Il 28 gennaio inizia il viaggio contro la crisi

25 / 1 / 2011

La cosa più grave di questa stagione non è tanto la crisi globale, di sistema, quanto piuttosto la ricetta scelta dai poteri forti mondiali e dai governi per uscirne fuori. I criteri, e le persone fisiche che guidano il processo di redistribuzione dei poteri, delle regole e della ricchezza sono gli stessi, neoliberisti, che l'hanno provocata. C'è un solo pensiero - per semplicità lo chiamiamo pensiero unico - dietro l'operazione autoritaria che cancella i diritti sociali, del lavoro e di cittadinanza e al tempo stesso riprone un modello di sviluppo energivoro diventato incompatibile con l'ambiente e con la democrazia. Un modello che inquina il territorio (fino a militarizzarlo con il nucleare, a cementificarlo con Tav e ponti improbali, ad armarlo con le basi americane) e l'ambiente con il suo percolato di veleni e di mafie.

Se fosse così, e se la percezione di questo disastro fosse diffusa, sarebbe normale che alla preparazione e alla realizzazione di uno sciopero generale dei lavoratori metalmeccanici a cui si vuole cancellare dignità e soggettività, partecipassero tutti i soggetti e le figure sociali colpite dalla crisi e schiaffeggiate dalle ricette autoritarie neoliberiste. Qualcosa di simile sta realmente avvenendo intorno all'appuntamento di venerdì della Fiom. Ma non è normale bensì straordinario, quasi rivoluzionario, che la Fiom partecipi alle assemblee nelle università con studenti e precari, o che indìca manifestazioni insieme ai comitati che si battono contro le discariche, o propongono diversi consumi, diversa mobilità e la salvaguardia dei beni comuni. Altrettanto straordinario è che una città, Torino o almeno la sua parte migliore, torni in sintonia con i suoi operai e prepari in grande il ringraziamento ai carrozzieri di Mirafiori che con i loro no - e persino con molti sì costretti - hanno difeso la dignità di tutti dai diktat di Marchionne. O che gli studenti romani della Sapienza si organizzino per andare a Cassino a manifestare insieme agli operai della Fiat in sciopero, o quelli partenopei a Pomigliano, o quelli siciliani a Termini Imerese. È straordinario che in tanti centri sociali, da Jesi a Palermo al Nordest, si riuniscano in affollatissime assemblee le vittime della crisi per far crescere la partecipazione alle manifestazioni della Fiom in ogni regione italiana, in ogni luogo della crisi produttiva o democratica.

Certo, non è la prima volta che gli studenti vanno a volantinare davanti alle fabbriche, o che gli operai e i sindacalisti intervengono nelle scuole e nelle università. Ma è la prima volta che questo avviene non per pura solidarietà, sentimento peraltro nobile e da valorizzare come ha precisato Maurizio Landini a Marghera, ma per condizione sociale. La distruzione del lavoro, dei diritti, del sapere, della cultura, della libera informazione, la precarizzazione di massa che impedisce a più di una generazione ormai di progettare il proprio futuro, se da un lato tenta di scatenare una guerra tra poveri, tra generi, tra lavoratori dei nord e dei sud dei mondo, dall'altro lato rende più simili figure diverse colpite allo stesso modo.
Questo piccolo miracolo sostenuto dall'esperienza di Uniti contro la crisi è solo l'inizio di un cammino che potrebbe essere lungo, sicuramente difficile e contraddittorio. A renderlo difficile è il suo pregio: non punta sulla sommatoria di culture esperienze e sigle diverse, non è l'ennesimo, stucchevole intergruppi. Come dicono oggi sul «manifesto» le due persone che più hanno lavorato alla costruzione di questo «caravanserraglio» (luogo di accoglienza di chi migra e dunque cammina), bisogna costruire una cultura, dei linguaggi e delle pratiche nuove comuni. Buon viaggio e buon 28 gennaio.