Est-il encore temps pour le climat?

20 / 11 / 2018

«Ma oggi, di fronte allo sconquasso ecologico, il non fare – che di fatto si traduce nel lasciare indisturbata la vecchia economia- non appare come una soluzione. Lo squilibrio attuale è talmente grave che solo una correzione in corsa può evitare il rischio catastrofe».

Questo è l'avvertimento che Antonio Cianciullo lancia dal suo ultimo lavoro Ecologia del desiderio (Aboca edizioni, 2018) ed è proprio questo monito che riassume lo spirito con cui sfileremo in tutto il mondo il prossimo 8 dicembre, uniti nella marcia per il clima.

Tre anni dopo la COP21 (Conference of Parties to the United Nations Framework Convention on Climate Change) di Parigi, che riuscì, seppure con tutti i suoi limiti, a rendere globale la presa di coscienza sullo stato di salute del Pianeta, è di nuovo dalla Francia che si rimette a lottare contro il cambiamento climatico, al motto di «Il est encore temps».

Dal 3 al 14 Dicembre 2018, i politici, le ONG, la comunità scientifica e le imprese dei 190 paesi partecipanti si riuniranno a Katowice, Polonia, nel summit COP24 per decidere quali misure e quali provvedimenti è necessario adottare per vincere la più grande sfida del nostro tempo. Abbiamo poco margine per virare rotta e scongiurare il disastro. Non possiamo più accettare deboli accordi programmatici o tiepide manifestazioni d'intenti.

La mobilitazione dovrà rimarcare quanto il problema sia urgente e dovrà riuscire a imporre il tema del cambiamento climatico nelle agende politiche, partendo da quelle locali fino a quelle internazionali.

Da troppo tempo, infatti, la questione ambientale è malamente accennata solo ai fini di una qualche utilità elettorale, per raggiungere il consenso di una manciata di elettori. In corso di legislatura, poi, pochi provvedimenti sono adottati e sempre deboli, marginali, mai risolutivi. L'unico obiettivo che queste azioni raggiungono pienamente è quello di non disturbare troppo i grandi gruppi politici, industriali e finanziari che sfruttano intensivamente tutte le risorse del pianeta. Un atteggiamento irresponsabile che non accenna a volersi modificare, nonostante sia ormai incontestabile il rischio mortale che stiamo correndo.

Scorriamo qualche report: La World Health Organization nel 2016 ha rilevato che, nel mondo, l'inquinamento dell'aria è la causa di morte per il 23% degli adulti e il 26% dei bambini sotto i cinque anni.

Il rapporto annuale sul consumo delle risorse del Pianeta ha individuato l'overshootday del 2018 il 2 agosto. Quarant'anni fa era alla fine di dicembre.

Il report sulle “Migrazioni e il cambiamento climatico” del 2015 ha evidenziato che dal 2008 al 2014 è stato necessario per 157 milioni di persone abbandonare le proprie case a seguito in primis di alluvioni e tempeste.

Eppure, questi numeri impressionanti non riescono da soli a imporre il problema del global

warming come prioritario. Spesso, dopo lo sdegno e lo stupore di fronte ai dati, non perdura l'affezione al tema. Come mai? In parte perché i report sono troppo astratti, troppo grandi, troppo dettagliati e forse anche troppo drammatici da far credere a una soluzione possibile e in parte perché soluzioni utili per il breve periodo rendono lampante l'incosistenza di certe scelte e sfiduciano sulla possibilità di trovare risolutive soluzioni.

Cosa fare?

Iniziamo la rivoluzione cambiando la narrazione. Affianchiamo alle statistiche e alle previsioni qualcosa di più. Coinvolgiamo tutti e tutte, uno a uno, nessuno

escluso. Proviamo a dare spazio alla speranza, all'idea di un mondo sostenibile, solidale, libero da veleni.

Offriamo un'alternativa all'insaziabile consumismo, costruiamo stili di vita che creino armonia tra esseri umani e ambiente. Raccontiamo le potenzialità e i benefici del cambiamento, raccogliamo la sfida di inventare nuovi metodi produttivi, utilizziamo fonti energetiche sostenibili e pulite, passiamo a un nuovo modello ecologico ed economico.

Iniziamo, come scrive Cianciullo, a proporre un'ecologia del desiderio e non solo un' ecologia del dovere, «creando un immaginario diffuso all'altezza della sfida perché come ricorda il filosofo Slavoj Zizek, senza immaginario la realtà perde di significato, si dissolve».

Una sfida? Certo. Assolutamente necessaria soprattutto quando i dati ci ricordano che il tempo è a nostro sfavore. Ma proprio perché dobbiamo decidere se oggi è il primo giorno o il giorno 1 che bisogna giocarsela, finché Il est encore temps, ça va sans dire.