Giustizia poliedrica

Dal decreto “svuotacarceri” alla “operazione chirurgica” dei magistrati torinesi

27 / 1 / 2012

 In concomitanza con l'apertura dell'anno giudiziario si registrano due eventi destinati a segnare con forza l'esercizio della giustizia penale che ci aspetta nel prossimo futuro.

 La relazione del primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo mette in primo piano un'inedita soddisfazione per il risveglio dell'attenzione della politica per la giustizia come servizio, dopo che la politica per anni è sembrata intenta unicamente a ridimensionare il controllo di legalità su ogni potere. Un mutamento dell'atmosfera istituzionale e culturale che allude a rinnovate, importanti convergenze e sinergie mentre l'Europa ci tiene sotto osservazione. Si duole del troppo rapido consumarsi dei tempi di prescrizione, dell'alto tasso di litigiosità che connota il settore civile, delle carenze di organico dei magistrati, della tendenza a limitare il ricorso alle intercettazioni,  delle resistenze a depenalizzare  e decriminalizzare,  dell'eccessivo ricorso alla custodia cautelare in carcere assegnando alla risposta penale la sanzione di ogni comportamento deviante. Della situazione disastrosa in cui versa il pianeta carcere. E stigmatizza la scarsezza dei risultati del Piano straordinario approvato dal Consiglio dei ministri il 13 gennaio 2010, quando veniva dichiarato lo stato di emergenza del sistema penitenziario. Il decreto del nuovo governo, evidentemente, rientra  invece nel quadro delle sinergie e delle convergenze se va encomiata la relazione al Parlamento del nuovo ministro di Giustizia del 17 gennaio scorso, sottolineando il passaggio in cui si fa riferimento a “modalità di custodia francamente inaccettabili” per un Paese civile. Fermo restando che il nodo della pena e della sua esecuzione rappresenta un problema della società che riguarda tutti.

 In questi giorni infatti il Senato ha approvato a larga maggioranza il decreto che la consueta enfatizzazione mediatica ha chiamato “svuotacarceri”, ma che punta in concreto, come già messo in evidenza su queste pagine, a consentire l'ammissione al regime di detenzione domiciliare ai soggetti che debbono scontare ancora 18 mesi di reclusione per reati non gravi. Vale a dire circa 3.300 detenuti a fronte delle 25.000 presenze in più rispetto alla capienza tollerabile dal sistema. Le novità riguardano un emendamento che imporrebbe la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari entro il 31 marzo 2013 e un altro che escluderebbe dall'ammissione alla custodia domiciliare gli arrestati in flagranza per furto con strappo, rapina e estorsioni semplici. In altre parole gli ipotetici 3.300 destinati a scontare l'ultimo periodo di pena presso il proprio domicilio hanno già trovato chi li rimpiazzerà in cella. Quindi, mentre non è chiaro quali possano essere le caratteristiche delle nuove strutture, interamente a carattere ospedaliero e con una rete di vigilanza esclusivamente esterna, destinate a costituire il superamento della vergogna degli OPG, si dispone un doppio giro alla vite che governa la pressione penale sui reati predatori, vecchio cavallo di battaglia dei fomentatori dell'allarme sociale.

 Mentre non si sa se e quali aggiustamenti si daranno alle norme di attuazione della insensata  e criminale determinazione a ospitare nelle camere di sicurezza di questure e caserme quei 21.000 soggetti che ogni anno transitano per il carcere per il tempo tecnico necessario alla convalida del loro fermo prima della scarcerazione, non sottolinea invece, il presidente Lupo, il passaggio del decreto che recita “al fine di fronteggiare la grave situazione di emergenza conseguente all'eccessivo affollamento delle carceri, si ricorre in via prioritaria alle procedure in materia di finanza di progetto”. Laddove il progetto è la privatizzazione delle carceri. Vecchia storia nata negli anni del reaganismo e rilanciata dal guardasigilli leghista Castelli, il quale diede vita anche a una società, la Dike Aedifica spa, che doveva vendere carceri vecchie e comprarne di nuove, nonché fare affari penitenziari di varia natura. Si tentò senza successo di assegnare alla comunità di Muccioli una casa di lavoro in Emilia e ci pensò la Corte dei Conti e dichiarare costituita illegittimamente la Aedifica. Ma di leasing immobiliare e project financing si è continuato a parlare in questi ultimi anni, tentando nel 2010 di assegnare a Bertolaso poteri sostanzialmente illimitati nella negoziazione di contratti con privati sottratti a qualsiasi forma di controllo, prima che lo stesso Bertolaso fosse provvidenzialmente pensionato per raggiunti limiti di decenza. Ora, avendo a riferimento un sistema privato di gestione delle carceri che negli Usa ha prodotto 2 milioni di prigionieri, si rischia di introdurre una norma in contrasto palese con lo spirito dell'Ordinamento Penitenziario, inaccettabile dal punto di vista del diritto interno e internazionale. Se un privato investe nella costruzione e gestione di un carcere si aspetta che il suo investimento generi profitto attraverso un'equazione molto semplice: più detenuti uguale a più quattrini. Con l'eventualità tutt'altro che improbabile che le politiche penali subiscano l'influenza delle società private.

 In questo scenario inquietante si inserisce la ”operazione chirurgica” dei giudici torinesi: 41 indagati, 26 ordini di carcerazione eseguiti, 11 obblighi di dimora. Manette all'alba a Torino e in Val di Susa ma anche in altre 14 città, per una campionatura di imputati fortemente mediatica che  associa a giovanissimi incensurati un paio di sopravvissuti ai processi contro l'eversione di qualche decennio fa. Un'ordinanza di centinaia di pagine per reati di basso profilo: violenza, resistenza, lesioni, danneggiamento. Inquadrati in un contesto di protesta generalizzata cui partecipano 70.000 persone. Accompagnati da una nitida documentazione relativa alle violenze e illegalità riferibili alle forze dell'ordine e dalla inequivoca presa di posizione delle comunità che da anni difendono la Valle. I giudici torinesi decidono di ignorare senza mezze misure i motivi di rammarico del presidente Lupo in tema di carcerazione quale extrema ratio, in questo mettendo in evidenza il carattere eminentemente politico della loro ordinanza. A togliere ogni dubbio al riguardo ci pensa il procuratore capo Caselli, uno che dagli anni '70 primeggia nel campo della repressione penale dell'agire dei movimenti, sottolineando che solo tre degli indagati provengono dalla Val di Susa. Il messaggio è chiaro: ragazzi restate a casa vostra, qui si va in galera per niente, non vi immischiate. La questione si gioca qui. Dietro la facciata tecnico-buonista si lavora alla creazione di un sistema carcerario in grado di aumentare la propria capienza attraverso l'apporto di capitale privato e della sua remunerazione, contestualmente spostando in avanti i limiti dell'uso delle repressione poliziesca e della carcerazione nei confronti delle lotte sociali, tanto più in quanto partecipate in termini di solidarietà orizzontale, mantenendo inalterato il salvacondotto che garantisce l'impunità alle forze dell'ordine protagoniste di abusi e violenze. Di questa possibile doglianza, nella relazione del presidente di Cassazione Lupo, non c'è traccia alcuna.