Si fa presto a dire "Europa".
Un nome che nell'indulgente, compiaciuta autonarrazione delle intelligenze di questo continente dovrebbe evocare i valori dell'Illuminismo e della Rivoluzione, libertà, eguaglianza e fraternità. E poi ancora quelli della democrazia liberale e del suo Stato di diritto. E, infine in una consequenziale rappresentazione teleologica, quelli dei diritti civili e sociali di cittadinanza, incarnatisi nella costruzione del Welfare.
Sappiamo bene che altre sono le reminescenze suscitate da questo nome in molti, dentro e fuori i suoi confini. Rammenta spedizioni militari, sfruttamento coloniale, conversioni forzate. Ricorda che, nel folle progetto nazista di "Europäische Grossraum", è stato pianificato e praticato lo sterminio. Un lato oscuro che la retorica ufficiale delle sue istituzioni cerca, permanentemente, di esorcizzare.
La storia non si ripete mai eguale a se stessa. Ma al tempo stesso dovrebbe insegnare che vi è stata un'epoca, un'epoca di drammatica crisi economica e sociale cui, proprio nel cuore d'Europa, non si rispose né con la rivoluzione dei soviet, né con il New Deal.
E che l'esito della crisi che stiamo vivendo non è, necessariamente, quello dell'alternativa, di un positivo e liberatorio cambio di sistema.
Ma che, proprio nella crisi, è la barbarie della facile scorciatoia, della ricerca del capro espiatorio, dell'odio per il diverso, del razzismo e non a caso dell'antisemitismo, a riaffacciarsi e a farsi strada.
Perciò la parola Europa, in queste ore, non richiama valori astratti, ma è per noi composta di volti. I volti di quei bambini ebrei assassinati a Tolosa, davanti alla loro scuola, solo perché ebrei.
Ed è per loro, cioè per tutti noi che, nelle ore e nei giorni a venire, saremo in piazza in ogni utile occasione. Perché costruire un'altra Europa significa anche tagliare la testa a quella "bestia immonda".