Il Merito e la Sapienza

21 / 9 / 2009

Un dato emerge con chiarezza in queste settimane: si sta riaprendo in termini complessivi una partita molto importante, quella che riguarda la definizione delle trasformazioni interne al mondo della formazione e della precarietà nella scuola, nelle università e nella ricerca, già al centro dell’agenda pubblica di movimento e di governo durante lo scorso anno. Ancora sottotono alcune volte, aprendo spazi di dibattito e assumendo centralità nel conflitto, nella rappresentazione mediatica e pubblica in altre occasioni, la questione della formazione, dei finanziamenti dell’università, della sfida alla (e della) nuova “ideologia meritocratica” sarà ancora una volta uno dei temi centrali di questo autunno “caldo”.

La partita si è ri-aperta in queste settimane a partire dalle lotte, in particolare con la mobilitazione delle migliaia di docenti e ricercatori precari i cui posti di lavoro sono stati tagliati dalla Gelmini; nello stesso tempo l’offensiva governativa e/o baronale avanza sul piano della contrattazione politica tra baroni e governo, i primi volti a spartirsi, previo accordi e contropartite politiche, le briciole dei tagli su basi meritocratiche, il secondo deciso a lanciare un’offensiva determinata contro le istanze dell’Onda. Capaci di avere presa, di definire una nuova soggettività complessa e di aprire la fase di crisi di questo governo, le pratiche e i discorsi del movimento hanno nei fatti aperto una nuova fase: a partire da questo dato, e assumendo che tutta l’intelligenza e la forza dimostrate lo scorso anno vanno nuovamente messe in campo, le forze le passioni e le “ragioni” dell’Onda hanno tutte le potenzialità per comporre nuove e più efficaci forme di generalizzazione e ricomposizione.

La sfida che quest’anno abbiamo di fronte, seppur complessa e articolata, va ricondotta a mio avviso ad un tema, una parola d’ordine, un concetto al centro di una vera e propria controffensiva che governo e baroni lanciano contro le  istanze del movimento dell’Onda costruita intorno all’ideologia della meritocrazia. Un merito ed una meritocrazia, si badi bene, inserite in un contesto specifico: quello di un paese che inventa la privatizzazione dell’università senza privati, di un paese che non investe sulla conoscenza e sul welfare, in particolare sui giovani e sugli studenti.


Frati, sui giornali di ieri, ha dichiarato che la decisione del Cda della Sapienza di premiare i meritevoli attraverso la differenziazione sulle tasse ( università gratis per i meritevoli, indipendentemente dalle condizioni di reddito) apre la fase dell’università del merito. A partire dunque dalla mossa del rettore che pochi mesi fa, per la seconda volta, minacciava il commissariamento della più grande università d’Europa, si apre con forza anche alla Sapienza la sfida, che dobbiamo saper cogliere e vincere, intorno alla nuove ideologia del Merito. La Meritocrazia sarebbe nell’ottica della propaganda governativa una prospettiva di avanzamento, di innovazione ma si rivela piuttosto come una promessa illusoria di un futuro glorioso per nascondere la realtà di una salto al passato, di un’ancoraggio reazionario funzionale al peggioramento generalizzato delle condizioni di vita.

Capace di riscuotere consenso giustizialista nel paese più corrotto d’Europa, l’ideologia meritocratica nasconde politiche ben più inquietanti e pericolose di quanto si possa immaginare: più che parlare di meritevole essa definisce il “non-meritevole”, più che definire dei privilegi evidenzia un peggioramento generalizzato, senza intaccare i privilegi clientelari e baronali ma colpendo i precari, gli studenti, i ricercatori.

Più che definire i pochi che non pagheranno le tasse, la manovra della Sapienza definisce chi quasi sicuramente subirà un aumento delle tasse, e dunque i “maledettissimi” fuori corso, i ripetenti, e anche gli studenti “normali”, perché i tagli della 133 esistono e non si può far finta di niente; la Sapienza inoltre, non è neanche virtuosa, dunque niente briciole di quel 7 per cento distribuito dalla Gelmini alle migliori università. La Sapienza è una delle università più corrotte ma non si sa bene come, se non in virtù di un artificio retorico e simbolico, che però va preso molto seriamente, il barone Frati la definisce “università del merito”. E aggiunge, il rettore, che se pur “perderemo qualche introito, guadagneremo in qualità”. Dunque, tradotto in termini pratici, chi pagherà? Chi pagherà l’eccellenza inventata per differenziare i finanziamenti tra i dipartimenti, aprendo alla guerra tra corsi di laurea per la sopravvivenza e allo sfruttamento ancor più intensivo dei ricercatori, dottorandi e anche degli studenti? Chi pagherà il peggioramento delle condizioni di vita, di sostenibilità del percorso formativo, di dequalificazione dell’offerta formativa?

La manovra in questione, osannata dal Messaggero e dal Corsera, apre dunque alle manovre amministrative che sono volte alla differenziazione sulle tasse per la prima volta non su una base di reddito ma a partire da un discorso intorno al merito che nasconde questioni assai importanti: come le dichiarazioni di Sacconi invitano a fare, i lavori umili sarebbero il destino di giovani e studenti, un’ideologia del sacrificio presentata sotto nuove forme che nulla hanno a che fare con una reale innovazione.

Assieme a questo una serie di provvedimenti amministrativi segnano pesantemente l’inizio del nuovo anno accademico: l’aumento delle tasse, necessario e inevitabile seppur differenziato tra gli atenei, l’applicazione della 270 e la restrizione diffusa e articolata per facoltà dell’autonomia dei percorsi formativi, della gestione dei piani di studi, l’introduzione coatta del part-time, la precarietà che prende la via della definitiva consacrazione a regime di sfruttamento nella ricerca.

Come ribellarsi e costruire l’alternativa, l’opposizione ai tagli e la costruzione dell’università del comune, tocca al movimento, agli studenti e ai precari inventarlo: le premesse ci sono, l’autunno è una sfida che non possiamo non accettare, e saper vincere.

Tratto da: uniriot.org