Cinquantamila camion in processione uno dietro l’altro. Pieni di ogni ben di Dio si possa trovare in un supermercato. In fila non passano certo inosservati. Eppure sono spariti nel giro degli ultimi dodici mesi. Colpa dei mariuoli che si aggirano tra carrelli e scaffali: nell’ultimo anno nel nostro Paese si stima siano venuti a mancare dagli 1,5 agli 1,8 miliardi di merce, pari all’ 1,25-1,5 per cento del fatturato del settore. Visto che un camion caricato al super contiene prodotti per 35 mila euro, il conto è presto fatto. Un duro colpo per la grande distribuzione.
Il fabbisogno di una provincia - Con il valore degli ammanchi si sarebbero potute sfamare 300 mila famiglie per un anno. L’intera provincia di Verona. E non finisce qui: «Ha senso parlare di 1,5-1,8 miliardi se pensiamo solo alla grande distribuzione — fa notare Sandro Castaldo, ordinario di marketing all’università Bocconi —. Se aggiungiamo le catene dell’abbigliamento e dell’elettronica, le perdite vanno moltiplicate per tre». La guerra ai ladri della spesa è nata insieme con la grande distribuzione. La novità è che la crisi aguzza l’ingegno. Dei ladri. Nell’ultimo anno i furti al super sono aumentati in modo consistente. In tutta Europa ma soprattutto in Italia, come certifica un’indagine del «Centre for retail research» di Nottingham che sarà pubblicata a giorni. In pratica uno dei pochi rapporti su un fenomeno di cui nessuno nell’ambiente vuol parlare. «Oggi l’utile delle catene virtuose sfiora l’1 per cento del fatturato. Un incremento dei furti può facilmente mandare in rosso i conti», spiega Castaldo.
Bocche cucite - Solo a garanzia dell’anonimato qualcuno racconta come stanno davvero le cose. «Con la crisi difendersi è diventato sempre più difficile — confessa l’amministratore delegato di un grosso gruppo —. Ormai il taccheggio non fa distinzione di classe sociale e di reddito. Ci è capitato di scoprire signore insospettabili con diversi chili di prodotti sotto la gonna. Perciò siamo costretti a investire sempre di più per difenderci». La spesa antitaccheggio ha due grandi capitoli. La vigilanza (circa il 50 per cento) e i dispositivi elettronici come le telecamere e i campi elettromagnetici che fanno partire una sirena quando dal supermercato esce merce con un microchip attivo sull’etichetta. Nonostante tutto, ci sono prodotti che continuano a volatilizzarsi. «Vengono a mancare soprattutto cosmetici, grana, liquori, vini pregiati. E poi pile e lamette da barba (gettonate le ricariche da 15 euro). Ancora: caviale, zafferano, tonno di marca, cd, dvd. «C’è persino un racket dei carrelli — racconta un responsabile di punto vendita alle porte di Milano —. A noi un carrello costa sui cento euro. Ci sono professionisti che ne rubano a decine per poi rimetterli sul mercato». Stesso discorso per i pallet, le pedane con cui entrano le merci: «Ciascuno vale un paio di euro sul mercato nero. E così si volatilizzano dalla sera alla mattina. Da quando la crisi ha fatto diminuire la domanda di pallet si sono rarefatti anche i furti». Ma come fanno a sparire tonnellate di merci sotto gli occhi di una vigilanza sempre più arrabbiata? C’è il vecchietto con la pensione minima che pesa i pomodori come fossero insalata per risparmiare. Ci sono quelli che foderano zainetti e borse con la stagnola per ingannare i campi elettromagnetici. C’è chi semplicemente si mangia una confezione di biscotti nelle corsie fitte di clienti e abbandona il sacchetto vuoto per terra. «Per chi non vede di persona è difficile immaginare, per esempio, cosa si può nascondere in un passeggino o in una carrozzina — racconta il direttore di un iper alle porte di Roma —. La fantasia non ha limiti. Si scoprono persone con le pile infilate nella baguette, persino mamme che nascondono la merce nello zainetto dei figli per farla passare inosservata». Mai più cosmetici In media le catene spendono lo 0,36 per cento del fatturato per difendersi. Ogni supermercato di città ha un addetto alla sicurezza tra le corsie. Di solito le catene fanno contratti con società di vigilanza specializzate. Le telecamere ci sono ma talvolta il professionista del taccheggio impara a beffarle semplicemente rendendosi irriconoscibile. Non sempre i tornelli con campo elettromagnetico sono attivati. E comunque non da tutti. Perché questi sistemi di difesa comportano un nolo che può costare dai duemila ai tremila euro al mese per punto vendita. D’altra parte anche le etichette elettroniche costano qualche centesimo l’una. Morale: di solito si mettono solo sulla merce più costosa (nell’abbigliamento, per esempio, hanno ridotto in modo consistente quelle che in gergo si chiamano «differenze inventariali »). La forma estrema di deterrenza è tenere la merce sotto chiave, come succede in molti supermercati con champagne e zafferano. «Così, però, le catene si autopenalizzano riducendo in modo consistente le vendite. C’è anche chi arriva a togliere i cosmetici dagli scaffali perché, visti i furti, non conviene tenere l’assortimento », racconta Castaldo della Bocconi.
Il tradimento del dipendente - Secondo le statistiche del settore circa il 30 per cento del danno da taccheggio è dovuto al personale. Ma com’è possibile un tale livello di inaffidabilità? «Se Gesù su 12 discepoli ha selezionato un traditore e uno che l’ha rinnegato tre volte è comprensibile che i nostri sforzi non portino risultati migliori», scherza l’amministratore delegato di un grosso gruppo —. La verità è che anche la selezione più accurata del personale comporta un altissimo margine di errore». La grande distribuzione è un settore ad alta intensità di lavoro. Basti pensare che un iper occupa anche 300-400 persone. «Le aziende hanno tutti gli strumenti per intervenire. Chi ruba rischia il posto. E non si può buttare la croce su un’intera categoria di lavoratori per colpa di pochi », si infervora Graziella Carneri, segretario generale della Filcams Cgil di Milano.
Desideri o diritti - Secondo il sociologo Enrico Finzi non basta la crisi a spiegare il fenomeno. «Dall’inizio del 2008, secondo una nostra ricerca, 3.900.000 italiani hanno registrato una drammatica caduta del tenore di vita — ricorda il presidente di Astra Ricerche —. Il maggiore stato di bisogno si accompagna a una sorta di confusione tra desideri e diritti. A un menefreghismo generalizzato che rende tutto lecito ». Alla fine a perderci sono gli onesti. Perché la grande distribuzione ricarica gli ammanchi da furto sui prezzi. «Solo la concorrenza può salvare i consumatori — conclude il presidente di Altroconsumo, Paolo Martinello —. Dove più catene si confrontano sul mercato i responsabili faranno il possibile per ridurre al minimo la penalizzazione per chi paga».
Rita Querzé