Fonte: Corriere.it 08.11.09

Furti al supermercato, bottino miliardario

In un anno sparita merce equivalente a 50 mila camion. Gli articoli più rubati cosmetici, grana, liquori, vini pregiati

9 / 11 / 2009

Cinquantamila camion in proces­sione uno dietro l’altro. Pieni di ogni ben di Dio si possa trovare in un supermercato. In fila non passano certo inosservati. Eppure sono spariti nel giro degli ultimi dodici mesi. Colpa dei mariuoli che si aggirano tra carrelli e scaffali: nell’ultimo anno nel nostro Pae­se si stima siano venuti a mancare dagli 1,5 agli 1,8 miliardi di merce, pari al­l’ 1,25-1,5 per cento del fatturato del set­tore. Visto che un camion caricato al su­per contiene prodotti per 35 mila euro, il conto è presto fatto. Un duro colpo per la grande distribuzione.

Il fabbisogno di una provincia - Con il valore degli ammanchi si sareb­bero potute sfamare 300 mila famiglie per un anno. L’intera provincia di Vero­na. E non finisce qui: «Ha senso parlare di 1,5-1,8 miliardi se pensiamo solo alla grande distribuzione — fa notare Sandro Castaldo, ordinario di marketing all’uni­versità Bocconi —. Se aggiungiamo le ca­tene dell’abbigliamento e dell’elettroni­ca, le perdite vanno moltiplicate per tre». La guerra ai ladri della spesa è nata in­sieme con la grande distribuzione. La no­vità è che la crisi aguzza l’ingegno. Dei ladri. Nell’ultimo anno i furti al super so­no aumentati in modo consistente. In tut­ta Europa ma soprattutto in Italia, come certifica un’indagine del «Centre for re­tail research» di Nottingham che sarà pubblicata a giorni. In pratica uno dei po­chi rapporti su un fenomeno di cui nes­suno nell’ambiente vuol parlare. «Oggi l’utile delle catene virtuose sfiora l’1 per cento del fatturato. Un incremento dei furti può facilmente mandare in rosso i conti», spiega Castaldo.

Bocche cucite - Solo a garanzia dell’anonimato qualcu­no racconta come stanno davvero le co­se. «Con la crisi difendersi è diventato sempre più difficile — confessa l’ammi­nistratore delegato di un grosso gruppo —. Ormai il taccheggio non fa distinzio­ne di classe sociale e di reddito. Ci è capi­tato di scoprire signore insospettabili con diversi chili di prodotti sotto la gon­na. Perciò siamo costretti a investire sem­pre di più per difenderci». La spesa antitaccheggio ha due grandi capitoli. La vigilanza (circa il 50 per cen­to) e i dispositivi elettronici come le tele­camere e i campi elettromagnetici che fanno partire una sirena quando dal su­permercato esce merce con un micro­chip attivo sull’etichetta. Nonostante tut­to, ci sono prodotti che continuano a vo­latilizzarsi. «Vengono a mancare soprat­tutto cosmetici, grana, liquori, vini pre­giati. E poi pile e lamette da barba (getto­nate le ricariche da 15 euro). Ancora: ca­viale, zafferano, tonno di marca, cd, dvd. «C’è persino un racket dei carrelli — rac­conta un responsabile di punto vendita alle porte di Milano —. A noi un carrello costa sui cento euro. Ci sono professioni­sti che ne rubano a decine per poi rimet­terli sul mercato». Stesso discorso per i pallet, le pedane con cui entrano le mer­ci: «Ciascuno vale un paio di euro sul mercato nero. E così si volatilizzano dal­la sera alla mattina. Da quando la crisi ha fatto diminuire la domanda di pallet si sono rarefatti anche i furti». Ma come fanno a sparire tonnellate di merci sotto gli occhi di una vigilanza sempre più arrabbiata? C’è il vecchietto con la pensione minima che pesa i pomo­dori come fossero insalata per risparmia­re. Ci sono quelli che foderano zainetti e borse con la stagnola per ingannare i campi elettromagnetici. C’è chi semplice­mente si mangia una confezione di bi­scotti nelle corsie fitte di clienti e abban­dona il sacchetto vuoto per terra. «Per chi non vede di persona è difficile imma­ginare, per esempio, cosa si può nascon­dere in un passeggino o in una carrozzi­na — racconta il direttore di un iper alle porte di Roma —. La fantasia non ha limi­ti. Si scoprono persone con le pile infila­te nella baguette, persino mamme che nascondono la merce nello zainetto dei figli per farla passare inosservata». Mai più cosmetici In media le catene spendono lo 0,36 per cento del fatturato per difendersi. Ogni supermercato di città ha un addet­to alla sicurezza tra le corsie. Di solito le catene fanno contratti con società di vigi­lanza specializzate. Le telecamere ci sono ma talvolta il professionista del taccheg­gio impara a beffarle semplicemente ren­dendosi irriconoscibile. Non sempre i tornelli con campo elet­tromagnetico sono attivati. E comunque non da tutti. Perché questi sistemi di di­fesa comportano un nolo che può costa­re dai duemila ai tremila euro al mese per punto vendita. D’altra parte anche le etichette elettroniche costano qualche centesimo l’una. Morale: di solito si met­tono solo sulla merce più costosa (nel­l’abbigliamento, per esempio, hanno ri­dotto in modo consistente quelle che in gergo si chiamano «differenze inventa­riali »). La forma estrema di deterrenza è tenere la merce sotto chiave, come succe­de in molti supermercati con champa­gne e zafferano. «Così, però, le catene si autopenalizzano riducendo in modo con­sistente le vendite. C’è anche chi arriva a togliere i cosmetici dagli scaffali perché, visti i furti, non conviene tenere l’assorti­mento », racconta Castaldo della Bocco­ni.

 Il tradimento del dipendente - Secondo le statistiche del settore circa il 30 per cento del danno da taccheggio è dovuto al personale. Ma com’è possibile un tale livello di inaffidabilità? «Se Gesù su 12 discepoli ha selezionato un tradito­re e uno che l’ha rinnegato tre volte è comprensibile che i nostri sforzi non por­tino risultati migliori», scherza l’ammini­stratore delegato di un grosso gruppo —. La verità è che anche la selezione più accurata del personale comporta un altis­simo margine di errore». La grande distribuzione è un settore ad alta intensità di lavoro. Basti pensare che un iper occupa anche 300-400 perso­ne. «Le aziende hanno tutti gli strumenti per intervenire. Chi ruba rischia il posto. E non si può buttare la croce su un’intera categoria di lavoratori per colpa di po­chi », si infervora Graziella Carneri, segre­tario generale della Filcams Cgil di Mila­no.

Desideri o diritti - Secondo il sociologo Enrico Finzi non basta la crisi a spiegare il fenomeno. «Dall’inizio del 2008, secondo una no­stra ricerca, 3.900.000 italiani hanno regi­strato una drammatica caduta del tenore di vita — ricorda il presidente di Astra Ricerche —. Il maggiore stato di bisogno si accompagna a una sorta di confusione tra desideri e diritti. A un menefreghi­smo generalizzato che rende tutto leci­to ». Alla fine a perderci sono gli onesti. Per­ché la grande distribuzione ricarica gli ammanchi da furto sui prezzi. «Solo la concorrenza può salvare i consumatori — conclude il presidente di Altroconsu­mo, Paolo Martinello —. Dove più cate­ne si confrontano sul mercato i responsa­bili faranno il possibile per ridurre al mi­nimo la penalizzazione per chi paga».

Rita Querzé