Non è la prima volta che entriamo, sappiamo cosa aspettarci (e sappiamo che sarà sempre intollerabile), ma la visita al CIE di Gradisca del 26 luglio 2013 ha rilevato una situazione sempre più drammatica. L’ingresso, organizzato dalla Campagna LasciateCIEntrare, ha portato all’interno del CIE il parlamentare Nazzareno Pilozzi (SEL), il responsabile nazionale immigrazione di SEL, quattro consiglieri e un assessore della Regione Friuli Venezia Giulia, un assessore del Comune di Staranzano, due membri di ASGI, quattro di Tenda per la Pace e i Diritti e Gabriella Guido referente nazionale della campagna LasciateCIEntrare.
Capiamo già molto quando entriamo nel piccolo atrio che porta all’ala delle stanze o meglio alle celle.
Nell’atrio ci sono sei persone, di cui una di loro con le stampelle, una
con la mano fasciata e un’altra con visibili tagli al collo. “Trasferitemi, vi prego fatemi trasferire in un altro CIE” –K. H. ci racconta di aver avuto problemi con altre persone. “Nessuna stanza mi ha accettato”
ci spiega, facendoci vedere che la soluzione individuata dall’ente
gestore Connecting People è stata farlo dormire da settimane in un
corridoio, senza bagno e così ora non può nemmeno lavarsi.
Arriviamo
al settore rosso, l’unico in funzione con 67 persone su 68 posti. Dalle
camere da otto o dieci letti, con bagni, si accede solo a delle gabbie
esterne.
È il luogo in cui stanno i trattenuti per tutto il giorno, tranne il
breve tempo in cui, a piccoli gruppi, possono recarsi ai telefoni a muro
dell’atrio, le volte in cui sono chiamati a recarsi negli uffici o
condotti in infermeria.
Anche il cibo, di cui lamentano la scarsissima qualità, viene servito
nelle camere poiché la mensa, rimessa a nuovo dopo i danneggiamenti
delle rivolte di due anni fa, non viene utilizzata in quanto potrebbe
rappresentare un luogo di assembramento e quindi portare ad un rischio
di rivolta.
Non sono supposizioni nostre, sono le spiegazioni di rappresentanti di
Prefettura, Questura e Connecing People, solo pochi minuti dopo aver
ricordato che la struttura è stata costruita (a son di milioni e milioni
di euro) per gestire 248 persone!
Le recinzioni esterne alle
stanze da poco sono state chiuse anche con una rete metallica sopra le
teste: “Questo è il cielo che vediamo noi” dice un giovane guardando
verso l’alto.
L’angoscia ci prende quando l’unica immagine che la mente trova è quella
delle gabbie di uno zoo...e quasi ci sforziamo a guardare bene perchè
forse ci stiamo sbagliando, no, non ci sbagliamo, non ci sono animali
dentro, ma uomini.
Iniziamo a parlare con le sbarre che ci dividono, un ragazzo il cui
braccio è completamente segnato da tagli, si alza la maglietta
“Sto andando fuori di testa, non mi sono mai tagliato così e me ne vergogno. Voglio solo andarmene da qui, ho chiesto di essere rimpatriato, ho consegnato tutte le carte, ma il passaporto non ce l’ho e il consolato tunisino non mi riconosce come cittadino. Io 18 mesi qui non me li faccio, piuttosto mi ammazzo.”
Guardandoci attorno,
ancora “fuori dalle gabbie”, vediamo due persone in sedia a rotelle, un
altro con le stampelle e ancora tagli e cicatrici.
Chiediamo al responsabile della Prefettura che ci accompagna che ci
aprano le celle, le porte si aprono e si richiudono subito alle nostre
spalle.
Basta scambiare poche parole per capire chi è qui da più tempo e chi è
arrivato da poco. Si distinguono gli sguardi di chi mantiene ancora un
po’ di lucidità e vita da quelli spenti e assenti di chi assume
psicofarmaci per riuscire a sopportare la detenzione.
Lo stesso direttore del CIE afferma che con il rinnovo dell’appalto (1 aprile 2013) – riconfermato alla Connecting People – in collaborazione con l’ASS 2, si sta regolamentando l’uso di psicofarmaci e ammette che in precedenza la somministrazione era massiccia, mentre ora riferisce di una riduzione di circa un terzo. “Li prendiamo, li prendiamo alla mattina e alla sera. Anche chi non ha mai preso psicofarmaci prima qui dentro li chiede. Però adesso se ne vuoi di più ti dicono che non ci sono” ci raccontano alcuni ragazzi.
Appare chiaro che l’uso strumentale degli psicofarmaci serve per sostenere una situazione di sempre maggiore svilimento umano. Non vi è una corrispondenza tra ciò che una persona ha fatto (un reato) e una pena (il carcere), perchè il CIE non è un carcere, ma in modo ancor più spietato vi è la detenzione e l’isolamento totale. Non è consentito possedere il proprio telefono cellulare e non si ha accesso neppure a libri, giornali e a qualsiasi materiale infiammabile. Per questa stessa ragione, le persone detenute non possono neppure avere copia del Regolamento Interno del CIE e nemmeno le informazioni legali sui Diritti dei trattenuti, ci rivela il direttore con una tale tranquillità che ci fa pensare che forse non si rende neppure conto della gravità.
S.A. è già stato trattenuto ai
CIE di Roma, Milano e Caltanisetta. A Gradisca è arrivato 18 mesi fa,
la sua detenzione dovrebbe concludersi ma gli hanno comunicato che, a
causa di una fuga avvenuta a dicembre, il trattenimento inizierà da
quando è stato ri-catturato.
Come fosse un gioco le cui regole cambiano a seconda dell’estro del momento.
Ancora
da chiarire la presenza di 4 ragazzi che, secondo le carte redatte
dalla Questura di Cagliari, dove sono stati soccorsi in mare, sono di
cittadinanza siriana. La delegazione ha raccolto la loro volontà di fare
richiesta di protezione internazionale e non si capisce perchè non gli
sia stato possibile farla prima, dal momento che si trovano ormai da
molti giorni al CIE di Gradisca.
Alla richiesta di spiegazioni il funzionario della Questura di Gorizia
ha risposto che secondo loro non si tratta di siriani. Quando abbiamo
evidenziato che non è questa la procedura prevista dalla legge, che va
garantito il diritto d’asilo e lasciato l’accertamento a chi di dovere, è
stato semplicemente risposto: “Ecco sì, così dopo vedrete che diranno tutti che vengono dalla Siria”.
Sempre
più i CIE ricordano la realtà dei manicomi, Istituzioni Totali che non
svolgono la funzione per cui sono state create (si leggano tutti i
dossier con i dati sulla “efficienza” rispetto a rimpatri/esplusioni,
mentre siamo in attesa di ricevere quelli sul CIE di Gradisca), ma
luoghi di esclusione di chi è ritenuto un peso sociale.
In questa nuova forma vi è forse una “finezza di tecnica”, che scade nel
sadismo, le persone non vengono torurate direttamente, ma si creano
attorno ad esse le condizioni affinchè lo facciano da sole...