È parzialmente incostituzionale il primo decreto Sicurezza voluto da Matteo Salvini nel dicembre 2018 quando era ministro dell’Interno. A stabilirlo è stata ieri la Corte costituzionale, che ha esaminato oggi le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Milano, Ancona e Salerno sulla disposizione che preclude l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo, introdotta con il primo “Decreto sicurezza” (dl n. 113 del 2018).
Si tratta di una importante vittoria, sia sotto i profilo giuridico che politico, che legittima una battaglia portata avanti per mesi dal movimento degli Indivisibili. Movimento che, dopo aver portato in piazza oltre centomila persone a Roma contro il primo “decreto Salvini”, ha fatto numerose iniziative in diverse città italiane per il diritto alla residenza e all’iscrizione anagrafica
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Consulta ha diramato ieri una nota in cui si afferma l’incostituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti.
Tra gli avvocati che hanno partecipato all’udienza di ieri c’era anche Paolo Cognini, del Foro di Ancona. Questo il suo commento al termine dell’udienza:
«I difensori hanno riassunto le motivazioni sulla base delle
quali si ritiene che la questione di legittimità costituzionale sia fondata,
vedremo adesso la Corte che cosa deciderà e le valutazioni che esprimerà in
sentenza. Devo dire che allo stato attuale trovo da un lato sconcertante le
argomentazioni introdotte durante la discussione dall’Avvocatura dello Stato, e
dall’altro che le stesse argomentazioni confermano invece proprio la validità
delle ragioni poste a fondamento della questione di legittimità costituzionale.
L’Avvocatura dello Stato ha ribadito, a mio avviso, che la condizione del
richiedenti protezione viene vista come una condizione interstiziale posta ai
margini del mondo del diritto, e quindi una condizione che contrasta nettamente
con le disposizioni e le normative interne e internazionali. Proprio sulla base
di queste argomentazione emerge in realtà la finalità vera della
disposizione che è in discussione, cioè quella di costruire una dinamica di
minorazione sociale ai carico dei richiedenti protezione e utilizzare
questa condizione di minorazione sociale come elemento di pressione e di
"punizione" per l’esercizio di un deflusso nelle richieste di
protezione internazionale.
Quindi le decisioni che assumerà la Corte Costituzionale sono molto importanti
perché oltre appunto ad una valutazione tecnica-giuridica sulla compatibilità
della norma con la nostra Carta Costituzionale, avranno anche una diretta
influenza sull’approccio culturale e giuridico con cui ci si rapporta alla
condizione dei richiedenti protezione che può essere vissuta in due diverse
modi: condizione necessaria, tutelata, garantita che consente di tutelare e
garantire allo stesso tempo l’istituto della protezione internazionale in
quanto tale, oppure condizione di mero passaggio che va sottoposta a
"punizione" e a discriminazione.
Aspettiamo speranzosi che la Corte Costituzionale accetti le motivazioni in
senso stretto affermando l’illegittima costituzionale della norma, o comunque
in senso ampio dando un’interpretazione delle disposizioni che in ogni caso
garantisca in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale il diritto dei
richiedenti protezione all’iscrizione anagrafica».