L'Europa nel pallone al tempo della crisi.

Hakkaa Päälle - All'attacco -

Parte prima. Nazionalismi, xenofobia nell'Europa divisa tra UE e Uefa.

16 / 6 / 2009

 La crisi strutturale della globalizzazione che travolge anche l'Europa economica e politica, con i risultati delle elezioni europee che disegnano un continente confuso e infelice, ha avuto un singolare riflesso nel  sistema calcio europeo nel corso di questo ultimo anno. Se l'Europa si scopre politicamente  in balia a sovranismi e localismi  dagli esiti ancora non prevedibili, ma che si segnalano per l'affermazione di una destra dichiaratamente nazionalista e xenofoba, il suo calcio,  come già avvenuto in passato, è specchio fedele, attore partecipe e accelleratore delle molte cotraddizioni del vecchio continente; come non ricordare gli scontri, in campo e sugli spalti, fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado alla vigilia del conflitto dei Balcani. Non si tratta di riportare e segnalare una fenomenologia di fatti e azioni che coinvolgono il sistema calcio, ed in particolare tutto quello che avviene intorno ad una partita, dalle tifoserie, alle società, al calciomercato, ma di comprendere come una delle industrie più redditizie del capitalismo globale, e sicuramente quella mediaticamente più seguita,  sia una parte integrante dei processi di apertura/chiusura generati da una crisi struttrale come quella che stiamo vivendo.

In questo senso appare evidente come l'istituzione europea che realmente ha una considerazione politico/economica  forte e concreta sia l' Uefa, che ha tra i suoi affiliati la totalità dei paesi  geograficamente europei, più alcuni che nell'Europa del consiglio ci vorrebbero entrare. La stessa Uefa che ha già risolto il problema Turchia, ha federato i paesi del Caucaso ed ha aperto le sue porte a Israele; è sempre stata la prima a riconoscere le federazioni dei  neonati stati nella disgregazione territoriale e nelle guerre post-caduta del muro, ben prima della commissione di Strasburgo o dell'Alleanza Atlantica.

La gestione politico/sportiva del  presidente M. Platini, sorta di novello Mitterand, ha portato alla assegnazione della fase finale del campionato europeo di calcio del 2012 alla Polonia, primo stato ad est della Germania dalla caduta del muro nel 1989. E' stata varata l'Europa Legue, una gigantesco torneo che garantisce la partecipazione a tutti gli stati membri con più di una squadra ed una possibilità di accesso e competizione più orizzontali; una possiblità per tutti, una sola, ma l'opportunità, comunque, di partecipare al calcio che conta. Questa capacità di allargamento contrasta con un immobilismo politico dell' unione europea, che nei vent'anni che ci separano dalla caduta del muro ha vissuto una sorta di sonno della ragione sulle reali dinamiche sociali e politiche di molta parte dei paesi dell' Europa orientale, balcanica e cuacasica. Nelle crepe di questa, come di altre, contradizioni, certamente aggravate ed esaltate dalla crisi, non sorprende lo svillupparsi di fenomeni che il risulato delle europee ha solo esplicitato.

Dall' estate del 2008 gli stadi europei sono stati  testimoni di fenomeni di vario genere: l'alleanza delle tifoserie di estrazione slava in difesa di una tradizione panslavista che, trascinandosi dietro le ferite della guerra nei balcani e dei bombardamenti in Serbia, vede nell' Ue il nemico giurato.  Dall'esposizione di uno striscione come «Impossibile dividere gli slavi: morte all’Ue» in vari stadi dell' Europa centro/orientale si è arrivati allo scontro aperto fra tifoserie nelle partite di Coppa Uefa tra Sparta Praga e Dinamo Zagabria. Peggio è andata in quei campionati nazionali dove spesso si sono affrontati squadre di estrazione etnica differente, scontri e assalti sono stati all'ordine del giorno. Il caso più grave è stato quello del Fk-Dac di Dunaszerdahely, squadra di una cittadina slovacca a maggioranza ungherese, che ha visto le sue partite diventare un richiamo per gruppi di ultrà di altri club magiari di oltre confine in nome della nostalgia di una grande Ungheria. In particolare l’incontro con lo Slovan Bratislava è stato caratterizzato da scontri, dure cariche della polizia e decine di feriti. La situazione si è talmente complicata da richiedere un vertice internazionale tra i capi di stato dei due paesi. Ma l'episodio più eclatante è quello avvenuto il mercoledì successivo alla tornata elettorale nel vecchio continente. Allo stadio Olimpico di Helsinki si disputava la partita valida per le qualificazioni ai mondiali in Sudafrica del prossimo anno tra la Finlandia e la Russia; ad aspettare l'arrivo dei tifosi russi c'erano più di 200 finlandesi che lanciando il grido di guerra della cavalleria medievale finnica, guardia reale del sovrano svedese, hanno dato vita a violentissimi scontri con i russi. "Hakkaa Päälle" -All'attacco- era scritto su di uno striscione ritrovato dopo gli incidenti; il motto è stato utilizzato anche nella campagna elettorale dal partito dei VeriFinlandesi che alle elezione europee è stato votato dal 10% della popolazione sulla base di una campagna elettorale incentrata tutta contro la presenza straniera e la confinante Russia.

Altra grande questione è quella del razzismo. Il programma della Uefa, che si chiama F.A.R.E., prevede una serie di iniziative di coinvolgimento di tutte le reltà, locali e nazionali, tutti i soggetti formali, società sportive e federazioni, e informali, tifoserie e gruppi ultrà, che si vogliaono impegnare nella lotta ad ogni forma di razzismo e discriminazione razziale e religiosa. Pochissime sono le società di calcio professioniste che hanno aderito, molte di più le tifoserie; di fatto, in un contesto sociale europeo travolto da emergenze sicuritarie e dalla fobia del differente/straniero, il sistema calcio non genera anticorpi, ma a stento mantiene la sua battaglia di principio. Nella realtà anche quest'anno sono stati numerosi gli episodi di razzismo negli stati europei che hanno riportato all'attenzione ad un fenomeno che nelle città e negli stati d' Europa si misura con l'aumento di agressioni, violenze e omicidi a sfondo razzista. Blande le contromisure, le squalifiche e le sanzioni a società e giocatori; tanti i comportamenti ambigui e le connivenze malcelate per opportunità di convivenza.

Sempre di più non dalla panchina ma dagli spalti e dalle strade intorno allo stadio si alza il grido "all'attacco!".

Una parte consistente della società europea sembra essere scesa in guerra, o è pronta a farlo, non per rivendicare un suo diritto negato, ma per difendersi da una crisi che genera paura e indifferenza e che rinchiude in recinti da cani rabbiosi; una parte di questa società si è allenata, abbeverata e nutrita nel recinto mediatico dello stadio/partita. L'opportunità della crisi, se c' è una sua parte migliore, ci apre a scenari complessi e non scontati, ma per adesso all'appuntamento del 2012 sui campi della Polonia si potrebbe presentare un Europa di nuovo pronta allo scontro.

                                                                                                    -segue-

Incidenti alla partita Finlandia - Russia

Razzismo e antirazzismo negli stadi