Un dato emerge con chiarezza in queste settimane: si sta riaprendo in termini complessivi una partita molto importante, quella che riguarda la definizione delle trasformazioni interne al mondo della formazione e della precarietà nella scuola, nelle università e nella ricerca, già al centro dell’agenda pubblica di movimento e di governo durante lo scorso anno. Ancora sottotono alcune volte, aprendo spazi di dibattito e assumendo centralità nel conflitto, nella rappresentazione mediatica e pubblica in altre occasioni, la questione della formazione, dei finanziamenti dell’università, della sfida alla (e della) nuova “ideologia meritocratica” sarà ancora una volta uno dei temi centrali di questo autunno “caldo”.
La partita si è ri-aperta in queste settimane a partire dalle lotte,
in particolare con la mobilitazione delle migliaia di docenti e
ricercatori precari i cui posti di lavoro sono stati tagliati dalla
Gelmini; nello stesso tempo l’offensiva governativa e/o baronale avanza
sul piano della contrattazione politica tra baroni e governo, i primi
volti a spartirsi, previo accordi e contropartite politiche, le
briciole dei tagli su basi meritocratiche, il secondo deciso a lanciare
un’offensiva determinata contro le istanze dell’Onda. Capaci di avere
presa, di definire una nuova soggettività complessa e di aprire la fase
di crisi di questo governo, le pratiche e i discorsi del movimento
hanno nei fatti aperto una nuova fase: a partire da questo dato, e
assumendo che tutta l’intelligenza e la forza dimostrate lo scorso anno
vanno nuovamente messe in campo, le forze le passioni e le “ragioni”
dell’Onda hanno tutte le potenzialità per comporre nuove e più efficaci
forme di generalizzazione e ricomposizione.
La sfida che
quest’anno abbiamo di fronte, seppur complessa e articolata, va
ricondotta a mio avviso ad un tema, una parola d’ordine, un concetto al
centro di una vera e propria controffensiva che governo e baroni
lanciano contro le istanze del movimento dell’Onda costruita intorno
all’ideologia della meritocrazia. Un merito ed una meritocrazia, si
badi bene, inserite in un contesto specifico: quello di un paese che
inventa la privatizzazione dell’università senza privati, di un paese
che non investe sulla conoscenza e sul welfare, in particolare sui
giovani e sugli studenti.
Frati, sui giornali di ieri, ha dichiarato che la decisione del
Cda della Sapienza di premiare i meritevoli attraverso la
differenziazione sulle tasse ( università gratis per i meritevoli,
indipendentemente dalle condizioni di reddito) apre la fase
dell’università del merito. A partire dunque dalla mossa del rettore
che pochi mesi fa, per la seconda volta, minacciava il commissariamento
della più grande università d’Europa, si apre con forza anche alla
Sapienza la sfida, che dobbiamo saper cogliere e vincere, intorno alla
nuove ideologia del Merito. La Meritocrazia sarebbe nell’ottica della
propaganda governativa una prospettiva di avanzamento, di innovazione
ma si rivela piuttosto come una promessa illusoria di un futuro
glorioso per nascondere la realtà di una salto al passato, di
un’ancoraggio reazionario funzionale al peggioramento generalizzato
delle condizioni di vita.
Capace di riscuotere consenso
giustizialista nel paese più corrotto d’Europa, l’ideologia
meritocratica nasconde politiche ben più inquietanti e pericolose di
quanto si possa immaginare: più che parlare di meritevole essa
definisce il “non-meritevole”, più che definire dei privilegi evidenzia
un peggioramento generalizzato, senza intaccare i privilegi clientelari
e baronali ma colpendo i precari, gli studenti, i ricercatori.
Più
che definire i pochi che non pagheranno le tasse, la manovra della
Sapienza definisce chi quasi sicuramente subirà un aumento delle tasse,
e dunque i “maledettissimi” fuori corso, i ripetenti, e anche gli
studenti “normali”, perché i tagli della 133 esistono e non si può far
finta di niente; la Sapienza inoltre, non è neanche virtuosa, dunque
niente briciole di quel 7 per cento distribuito dalla Gelmini alle
migliori università. La Sapienza è una delle università più corrotte ma
non si sa bene come, se non in virtù di un artificio retorico e
simbolico, che però va preso molto seriamente, il barone Frati la
definisce “università del merito”. E aggiunge, il rettore, che se pur
“perderemo qualche introito, guadagneremo in qualità”. Dunque, tradotto
in termini pratici, chi pagherà? Chi pagherà l’eccellenza inventata per
differenziare i finanziamenti tra i dipartimenti, aprendo alla guerra
tra corsi di laurea per la sopravvivenza e allo sfruttamento ancor più
intensivo dei ricercatori, dottorandi e anche degli studenti? Chi
pagherà il peggioramento delle condizioni di vita, di sostenibilità del
percorso formativo, di dequalificazione dell’offerta formativa?
La
manovra in questione, osannata dal Messaggero e dal Corsera, apre
dunque alle manovre amministrative che sono volte alla differenziazione
sulle tasse per la prima volta non su una base di reddito ma a partire
da un discorso intorno al merito che nasconde questioni assai
importanti: come le dichiarazioni di Sacconi invitano a fare, i lavori
umili sarebbero il destino di giovani e studenti, un’ideologia del
sacrificio presentata sotto nuove forme che nulla hanno a che fare con
una reale innovazione.
Assieme a questo una serie di
provvedimenti amministrativi segnano pesantemente l’inizio del nuovo
anno accademico: l’aumento delle tasse, necessario e inevitabile seppur
differenziato tra gli atenei, l’applicazione della 270 e la restrizione
diffusa e articolata per facoltà dell’autonomia dei percorsi formativi,
della gestione dei piani di studi, l’introduzione coatta del part-time,
la precarietà che prende la via della definitiva consacrazione a regime
di sfruttamento nella ricerca.
Come ribellarsi e costruire
l’alternativa, l’opposizione ai tagli e la costruzione dell’università
del comune, tocca al movimento, agli studenti e ai precari inventarlo:
le premesse ci sono, l’autunno è una sfida che non possiamo non
accettare, e saper vincere.
Tratto da: uniriot.org