Dell’esperienza di Blockupy Frankofurt 2013 (o 2.0) si possono dire moltissime cose, poiché moltissimo è accaduto.
Prima di tutto, se è vero che come dice Caparezza il secondo album è sempre più difficile nella carriera di un artista, c’è già da esser molto soddisfatti. Alle cinque di mattina, con i miei fratelli e le mie sorelle, sono arrivato, sotto il diluvio e la bufera, a vedere con i miei occhi il simbolo dell’Euro davanti alla BCE, che, nella solita Francoforte blindata da scudi e celerini, camionette ed idranti, fil di ferro e transenne e, viste le premesse dell’anno precedente, non era affatto roba da poco. I blocchi sono durati tutta la mattina, impedendo di fatto a migliaia di persone di poter lavorare nel “cuore della bestia”; nel pomeriggio abbiamo bloccato la via dello shopping dove abbiamo “sanzionato” molte delle grandi multinazionali, tra cui la Benetton, la subdola ed infame multinazionale veneta tra quelle coinvolte nel massacro di più di mille morti, accaduto poco più di un mese fa in Bangladesh.
Tornati la sera in campeggio mi accorgo di una cosa che per fretta e stanchezza non avevo ancora notato: le migliaia di tende da tutta Europa, gazebi che ospitavano panche e tavoli per mangiare, una cucina dove si preparava solo cibo vegano, un palco per i dibattiti ed i concerti, un bar con la raccolta differenziata ed del vuoto a rendere, e tutte le condizioni ideali perché quel luogo diventasse centro nevralgico della costruzione di iniziative, pratiche, dibattiti e relazioni.
La mattina del sabato ci si sveglia capendo
subito che qualcosa di grosso era successo in Turchia, e che il corteo
assumeva una centralità non indifferente. Ci prepariamo per la grossa
manifestazione di Blockupy e a gruppi ci dirigiamo verso la stazione. I
cori sono esaltanti e coinvolgenti, noi siamo allineati in cordoni e
belli da vedere, il nostro spezzone guida il corteo e dal camion gli
interventi sono in tedesco, inglese ed italiano. Ci muoviamo compatti e
con i bookblock verso il centro, in direzione dei grandi palazzi della
finanza, quando senza preavviso ci fermano. Stop. Fine tutto. Non andate
bene. Siete troppo poco visibili. Siete troppo uniti. Avete i
bookblock. Avete i fazzoletti al collo. Siete vestiti con abiti scuri.
Avete la barba troppo lunga. Cazzate. L’atteggiamento tattico/tecnico
della polizia era palesemente e stupidamente una spinta politica a voler
dividere ancora una volta facce brutte da volti belli, facinorosi da
pacifisti, violenti da non violenti, in un giochino già visto e
stravisto in cui nessun manifestante è cascato. Quando infatti siamo
stati fermati con scuse assurde riguardo alla nostra “pericolosità”,
l’intera miriade di dimostranti ha portato la sua solidarietà ed è
rimasta per ore laddove il corteo era stato costretto a interrompersi,
senza nessun cenno di cedimento, in pieno consenso e legittimando di
fatto i nostri corpi e le nostre anime. Forse quello che dovevamo vedere
era questo: le lotte si legittimano con la pratica del conflitto e
trovano forma nel consenso diffuso. Il fatto che un intero spezzone
venga legittimato da tutti i manifestanti è il chiaro segno che la
pratica è giusta. E questo è un segno inequivocabile che stiamo andando
dalla parte giusta, stiamo seguendo il sentiero del cammino in direzione
ostinata e contraria.
In Turchia nel frattempo succede il delirio,
alcuni ci parlano di morti, decine di morti, di uso indiscriminato della
forza da parte della polizia, di lacrimogeni, di feriti, di migliaia di
persone in piazza. Noi siamo con loro; noi siamo con chi lotta per un
cambiamento; noi siamo per un’ Europa che non può più essere quella del
passato, delle grandi nazioni, del capitalismo finanziario e dei
confini; noi pensiamo che debba e possa essere Euromediterraneo, senza
confini nazionali vecchi e marci, senza barriere culturali stupide ed
inutili nell’epoca in cui le informazioni viaggiano alla velocità dei
secondi, in cui metà della popolazione della vecchia Europa di europeo
non ha nulla, nei territori sempre più globalizzati, nelle fabbriche,
nelle strade, nelle scuole, nei campi, negli uffici, nelle università
dove si parla arabo.
Tornato a Padova penso a molte cose: penso alle rivolte in Turchia, penso ai blocchi di venerdì, penso alla lunghissima giornata di sabato, penso alla solidarietà ricevuta da migliaia di persone, penso alla gigantesca violenza psicologica ed alla pressione fisica dimostrata dalle migliaia di celerini per la città, penso ad un sistema che ha palesemente paura del “rischio di rivolta” come lo chiama la governance italiana e straniera, penso a quanto potenzialmente si possano unire le lotte, dal Portogallo fino alla Turchia, e a quanto si debba ancora lavorare per creare conflitto e pratica del comune.
Tornato da Francoforte penso però anche ad una cosa bella, grande, enorme: penso alla coalizione dei centri sociali che si è mossa dal Nord-Est fino a Napoli, passando per Bologna, per l’Emilia e per le Marche, penso a quanto uniti siamo stati nelle pratiche e nei cori, nei blocchi ed in campeggio, nei cordoni e nei “minuti di giungla”, nell’ essere lucidi e seri, e nel saper anche giocare. Si perché nel cuore della bestia, si parte insieme e ci si diverte insieme, sapendo che si torna insieme, ed una volta tornati, insieme, ci si gode una bella “aglio olio e peperoncino”!