Sforzarsi di allargare lo sguardo oltre i confini
della piccola provincia italiana rappresenta un esercizio di
riflessione indipensabile per comprendere la complessità del
mutamento, la natura
e l'evoluzione della crisi economica che
stiamo vivendo.
Abbandonare e decostruire il nostro eurocentrismo,
cercare anche parzialmente di "provincializzare l'Europa",
potrebbe aiutarci nel maneggiare con più attenzione i lineamenti
della crisi: se ad esempio l'analisi macroeconomica pone in evidenza
il rapporto inversamente proporzionale tra la crisi dei PIIGS e la
crescita tumultuosa dei BRICS, non è forse opportuno evitare facili
ed autocentrate generalizzazioni?
A tal proposito, nel cercare di
indagare il nesso tra l'espansione dei processi materiali di
produzione e accumulazione nelle cosiddette economie emergenti e
l'autunno della finanziarizzazione economica nel cuore
dell'Occidente, potrebbe tornare molto utile una rilettura sui "cicli
sistemici di accumulazione" di Giovanni Arrighi, ripulita da
quella commistione tra determinismo strutturalista e idealtipicità
weberiana che rischia di soffocare e ammutolire i percorsi cardinali
di soggettivazione dei subalterni.
Ma in questa sede ci
limitiamo ad una comparazione molto più ristretta e limitata sia dal
punto di vista analitico che storico-geografico, focalizzando
l'attenzione esclusivamente sulle conseguenze sociali e politiche
della sovrapposizione tra crisi della democrazia liberale e crisi
dell'economia liberista in Italia e in Spagna.
Le forti analogie
tra questi paesi dentro lo scenario della crisi europea sono
particolarmente accentuate: non è un caso che gli analisti
finanziari per inquadrare gli scostamenti reali di entrambi i paesi
nel mercato dei titoli di stato, prediligono lo spread bonos/btp
piuttosto che la tradizionale e ormai popolare comparazione con i
bond tedeschi.
E' evidente come, per quanto differenti sono le
origini e anche la sua evoluzione, le analogie che si presentano sono
ancor più accentuate dentro le scenario comune di "commissariamento"
dei paesi mediterranei dell'Unione Europea da parte delle elitè
tecnoburocratiche europee. Non si tratta di un golpe bianco di gruppi
occulti o sette massoniche, ma più banalmente della ridefinizione
degli assetti di potere alla luce dell'affermazione egemonica del
cosiddetto pensiero unico neoliberista: non c'è la sottomissione
della politica ma la sua sussunzione all'interno dei dispositivi
discorsivi di
"neutralizzazione" delle logiche del
mercato e del profitto.
La pervasiva ridefinizione
governamentale incentrata sul potere autoavverante delle agenzie di
rating si concretizza anche nella riarticolazione degli assetti
istituzionali, con un parlamento
italiano convocato nelle
prossime settimane unicamente per il voto di ratifica del proprio
decesso attraverso il voto sul disegno di legge costituzionale per
l'"Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella
Carta costituzionale" che determinerà l'ulteriore svuotamento
delle prerogative del potere statuale, come già sancito in Spagna
con il voto quasi unanime del parlamento iberico lo scorso 30
agosto.
Svuotamento già ulteriormente accentuato alla luce
dell'approvazione in sede europea del cosiddetto "six-pack",
avvenuta la scorsa settimana: questo pacchetto di direttive e
regolamenti comunitari di
riforma della governance europea
sancisce la cancellazione dei margini di autonomia degli stati in
materia economia attraverso l'introduzione in ogni paese di "Consigli
indipendenti di bilancio" e il sistema dell'automatismo delle
sanzioni.
Le ricette monetariste di stampo ultraliberale non
potranno essere messe in discussione, così come nessun governo potrà
esimersi nei prossimi venti anni in Italia dalla promulgazione di
politiche
recessive di austerity e di dispossesione.
Si tratta
di provvedimenti che comporteranno conseguenze e stravolgimenti
profondi, ma varati in fretta e furia sull'onda dell'"emergenza",
come nella migliore tradizione della shock-economy
neoliberista.
Nel
confronto con la Spagna, il dato più significativo è
l'impressionante silenzio che accompagna il varo di questi
provvedimenti in Italia.
Nella frenetica eccitazione del mandare a
casa il governo Berlusconi, che rappresentava una seria minaccia per
la democrazia nel nostro paese, ci si è trovati paradossalmente a
sostenere ed applaudire la cancellazione della democrazia.
In
Spagna la persistenza del movimento degli indignados ha rappresentato
invece l'elemento di rottura in grado non solo di attivare un
processo di discussione, informazione ed autoformazione ,
ma
soprattutto di ripoliticizzazione di scelte che l'unanimismo
parlamentare nascondeva come oggettive e improcrastinabili.
E' con
il disaccordo dei "senza parte" che la matrice
politico-ideologica è costretta a mostrarsi nella sua parzialità:
si attaccano i terreni inviolabili della neutralità per mostrarne i
suoi limiti e la sua faziosità.
Le elezioni politiche
dell'N20 (20 novembre) hanno rappresentato un interessante sfida da
questo punto di vista per il movimento degli indignados.
Non c'è
nessuna scorciatoia politicistica nell'attacco all'ipertrofia
asfissiante del bipolarismo che ha caratterizzato l'impegno politico
del movimento in questa tornata elettorale.
Se qualche osservatore
italiano un pò distratto si attarda a riflettere sulla mancata
connessione tra gli indignados e il PSOE, nelle piazze e nelle
acampadas spagnole è sempre stato chiaro fin dal
principio la
contrapposizione aperta, pubblica e conflittuale verso il partito
unico spagnolo, il PP-SOE (dall'unione delle sigle del
PartitoPopolare e del PartitoSocialista).
A differenza
dell'Italia, gli ultimi 8 anni di governo socialista in Spagna e le
politiche liberiste di presunto contrasto alla crisi varate dal
governo Zapatero, hanno fugato ogni dubbio sulla reale
dimensione
di alternativa dell'opzione socialdemocratica.
Pur nella
consapevolezza dell'esautorazione e del deperimento delle forme
tradizionali della partecipazione e della rappresentanza, i movimenti
spagnoli hanno scelto non solo e non tanto lo scontato approccio
astensionista teso a rimarcare la distanza pregiudiziale dal
confronto elettorale, ma hanno anche e soprattutto cercato di
denunciare e destrutturare l'afasia del bipartitismo spagnolo,
individuata come ulteriore frontiera degenerativa della crisi del
sistema politico spagnolo.
Nei documenti approvati durante
l'acamapada di Puerta del Sol, come in quasi tutte le assemblee di
quartiere che si sono diffuse a macchia d'olio in tutta la Spagna, la
richiesta dell'introduzione di un
sistema elettorale
proporzionale puro (una testa, un voto) che spezzi il duopolio
Psoe-Pp è sempre stato presente. Come lavorare in questa direzione
in occasione delle elezioni politiche dell'N20 è stato al centro di
interminabili discussioni.
In primo luogo, come già avvenuto per
le amministrative della scorsa primavera, nelle assemblee e nei
volantinaggi si è cercato anche fin troppo ossessivamente di
spiegare la differenza apparentemente banale tra il voto nullo e la
scheda bianca, con l'obiettivo di convincere gli astensionisti a non
contribuire ad alzare il quoziente elettorale per i piccoli partiti
(per eleggere un deputato il PPSOE necessità in media di 50.000
voti, gli altri partiti nazionali all'incirca 200.000).
In diverse
realtà si è invece promossa l' "iniciativa aritmEtica",
una campagna di voto per il terzo incomodo: calcoli alla mano, gli
attivisti hanno scelto di sostenere il partito che, in ciascuna delle
50 circoscrizioni elettorali, aveva le maggiori possibilità di
sfilare un seggio parlamentare al partito unico PPSOE.
La campagna ha provocato non
poche discussioni e polemiche perchè se in alcuni casi è stata a
sostegno di candidati vicini alle esperienze dei movimenti, come nel
caso dell'AMAIUR degli indipendentisti baschi o dell'IU in Andalusia,
in altri casi è stata invece a dir poco ambigua e contradditoria,
come nel caso dell'appoggio all'ex segretario generale del Partito
Popular Francisco Álvarez Cascos in Asturia pur di sfidare il
monopolio del PP-SOE.
Infine va registrata la presenza nelle liste
dell'Izquierda Unida di alcuni attivisti del movimento degli
indignados ed in particolare l'elezione al Parlamento di Alberto
Garzón, un attivista di 26 anni
eletto nella circoscrizione di
Malaga.
Izquierda unida è la formazione politica che raggruppa il
partito comunista spagnolo e diverse realtà della sinistra
alternativa spagnola: dopo l'appoggio al primo governo Zapatero e il
conseguente
tracollo elettorale nel 2008, con i due soli deputati
rimasti ha scelto la strada dell'opposizione, una scelta che oggi
viene ripagata con il raddoppio dei voti.
Ma nell'"Europa
delle banche" e nella Spagna di Rajoy, quanto possono contare e
incidere Alberto Garzòn e gli altri 10 deputati dell'Izquierda
Unida?
Poco e nulla senza la forza di un movimento di
contestazione che dal basso e nelle strade riesca a rovesciare gli
ordini discorsivi dominanti, i rapporti di forza e liberare in questo
modo la democrazia sequestrata dai mercati.
Intanto però questa
pattuglia parlamentare può essere uno strumento di servizio e al
servizio dei movimenti: ed è infatti in virtù della presenza in
parlamento degli 11 eletti dell'IU e dei 7 dell'amaiur che sarà
possibile sottoporre a referedum popolare confermativo l'introduzione
del pareggio di bilancio nella costituzione spagnola, ipotesi che già
sta mettendo nel panico i signori dell'Euro e del PPSOE per la
probabile bocciatura della riforma costituzionale da parte degli
elettori spagnoli.
In Italia invece? Non abbiamo nulla di cui
preoccuparci: contro la dittatura delle banche e dei mercati è
finalmente sceso in campo Domenico Scilipoti.