Giustizia al rallentatore

Tempi e modi della giustizia applicata a chi è privato della libertà

26 / 3 / 2014

Mentre si prolunga l'attesa in ordine al destino che attende il disegno di legge che mira a introdurre il reato di tortura nel nostro ordinamento penale, ancorché stravolto rispetto al suo dettato originario e fermo in un luogo imprecisato del tragitto che separa Senato e Camera, la cronaca rimanda flash contraddittori e piuttosto schizofrenici sullo stato effettivo dei diritti delle persone private, in nome delle Legge, della libertà personale.

Da una parte. La procura di Vicenza avvia un'inchiesta sulla scorta delle denunce di cinque reclusi del carcere cittadino, due italiani e tre africani. I fatti si verificano tra luglio 2012 e gennaio 2013. Una serie di violenti pestaggi che coinvolgono quindici agenti della polizia penitenziaria, tra i quali una donna e un sindacalista della Cgl. Ingiurie, minacce, sputi, ma anche calci e pugni al corpo, all'addome e alla testa inferti, tra gli altri, a un detenuto in preda a una crisi compulsiva, evento inquadrabile all'interno di una malattia diagnosticata. Uno degli avvenimenti sarebbe stato innescato da una visita in carcere dell'onorevole Rita Bernardini. Un detenuto africano che le aveva segnalato episodi di violenza avrebbe subito identico trattamento: “vediamo se l'onorevole verrà da Roma a salvarti, perché io sono siciliano e sono più delinquente di te”. Almeno di questo non c'è di che dubitare. Ora si tratta di vedere quanto tempo il pm Alessandro Severi, titolare del fascicolo, farà trascorrere prima che maturino i termini di prescrizione.

Dall'altra. La seconda richiesta di archiviazione presentata dalla procura di Varese per i due carabinieri e i sei poliziotti indicati come gli assassini di Giuseppe Uva, trattenuto illegalmente nel giugno del 2008 nella caserma dei carabinieri, è stata respinta. L'ordinanza del Gip Giuseppe Battarino rimette a valore i reati di omicidio preterintenzionale, arresto illegale, abbandono di incapace, percosse e lesioni, ritardato soccorso, cui si aggiungono gli atti intimidatori compiuti dai pm Abate e Arduini nei confronti dell'unico testimone di quella notte, anch'egli in stato di arresto, volti a manipolarne la testimonianza. La schizofrenia procedurale impone però agli stessi pm di procedere con una nuova richiesta di rinvio a giudizio consentendo loro di stilare quella che in gergo si chiama “ordinanza suicida”. Infatti il procuratore reggente di Varese rileva che la stessa non avrebbe “rispettato le prescrizioni imposte dall'ordinanza del Gip” manifestando “profili diillogicità e contraddittorietà rispetto al titolo dei reati ipotizzati” e avoca a sé il ruolo di sostegno dell'accusa. Risultato concreto: allo scadere dei termini di prescrizione manca un mese e mezzo.

Al centro. Mentre il ministero - ventilando patetiche misure risarcitorie - sta tentando di scongiurare la possibilità che le condanne inflitte al nostro Paese dalla Corte di Giustizia di Strasburgo divengano esecutive per quei tremila ricorsi pendenti in ragione delle condizioni inumane e degradanti in cui versa il circuito penitenziario, stanno scivolando nell'oblio gli effetti della decisione della Corte di Cassazione in ordine alla legge Fini-Giovanardi. Vanificata di fatto la normativa in ogni sua determinazione, tornati alle vecchie tabelle distintive tra droghe cosiddette leggere e pesanti, si tace in ordine alle decine di migliaia di detenuti che si trovano oggi in carcere in ragione di quel vero e proprio colpo di mano che aveva inserito il dispositivo nella regolamentazione delle Olimpiadi invernali del 2006.

Al centro siamo tuttavia anche noi. A ribadire ancora una volta e con forza che la soluzione ha un nome solo: amnistia immediata. Associata alla depenalizzazione di tutte le norme carcerogene motivate dal mantenimento di comando, iniziando da quelle relative alla circolazione delle sostanze per arrivare a quelle che colpiscono il conflitto sociale. E ancora introduzione non equivoca del reato di tortura, norme certe e perentorie sull'uso delle armi e sulle regole di ingaggio. Riconoscibilità del personale operante in divisa, che sia o meno in funzione di ordine pubblico. Fine definitiva dell'impunità per chi esercita violenza criminale in nome della Legge.