Il 14 oltre il 14

Brevi riflessioni dalla Toscana

21 / 12 / 2010

Roma, Piazza del Popolo, 14 dicembre. Pratiche di degna rabbia. Produzioni di conflitto. Tumulti, rivolta. La piazza che resiste, che solidarizza con chi, più avanti, lancia i propri corpi contro finanzieri e poliziotti. La camionetta barcolla e le guardie indietreggiano, si esulta e si applaude. Quei corpi che si rivoltano contro chi gli scarica addosso la crisi. Quei corpi non educati, che non chiedono permesso per entrare in piazza Montecitorio, perché la porta è chiusa, inutile bussare, i padroni di casa sono sordi, non hanno intenzione di aprire. Ma in quella casa si decidono le sorti del Governo, di un Governo che non ci rappresenta, di un Governo che manovra la crisi di un sistema che non vogliamo. Allora quella porta va sfondata, per far arrivare la nostra voce, una voce piena di rabbia. Sulla porta ci sono le guardie, ma non abbiamo paura, perché oggi “tutti insieme facciamo paura!”.

E dopo, le radio, le televisioni, perfino “intellettuali ”famosi, quelli buoni e buonisti: sono stati 50, 100 imbecilli, sono entrati in azione i black block. Solo chi non c'era ha visto questo, e solo chi non ha ascoltato, né letto niente (o l'ha fatto male) può fare certe affermazioni. In Piazza del Popolo, c'era una generazione, anzi più di una generazione, a cui vogliono rubare il futuro. E queste generazioni hanno detto NO, il futuro è nostro, ci spetta, lo pretendiamo, lo (ri)vogliamo. Coloro che non vogliono vedere la realtà, o peggio, la vogliono mascherare per rendiconti di palazzo, sono colpevoli e complici di quel sistema che sta manovrando la crisi per salvare chi sta in alto e affossare chi sta in basso. E chi pensava che il conflitto non fosse più praticabile, non ci fosse la forza, chi vedeva i giovani come una massa di “bamboccioni”, adesso deve fare i conti con la piazza del 14 dicembre. Una piazza che ha praticato quello che in molti credevano e volevano impraticabile. Una piazza che ha detto ci siamo, siamo tanti e siamo...incazzati. Il margine non è più una linea di demarcazione tra ricchi e poveri, tra nord e sud, tra chi può e chi non può, il margine si fa spazio politico di conflitto, composito, complesso, articolato, mutevole, non identificabile.

La crisi economica e la crisi di rappresentanza sono esplose nella loro sistemicità e si stanno mostrando per quello che sono: strumenti in mano ad una governance colpevole che li sta utilizzando per ridisegnare un nuovo ordine sociale.

Oggi è il 21 dicembre, è trascorsa una settimana esatta, sette giorni che sono serviti a ministri e onorevoli di quel Governo che non vogliamo per tradirsi, per tradire, attraverso modi e contenuti delle loro esternazioni, quello che il 14 sera pronunciavano come una verità: “sono stati 100 teppisti”. La piazza del 14 ha espresso potenza, qualitativa e quantitativa, non è stato il palcoscenico per quei 100 cretini che ci stanno propinando in tutte le salse (mi domando poi chi gli abbia insegnato a contare!). E anche loro, lassù in alto, attaccati alle loro poltrone, lo sanno bene, ma non lo possono e non lo vogliono ammettere. Ma si tradisce da solo La Russa, quando inizia a sbraitare indegnamente ad Anno Zero, e ad uno studente della Sapienza non riesce a dire altro che “vigliacco, vigliacco, vigliacco...” (ma chi sono i vigliacchi: chi scende in piazza armato solo del proprio corpo e di qualche oggetto di fortuna e protetto solo da un casco o chi, equipaggiato in perfetto stile robocop, carica con le camionette?), per poi esibirsi in un recital che esprime tutto il fascismo che lo abita. E tradisce l'intero Governo Gasparri quando inizia a parlare di “arresti preventivi” e di altre misure tipiche di regimi dittatoriali. E poi che qualcuno gli suggerisca di leggersi due libri, prima di parlare. Si tradiscono perché sanno che un semplice dissenso si è trasformato in conflitto sociale. Lo sanno e non riescono più a coprirlo, gli esce da tutte le parti, la coperta ormai è corta.

Domani è il 22 dicembre, gli studenti tornano in piazza. Noi, che studenti più non siamo e a Roma non ci saremo, saremo ugualmente in piazza con Loro. Noi che siamo Loro, Loro che sono il nostro futuro. Noi che siamo pronti ad accogliere ed ascoltare quello che la piazza di domani esprimerà. Noi che ci crediamo. Noi che proviamo a costruire sogni e speranza.

Noi che la sera del 14 siamo tornati a casa, nei nostri territori, consapevoli che qualcosa era successo. E quella consapevolezza nei giorni successivi si è rafforzata. Una consapevolezza che ci deve accompagnare nel costruire pratiche di conflitto e alternative. Ogni Noi, oggi, a casa sua, continua a lottare (come faceva ieri) per i diritti, per la vera democrazia, con i migranti, per il lavoro, per il sapere, per i beni comuni, e lo fa sapendo che il 14 qualcosa di importante è successo.

A tutti questi Noi adesso il compito di incontrarsi, di attraversarsi, di meticciarsi, di costruire e praticare il Comune.

Qui, in Toscana, la neve se ne è quasi andata, ma per tre giorni è stata lei la protagonista. Ha iniziato a cadere lenta ma potente. Tutta insieme faceva paura! Difficile poi mandarla via. Adesso sta scomparendo, si sta sciogliendo, sta penetrando nel terreno. E la campagna ne beneficerà, il terreno sarà ricco di acqua. Forse avrà seccato qualche ulivo, ma non possiamo farci niente...

Bella era la piazza del 14, bella sarà la piazza di domani. Bella è la neve.

Dalla Toscana, Los Pelos