Dal Corriere della sera l'editoriale di Giavazzi sulle nuove regole finanziarie proposte da Obama

Grandi capitali e grossi equivoci

1 / 2 / 2010

Alcuni banchieri non hanno evidentemente prestato attenzione a quanto ha detto il presidente Obama. Sembrano non aver capito che a Washington è cambiata l'aria: riprendere a comportarsi come prima della crisi non sarà possibile. In realtà bastava leggere le proposte del Financial Stability Board per rendersene conto. Ma quelle parole di Obama: «Se i banchieri vogliono dar battaglia sono pronto», pronunciate accanto alla figura arcigna e imponente dell'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker, hanno rappresentato uno spartiacque. Talvolta le immagini contano più delle parole.

Alcuni banchieri — come ha spiegato ieri al Financial Times l'amministratore delegato di Deutsche Bank Josef Ackermann — ora propongono di autotassarsi per costituire un fondo di garanzia che dovrebbe far fronte a eventuali fallimenti bancari senza ricorrere ad aiuti pubblici. Apparentemente è un’idea che dimostra buona volontà; in realtà è il tentativo di distogliere l'attenzione da riforme che metterebbero a rischio i loro profitti. Se non si modificano le regole che hanno consentito che in alcune banche si accumulasse tanto rischio, la prossima crisi è solo questione di tempo. E una volta scoppiata non ci sarà fondo privato, per quanto grande, in grado di farvi fronte.
La proposta di Obama è semplice: a una banca non dovrebbe essere consentito esporsi ai rischi che corre un fondo speculativo. Se uno di questi fallisce, poco male, ma se fallisce una grande banca, essa rischia di trascinare con sé i propri correntisti e tutta l'economia. E’ un problema di «funzioni», cioè di che cosa una banca può e non può fare, non di «dimensioni». Banche troppo grandi sono un ostacolo alla concorrenza, ma se non mettono a rischio il loro capitale speculando non costituiscono necessariamente un pericolo per l'economia. Chi sostiene che sarebbe sufficiente spezzare le grandi banche non ha capito qual è la fonte del rischio.

Certo, separare le funzioni non è semplice. Ad esempio, come ha spiegato Alessandro Penati ( La Repubblica, 30 gennaio), quando una banca garantisce la liquidità di un mercato inevitabilmente prende dei rischi e può anche «mascherare» speculazioni in proprio. Ma questa funzione è essenziale per far sì che i mercati siano liquidi e i risparmiatori possano acquistare e vendere titoli senza costi eccessivi: sarebbe sbagliato impedirlo. Soluzioni perfette non esistono. Il punto è capire in che direzione muoversi evitando due tipi di errori. Da un lato errori dovuti alle illusioni di chi, ad esempio Giulio Tremonti, rimpiange le vecchie banche di 30 anni fa, scordandosi quanto frequenti anche in passato furono le crisi e dimostrando di non capire quanto sia importante per un’economia diversificare il rischio. Dall'altro l'errore di credere ai banchieri quando cercano di convincerci che separare le diverse funzioni di una banca è impossibile. Non lo è: alcune banche già dispongono di una contabilità interna che attribuisce costi e ricavi alle singole funzioni. Basterebbe usarla per identificarle e separarle.