primis della BCE. Senza esagerare possiamo affermare che l’intera Europa mediterranea è stata messa in ginocchio in ossequio alla ‘dimostrata’ scientificità di questo principio dell’economia politica.

Dire che gli autori Reinhart-Rogoff sono riusciti – come ci racconta Popper - a dimostrare come vero il falso, perché erano intimamente convinti della giustezza dell’assunto stesso, può risultare una banalità intellettuale, se non avesse determinato la miseria di milioni di persone, se non avesse condotto a incommensurabili tragedie economico sociali. Chi mai potrà risarcire il danno arrecato all’umanità dall’arroganza del Potere, coperta dalla presunta scientificità di questa o quella teoria economica.

Per anni ci hanno spacciato come oggettiva necessità applicare tagli alla spesa pubblica, torcere gli investimenti sociali, per poter riportare nei ‘giusti’ parametri il rapporto debito/PIL, oggi uno sconosciuto ma tenace ragioniere economico ci dimostra, conti alla mano, che il re è nudo: la politica economica è il risultato dei rapporti di forza e di comando [controllo politico] esistenti nella società in un dato periodo storico: l’oggettività, qualunque essa sia, viene piegata dalla soggettività delle forze in campo.

Vale la pena chiudere riportando uno stralcio di Federico Rampini per ridere anzichè piangere: L’anchorman satirico Stephen Colbert conclude: «E ora chi glielo dice agli europei? Sono così contenti dell’austerity, che ogni tanto per festeggiarla scendono in piazza e accendono dei fuochi…». 

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