Morì dopo esser stato arrestato da alcuni carabinieri a Varese, Giuseppe Uva, ed esser stato portato in una caserma da dove uscì in gravissime condizioni a bordo di un’ambulanza, diretto all’ospedale dove poco dopo i medici constatarono il decesso. Era il 14 giugno del 2008. Da allora la famiglia della vittima di uno dei casi più noti di ‘malapolizia’, assistita dall’avvocato Anselmo e da altri familiari di vittime di uomini – e donne – in divisa, ha continuato a denunciare che all’interno di quella caserma Giuseppe aveva subito un pestaggio. Anche Alberto Biggiogero, amico di Uva e portato anche lui in quella caserma, ha sempre sostenuto di aver udito urla tremende provenire dalla stanza dove la vittima veniva interrogato, tanto da chiamare un’ambulanza che i responsabili della caserma rimandarono indietro, salvo poi richiamarla dopo poche ore quando ormai non c’era più nulla da fare.
Oggi, dopo più di 6 anni di depistaggi,
di ostacoli alle indagini, di ritardi, di denunce nei confronti dei
familiari e dei giornalisti che si sono battuti per la verità, una
svolta improvvisa e inattesa.
Dopo alcune ore di camera di consiglio, infatti, il Gip di Varese
Giuseppe Battarino ha ordinato l’imputazione coatta per omicidio
preterintenzionale, arresto illegale, abuso d’autorità su arrestato e
abbandono d’incapace degli otto agenti – due carabinieri e sei agenti di
polizia – responsabili del fermo e dell’interrogatorio dell’uomo, nei
confronti dei quali il pm di Varese, Agostino Abate, si è sempre
rifiutato di indagare, spingendo invece per l’archiviazione
dell’inchiesta e tentando in passato di spostare l’attenzione nei
confronti dei medici e degli infermieri che assai poco poterono per
salvare la vita ad Uva una volta trasferito dalla caserma nell’ospedale
di Varese. Poi però il medico accusato – Carlo Fraticelli – è stato
completamente scagionato e così la pista della malasanità, di comodo, è
stata smentita.
Anche oggi, durante l’udienza al tribunale di Varese, Abate e la sua
collega Sara Arduini hanno di nuovo chiesto, per ben tre volte,
l’archiviazione del caso, dopo la chiusura delle indagini del 31
dicembre scorso, scontrandosi però con la decisione del gip Battarino
che ha ordinato che si celebri il processo in Corte d’Assise.
Alla decisione di oggi si è arrivati anche grazie all’interrogatorio di
Alberto Biggiogero, testimone di quanto accadde in quella notte di
giugno del 2008 e mai ascoltato dal pm Abate, fino allo scorso 26
novembre 2013, e solo dopo che il ministero della Giustizia aveva
presentato contro di lui una richiesta di azione disciplinare. In
seguito anche la Procura generale della Cassazione aveva stigmatizzato
il comportamento del pm Abate.
«Avevamo ragione su Giuseppe Uva. Imputazione coatta per quattro reati: arresto illegale, abuso di autorità su arrestato, abbandono di incapace. Ma soprattutto: OMICIDIO PRETERINTENZIONALE. Sempre con te Lucia Uva» scrive su Facebook Adriano Chiarelli, regista di ‘Nei secoli fedele – il caso di Giuseppe Uva’, documentario che gli è costato parecchie querele da parte anche di quei poliziotti e militari che oggi, finalmente, sono finiti sotto processo.