Francia - Il governo di Hollande costretto a fare i conti con i licenziamenti

11 / 3 / 2013

Nella fabbrica di pneumatici della Goodyear di Amiens, François Hollande, allora candidato presidente, era andato nell'ottobre del 2011 a sostenere gli operai e si era impegnato, se eletto, a far votare una legge contro i licenziamenti economicamente ingiustificati, detti 'finanziari'.

Il 31 gennaio 2013 la direzione della Goodyear ha annunciato l'intenzione di chiudere la fabbrica di Amiens, la soppressione di 1200 posti di lavoro.

Il 7 marzo mentre il comitato aziendale si riuniva a Rueil-Malmaison, nella regione parigina, il presidio operaio della sede dell'impresa è stato violentemente caricato dalle forze dell'ordine: 6 operai ricoverati e 19 poliziotti feriti, secondo la dichiarazioni dei CRS, gendarmeria. Il ministro del riequilibrio produttivo, Arnaud Montebourg, ha invitato tutti al dialogo, si appella ai lavoratori "disperati " e a quelli "arrabbiati" nella speranza che la soluzione passi attraverso le trattative tra impresa, sindacati e ministero. Trattative che durano da cinque anni "senza risultati" per la direzione di Goodyear, il governo è risultato impotente, non esiste al momento alcun piano B.

In un primo tempo era stata annunciata la soppressione di quattrocento posti, poi sono diventati ottocento, in seguito si è parlato di licenziamenti "volontari" e ancora dopo di un altro piano di ristrutturazione, nato morto. Intanto il volume produttivo è diminuito drasticamente.

Ma gli operai non si sono scoraggiati (anche se c'è chi lavora solo qualche ora al giorno).

I sindacati auspicano un nuovo acquirente e seguono la pista della pensione anticipata per gli operai più anziani, solo la CGT porta avanti un progetto di società cooperativa e partecipata (SCOP), proposta che verrà presentata nelle prossime settimane. Ma questa formula prevede che la direzione Goodyear accetti sia la cessione della marca che quella del portafoglio detenuto dei suoi clienti. Parallelamente, la CGT ha avviato una serie di azioni legali contro il trasferimento produttivo in contraddizione con il Piano di salvaguardia dell'occupazione.

Il rapporto di analisi economica del progetto di ristrutturazione, richiesto dal comitato aziendale e dai sindacati (tranne la CGT, maggioritaria per rappresentanza sindacale) con lo scopo di trovare "proposte alternative" alla chiusura della fabbrica di Amiens, conclude confermando le perdite del gruppo americano ma per la CGT il rapporto non è completo dato che Goodyear ha beneficiato del 300% tra il 2009 e il 2012 passando da 0,4 a 1,2 miliardi. Il rappresentante CGT, Mickaël Wamen, ha dichiarato che "non c'è alcun motivo che può giustificareche la chiusura della fabbrica" e fa leva sulla legislazione nazionale che prevede un piano di salvaguardia dell'occupazione per l'insieme dei quattro siti industriali del gruppo, cioé 2300 lavoratori.

Le tante manifestazione degli ultimi mesi, anche davanti al Ministero del lavoro, con migliaia o centinaia di operai che stanno protestando contro i "licenziamenti finanziari" sono sempre state accolte da imponenti drappelli di CRS (gendarmeria) e mezzi militari antisommossa. La presenza delle forze dell'ordine è servita solo ad aumentare una già forte tensione, questo mentre il ministro Arnaud Montebourg continua ad annaspare nel vuoto davanti alle ingiunzioni del gruppo industriale al punto da far risultare il governo una sorta di terzo incomodo o alla meno peggio un interlocutore inefficace, incapace a garantire i posti di lavoro.

La lista delle imprese che in Francia presentano un profilo simile - quello dei gruppi che mentre aumentano i loro profitti licenziano migliaia di persone - è lunga: Fnac, Sanofi, Ford, Fralib, PSA, Sony, Samsonite, Crédit Agricole, Coca-Cola, Sodimedical, Valeo, ZF, Merk Serrono, 3 Suisses, Candia, Pilpa, Bigard, Faurecia, Goodyear..... i lavoratori vogliono difendere la proposta di legge che impedisce preventivamente i licenziamenti nelle società che di fatto incrementano le rendite in borsa. Molti di questi operai, in particolare quelli che lavorano da decenni nelle aziende che vogliono chiudere sono delusi dal governo di Hollande perché la promessa di rendere il lavoro sicuro con questa legge non è stata mantenuta.

Sul versante sindacale, i confederati sono tiepidi, troppo visto il momento, non sono riusciti ad articolare una soluzione credibile, infatti si sono moltiplicati i comitati di base di lavoratori, operai e impiegati, ma anche quadri aziendali per potersi esprimere in modo diretto e più esplicito. Come ha chiosato un operaio intervistato durante un meeting contro i licenziamenti lo scorso settembre a Tolosa, "Non importa se produciamo latte o shampo, quello che conta è che l'impresa guadagna e sta bene" e da qui si deve partire per non mandare a casa chi lavora.

In questi comitati di lotta ci sono moltissimi lavoratori non-iscritti al sindacato, spesso sono la maggioranza, anche il 90% come nel caso di 3 Suisses, azienda dove il lavoro è svolto da operaie organizzate in un "movimento di lavoratori" digiuno di lotte sindacali per il quale, come dice l'associazione Licenci'elles, "il sindacato non ha senso in un contesto come quello attuale in cui le donne che sono le più toccate dalla crisi sono anche quelle che hanno meno sostegno."

Ma la crisi dell'occupazione non riguarda solo le imprese che beneficiano di cospicui dividenti in borsa, ci sono altre situazioni in Francia, per esempio SFR, che dimostrano la varia gamma di metodi per licenziare.

Anche con la minaccia spingendo e a firmare un accordo che prevede di cancellare 8300 posti di lavoro entro il 2016 e un salario bloccato nel 2013 per "rendere i siti francesi più competitivi", come ha proposto la direzione di Renault lo scorso gennaio. Metodo definito "ricattatorio" dallo stesso ministro Montebourg. Ma non è la prima volta che un gruppo pone condizioni coercitive sul salario e sul tempo di lavoro in cambio dell'occupazione, basta ricordare la vicenda Bosch (2004) e quella di Continental (2007), gruppo tedesco che produce pneumatici, fabbrica simbolo delle lotte contro i licenziamenti nonché della campagna di Sarkozy, "lavorare di più per guadagnare di più"... come dimenticare il conflitto con gli uffici della prefettura di Compiègne devastati e le condanne degli operai? Poi Dunlop e Goodyear (2008), e General Motors (2010).

La vicenda Goodyear è solo l'ultimo dei casi emblematici che illustrano la brancolante strategia governativa per far fronte all'ondata dei licenziamenti. Dopo un primo piano di ristrutturazione i lavoratori esasperati si ritrovano a fare i conti con la decisione aziendale di chiudere una fabbrica che esiste da 50 anni e che negli ultimi dieci anni non ha fatto investimenti.

Operai stanchi anche della presenza massiccia di polizia e corpi speciali usati per mandare all'ospedale persone che lottano da sei anni. Per il territorio poi significa la scomparsa di oltre 2000 posti di lavoro se si tiene conto della rete locale di produzione di pneumatici. E la perdita di entrate fiscali, il sindaco (PS) di Amiens parla di 2 milioni di euro all'anno per un sito industriale difficilmente riconvertibile che pone ulteriori problemi alla gestione delle infrastrutture e dei trasporti.

Le sovvenzioni per salvare interi settori industriali nati negli anni 70 ora in declino come l'automobile, il nucleare, il TGV o Airbus sono molte e salvano altrettanti interessi inclini a mantenere lo status-quo. L'ossessione padronale di redere liquidi i diritti dei lavoratori con lo scopo di ridurre sempre di più il costo del lavoro incontra una barriera grazie alla presenza sindacale nell'industria e nel settore pubblico che però difende il salvabile. Mentre la sorte di interi settori precarizzati non viene presa in considerazione, al pari della forte domanda di fessibilità. Sindacati e ministero pur non cedendo sul diritto del lavoro nella realtà lasciano indietro milioni di lavoratori, tra i quali i non diplomati, gli immigrati, le donne e i giovani assunti con contratti 'atipici' che si moltiplicano. Ma questo programma 'low cost' allo stato francese e all'Europa costa ancora di più.

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