Ha vinto il “modello Bolsonaro”

31 / 12 / 2021

Che il capitale fosse un regime che ha sempre privilegiato il profitto rispetto alla vita delle persone, o meglio che ha messo la seconda al servizio del primo, non lo abbiamo scoperto di certo in questi ultimi due anni. Senza scomodare concetti troppo impegnativi come necropolitica e teoria malthusiana, basti pensare all’aumento di morti e infortuni sul lavoro avvenuto in questo biennio di crisi e ripartenza forzata (le statistiche Inail ci parlano in Italia di 2838 decessi accertati avvenuti negli anni 2020 e 2021, a fronte di 2366 dei due anni precedenti; un dato spaventoso se correlato al fatto che nello stesso periodo c’è stata una sensibile diminuzione del numero complessivo degli occupati).

Potrei citare altri esempi diventati quasi banali, come i morti per polveri sottili che da oltre dieci anni superano i 300.000 all’anno solo nell’Unione Europea (i dati sono dell’Agenzia europea dell’ambiente) o il caso specifico dell’Ilva di Taranto, spesso considerato vero e proprio paradigma di quella contrapposizione tra profitto e vita (o tra salute e lavoro, dipende dai punti di vista) tipica del modello produttivo su cui si regge il mondo da quasi tre secoli

Perché allora il Covid, o meglio la sua gestione, rappresenta uno spartiacque? Perché ha messo a nudo questa tendenza, l’ha resa visibile con i dati quotidiani che continuiamo a leggere sulla pandemia, quelli di contagi, morti, ospedali sotto pressione (ricordiamoci sempre che in 10 anni – tra il 2007 e il 2017 - sono stati chiusi in Italia circa 200 ospedali, tagliati 45 mila posti letto, ridotto di 10 mila unità il personale medico e di 11 mila quello infermieristico; dati Annuario Statistico del Servizio Nazionale).

Ma soprattutto perché, dopo quasi due anni, l’arrivo previsto e prevedibile di una variante più contagiosa delle altre svela agli occhi di tutti l’incompatibilità di governi di matrice neoliberale con le uniche scelte strategiche possibili per contenere gli effetti del Covid e prevenirne le evoluzioni: potenziare al massimo la tracciabilità, garantire la disponibilità universale di dispositivi di protezione individuale, aumentare la ricettività ospedaliera e la sua capillarità, eliminare il brevetto sui vaccini (al momento unico, seppur parziale, strumento di tutela dagli effetti nefasti del virus) e favorire la loro diffusione globale (a oltre un anno dal lancio dei primi vaccini, più del 40% della popolazione mondiale non ha ricevuto neppure una dose, con percentuali che superano il 90% in alcuni paesi del continente africano; dati Onworldindata.org). Su quest’ultimo dato non è un mistero che le varianti si sviluppano per via di sacche non coperte dal vaccino, in particolare attraverso soggetti immunodepressi con malattie non trattate; cosa che dovrebbe farci riflettere non solo sulla criminale distribuzione diseguale dei vaccini, ma in generale sulla diseguaglianza nell’accesso alle cure come vera e propria mina vagante del mondo contemporaneo.

Non apro altre finestre sul rapporto tra neoliberismo e gestione della pandemia, in particolare legate alla non volontà dei governi di intervenire sulla crisi sociale del Covid-19. Una cosa per tutte, basti pensare che in Italia non è prevista alcuna indennità per le persone positive o per quelle che – per varie ragioni – sono costrette alla quarantena. Rinuncio quindi all’approccio sindemico, per tentare di semplificare un concetto: il modello neoliberale (cioè quello dominante nel mondo da trent’anni a questa parte) è incompatibile con la salute collettiva. Se consideriamo questo come un assunto, non ci dobbiamo poi così tanto meravigliare se le scelte che stanno prendendo numerosi governi del cosiddetto “Occidente” non siano così diverse da quanto ha sempre sostenuto Jair Bolsonaro in Brasile, considerato emblema del peggior negazionismo e addirittura in odore di processo per crimini contro l’umanità.

Soffermandoci sull’Italia, il nuovo decreto che verrà varato dopo la riunione della cabina di regia e di quella del Consiglio dei ministri prevede alcune novità importanti. Tra queste l’azzeramento della quarantena per i contatti diretti con positivi che abbiano ricevuto il booster: solo Ffp2 e tampone antigenico al quinto giorno dall’ultimo contatto nel caso in cui si abbiano sintomi. In poche parole, ancora una volta il contrasto al virus viene scaricato sul comportamento e la valutazione individuale (questi benedetti sintomi qualcuno li sa riconoscere con certezza?). Ma soprattutto, la tendenza - non formalizzata, ma indicata – è quella di diminuire progressivamente l’impatto del tamponamento Covid e riservarlo solo ai sintomatici. Fine del tracciamento (che in realtà non ha mai realmente funzionato) e di fatto fine di una benché minima parvenza di contrasto alla diffusione del virus, che è stata definitivamente sacrificata sull’altare del “non possiamo fermare il Paese!”.

Governo nazionale e governatori regionali hanno decretato che il virus, con la variante Omicron, stia entrando in una fase di “avirulenza”. Il bello è che questa ammissione avviene sulla base di fattori politici e non di carattere scientifico, visto tra l’altro che su Omicron mancano totalmente studi epidemiologici. Guardando il grafico sottostante (i dati sono sempre disponibili su ourworldindata.org) possiamo facilmente guardare come il dato della mortalità globale (che è l’unico in grado di stabilire quanto un patogeno stia perdendo o meno di virulenza) stia sì in una fase decrescente, ma all’interno di un quadro che ha avuto talmente tante fluttuazioni che è al momento impossibile comprendere se e quando ci sarà una curva discendente definiva.

Decessi morti Covid

Senza dunque farci prendere dallo “scientismo” - che pure si è rivelato fallimentare in questi mesi, vista la grande confusione e le tante contraddizioni che hanno imperversato nella comunità scientifica mondiale – dobbiamo constatare che a cavallo tra 2021 e 2022 stiamo assistendo a una resa consapevole e incondizionata nella lotta al Covid-19. Insomma un “si salvi chi può”, tanto a salvarsi sono sempre i più ricchi, quelli che hanno il privilegio di salire sulla scialuppa, come avviene per la crisi climatica. Se non è questo il “modello Bolsonaro”…

Un’ultima considerazione, su Green Pass, Super Green Pass e chi più ne ha ne metta. Alla luce degli ultimi accadimenti e scelte politiche appare molto più chiaro come questo dispositivo sia stata non solo una foglia di fico, ma lo strumento preliminare di una deresponsabilizzazione politica nella gestione della crisi sanitaria. Si è creato un paradosso, che è in realtà è una tecnica governamentale molto nota negli ambienti neoliberali: si esaspera un’emergenza fino a tal punto (per il potere) di goderne solamente i benefici, oscurandone completamente cause, effetti e soprattutto soluzioni. Naomi Klein la chiama Shock Doctrine del capitalismo: da un lato normalizzare la crisi (in tal senso consiglio di leggere l’editoriale di Aldo Cazzullo sul Corriere di giovedì 30 dicembre), dall’altro rendere quanto più profittevole la sua gestione emergenziale.

E così proprio la “certificazione verde”, su cui è stato costruito dall’alto uno scontro ideologico – con buona pace di coloro che hanno visto nel movimento di piazza No Green Pass i germi di una nuova insorgenza sociale –, ha avuto il compito non solamente di salvaguardare artificiosamente produzione e consumi, ma soprattutto di nascondere sotto al tappeto la non volontà di investire nelle cose di cui parlavo sopra, cioè nella salute collettiva. E checché ne dica l’Economist, che ha incoronato l’Italia “Paese dell’anno”, questa mi sembra la più grande ingiustizia sociale mai subita.