«Erdogan not Welcome!». Occupato a Venezia il loggione della Basilica di San Marco

5 / 2 / 2018

Attiviste e attivisti dei centri sociali del Nord Est e della Associazione Ya Basta Êdî Bese hanno occupato il loggione della Basilica di San Marco. Qui è stato esposto uno striscione che riporta la scritta «Erdogan Bloody Handed! Defend Afrin». 

In queste ore il Presidente turco è nella capitale ricevuto prima da Papa Francesco e, successivamente, dalle massime istituzioni del Governo, Mattarella e Gentiloni. 
L'Italia è il primo Paese a stringere le mani insanguinate di Recep Tayyip Erdogan da quando ha avuto inizio l'operazione "Ramoscello d'ulivo", con cui da oltre 15 giorni la Turchia sta bombardando e massacrando combattenti e civili nel Nord della Siria, ad Afrin. Tutto questo accade nel silenzio della comunità europea. In questi anni Erdogan si è reso direttamente responsabile di migliaia di morti in Turchia e in Siria, dell’incarceramento di centinaia e centinai di attivisti e giornalisti, della scomparsa di un pensiero critico in Turchia.

La Turchia, secondo paese per esercito della Nato, continua a colpire in modo indiscriminato i curdi, coloro che hanno sconfitto l’ISIS attaccandoli nella città di Afrin, simbolo di pace ed accoglienza.

L’operazione “Ramoscello d’ulivo” è stata lanciata dalle forze turche lo scorso 20 gennaio, dopo mesi di minacce e bombardamenti da oltre confine. Si è passati dagli attacchi aerei a operazioni via terra portate avanti da migliaia di militanti dell’esercito libero siriano (FSA) armati e addestrati dalla Turchia. 

Il ramoscello di ulivo della Turchia di Erdogan offre pace e rinascita soltanto ai propri interessi nazionali, riaprendo il conflitto in una terra già devastata da sette lunghi anni di guerra in Siria. L’Isis è stato sconfitto, ma ora la necessità strategica della Turchia è quella di difendere i propri confini, attaccando le Forze Siriane Democratiche e tutti i popoli che vivono nel cantone di Afrin.

Oggi Erdogan sarà a Roma, accolto con gli onori di Stato da Gentiloni e Mattarella, e incontrerà anche Papa Francesco e il Segretario di Stato Vaticano Parolin, intavolando trattative politiche ed economiche per cercare di far uscire la Turchia dal suo isolamento.

Nei giorni scorsi Erdogan si è più volte riferito all’Italia chiamandola «Paese amico», alludendo alla riapertura di un possibile dialogo sull'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, sapendo di poter fare leva sul ruolo chiave che ha in Medio Oriente: non negozierà sulla guerra ad Afrin contro i popoli del Kurdistan, ma garantirà la sicurezza sui confini alle porte dell'Europa e nel Mediterraneo e manterrà fede agli accordi bilaterali sul commercio, incontrando anche gli amministratore delegati dei grandi gruppi italiani. Tra i presenti Impregilo, Leonardo, Pirelli, Snam, Ferrero, Astaldi.

Se questi punti saranno materia di discussione con Sergio Mattarella e Paolo Gentiloni, il premier turco avrà anche l'onore di essere ricevuto da Papa Francesco I per discutere dei destini del Medio Oriente, di Gerusalemme capitale, di rifugiati e di aiuti umanitari. «Vedo questa visita come un’opportunità significativa di attirare l’attenzione sui valori umani comuni, l’amicizia e i messaggi di pace» ha dichiarato domenica pomeriggio a Istanbul prima di imbarcarsi sull’aereo per l'Italia.

Secondo Erdogan lo status di Gerusalemme «deve essere preservato, sulla base delle risoluzioni Onu, assicurando a musulmani, cristiani ed ebrei di vivere in pace, fianco a fianco», definendola come unica via di soluzione tra Israele e Palestina. 

Sembra schizofrenia, se dietro non ci fosse un disegno calcolatore e ben delineato: apre le braccia per parlare di pace e accoglienza - condannando la xenofobia quando gli è stato chiesto un commento sui recenti fatti di Macerata - dicendosi anche preoccupato per la crescente islamofobia che sta pervadendo l'Europa, ma ha le mani sporche di sangue. Sangue dei civili che da 15 giorni hanno perso la vita sotto i bombardamenti ad Afrin, sangue degli attivisti feriti durante i cortei di protesta al governo turco o che stanno perendo nelle prigioni di Stato. Sangue dei martiri curdi caduti per difendere il Rojava.

Un concetto già sentito: «esportare pace e democrazia con una guerra». Una guerra al terrorismo. Una guerra contro il Kurdistan.

Roma intanto è bloccata da qualche giorno: reparti speciali schierati e in campo per garantire la sicurezza di Erdogan, aree off limits e bonifiche a tappeto. Oltre 3500 uomini delle forze dell'ordine a disposizione, più o meno le stesse energie investite nei giorni del 60esimo anniversario dei Trattati di Roma nel marzo scorso quando, però, i leader a Roma erano una trentina.

San Pietro Erdogan

Rete Kurdistan aveva da tempo preso parola contro la visita di Erdogan nella Capitale, invitando anche nelle diverse città a mobilitarsi. Anche gli accademici hanno fatto appello al Papa affinché annullasse l'incontro.

#ErdoganNotWelcome

Con Afrin, con la rivoluzione in Rojava! 

#AfrinNotAlone #TurkeyHandsOffAfrin #NoFlyZone4Afrin #ErdoganTerrorist