Il giorno degli sciacalli

15 / 1 / 2019


C’erano tutti i big del governo italiano ad attendere Cesare Battisti all’aeroporto di Ciampino. L’atmosfera è quella degli avvenimenti importanti; le espressioni ricordano quelle dei bracconieri d’altri tempi in attesa di fare la foto di gruppo con la preda uccisa dopo una battuta di caccia grossa. Salvini e Bonafede si contendono la preda. Il primo ha cercato fin dall’inizio di prendersi tutti i meriti della cattura di Battisti, vantandosi degli ottimi rapporti con il neofascista Bolsonaro. Ha agito con tutto il suo repellente repertorio, agitando la sua “bestia” con il must “la pacchia è finita” e usando la vicenda come sponsor della scuola politica (sic!) leghista invitando il figlio di Torregiani. Il guardasigilli non può rimanere a guardare, il giustizialismo è tema troppo caro ai grillini per farselo scippare dallo spaccone leghista, e allora giù con l’ergastolo, il carcere duro, l’isolamento. E chi se ne frega se l’ergastolo è considerato «pena umiliante e degradante» anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Non plaude solo il governo all’arresto di Battisti. Tutte le forze politiche, senza particolari distinguo, si dicono soddisfatte dell’operazione. Insomma «giustizia è fatta!» per tutti. E non regge più neanche il vecchio garantismo dei “sinceri democratici” di fronte alla voglia di brindare alla cattura di uno che aveva mostrato la propria inimicizia allo Stato senza troppi giri di parole e che - affronto ancor più grande! - la stava quasi per fare franca. Troppo grande la voglia di vendetta, troppo vivo quel dibattito sulla “violenza politica” che ha trasformato antropologicamente e culturalmente la sinistra istituzionale italiana a partire dagli anni ’60 e ’70. E intanto torna in Italia quel tintinnio di manette, la goduria di vedere persone in galera, il primato della statualità, della legge, della coazione per cui destra e sinistra continuano ad andare a braccetto.

Per certi versi sembra di rivivere il caso Öcalan, consegnato alla Turchia da D’Alema con il benestare di tutta a politica nazionale. Un’accusa di terrorismo solida come la cartapesta e un intrigo internazionale che ha reso la vicenda degna della trama del film di Zinnemann di cui siamo debitori nel titolo di questo articolo. Una trama che sembra ripetersi in questi giorni: Brasile, Bolivia, Italia; il fascista Bolsonaro e il “comunista” Morales che giocano a ping pong con un sessantacinquenne inerme; un gioco di promesse e ricatti che sembra quasi impossibile legare solo all'arresto di una persona che avrebbe commesso dei reati 40 anni fa.

Battisti è il capro espiatorio di una storia che non ha mai accertato i suoi “delitti”[1], il suo arresto la spettacolarizzazione di un potere che deve sempre più legittimare con forza il monopolio della violenza, schierando la platea di sciacalli. Ed è qui che si politicizza la disumanità, la si rende merce da social network ed elogio della necropolitica.

Ma Battisti non abbassa mai lo sguardo di fronte al “comitato d’accoglienza”, reale e virtuale. Non è un martire, e lo sa benissimo. Non ha mai rinnegato nulla di quel passato, di quell’opzione politica sconfitta dalla storia, dal capitale, dallo Stato, dai suoi stessi compagni che gli hanno voltato le spalle e lo hanno accusato. Sa di dover scontare la galera, di non aver più alcuno strumento di diritto per potersi difendere dai crimini che gli vengono attribuiti, perché la legge italiana, unica in Europa, non prevede una ripetizione del processo, in caso di cattura di chi viene condannato in contumacia. Sa che per l’omicidio Torregiani - quello a cui più di altri il suo nome è legato, ma allo stesso tempo il più controverso – non c’è più nulla da fare. Come non c’è più nulla da fare per tutti gli altri giudizi emessi sulla base di pentimenti quantomeno ambigui, di una legalità distorta dallo stato d’emergenza.

Battisti sa anche di rimettere piedi in un Paese dove i macellai di Genova 2001 hanno fatto carriera; dove gli assassini di Cucchi, Aldrovandi, Bianzino sono ancora liberi di manganellare, depistare, uccidere; dove il piattume politico-culturale ha messo sullo stesso piano lo stragismo neofascista, quello che colpiva nel mucchio con le bombe, con le strategie di lotta armata comunista, legittime o meno che fossero. Sa infine che per alcuni "la pacchia continua ancora", che la riabilitazione dell'eversione nera consente tuttora ad alcuni personaggi come Roberto Fiore di far parte dell'arena politica.

Sa tutto questo e tante altre cose, ma non abbassa lo sguardo, perché sa che chi ha sognato, ha scritto e ha lottato non avrà mai gli stessi occhi di uno sciacallo.



[1] Per un breve excursus del “caso Battisti” consigliamo la lettura de Le FAQ (Frequently Asked Questions) su Cesare Battisti aggiornate, Carmillaonline, 16 settembre 2015