Ecco come Renzi divide le università in serie A e B

L'analisi di Roberto Ciccarelli sulle manovre del Governo Renzi in merito all'Università. Tratto da Il Manifesto

4 / 7 / 2015

La riforma Madia della pub­blica ammi­ni­stra­zione vin­cola l’accesso ai con­corsi pub­blici alla valu­ta­zione delle uni­ver­sità e non solo alla lau­rea. Studenti,sindacati, ret­tori, M5S e Sel, tutti con­tro il governo: «Clas­si­sta». «Inco­sti­tu­zio­nale». «Mette Nord con­tro Sud». «Abo­li­sce il valore legale del titolo»

Dopo la scuola, ora è il turno dell’università. Erano in molti a pen­sare che la «Buona Uni­ver­sità» — il nome scelto per san­cire defi­ni­ti­va­mente l’esistenza di ate­nei di «serie A» e di «serie B» in Ita­lia, come soste­nuto dal Pre­si­dente del Con­si­glio Renzi in un discorso al Poli­tec­nico di Torino del 19 feb­braio scorso- sarebbe arri­vata in autunno. Invece il governo ha pen­sato di anti­ci­parla a luglio con l’emendamento 13.38 all’articolo 13 della riforma della Pub­blica ammi­ni­stra­zione pre­sen­tato dal depu­tato Pd Marco Meloni (già let­tiano e ex respon­sa­bile uni­ver­sità del Pd) in com­mis­sione Affari Isti­tu­zio­nali alla Camera. Nei fatti è l’abolizione del valore legale della lau­rea come cri­te­rio qua­li­fi­cante per l’accesso ai con­corsi pub­blici. Così è stato inteso ieri l’emendamento da ret­tori, stu­denti e sin­da­cati, uno schie­ra­mento non certo «natu­rale»: «Allu­ci­nante», «clas­si­sta», «inco­sti­tu­zio­nale», «brutta copia del modello ame­ri­cano», «aggra­verà le dispa­rità tra ate­nei del Sud e del Nord».

L’onda dell’indignazione ha tra­volto Meloni il quale inten­deva esclu­dere dai con­corsi per la P.A. requi­siti come «lau­rea di primo livello con voto minimo 100» e vin­co­lare il voto medio a quello con­se­guito dalla facoltà nell’ambito – pro­ba­bil­mente – della valu­ta­zione dell’ente dedi­cato a que­sto scopo, l’Anvur creato dalla riforma Gel­mini. Con­tro il governo si è alzato un fuoco di fila: dal pre­si­dente della Crui Paleari («Stanno pen­sando di abo­lire il valore legale del titolo di stu­dio?») alla Fun­zione Pub­blica della Cgil (Det­tori: «Intro­dur­ranno una nuova dise­gua­glianza tra stu­denti di serie A e B») e alla Flc-Cgil (Pan­ta­leo: «Dove sta­rebbe il merito in tutto que­sto? Dimi­nui­ranno ancora le iscri­zioni, soprat­tutto nel sud anche per l’assenza di una seria legge sul diritto allo studio»).

Ci si è messa anche la poli­tica con il Movi­mento 5 Stelle: «Dopo la riforma della scuola, una nuova por­cata – sosten­gono i par­la­men­tari – Renzi spacca in due il paese». Per il coor­di­na­tore di Sel Nicola Fra­to­ianni non è «una sele­zione per censo. Que­sto è clas­si­smo». E gli stu­denti: «Que­sta norma incen­ti­verà la con­cor­renza tra gli ate­nei, è una variante dell’abolizione del valore legale del titolo di stu­dio sosti­tuito dalle clas­si­fi­che con­te­state dell’Anvur – sostiene Alberto Cam­pailla del coor­di­na­mento uni­ver­si­ta­rio Link — Lo diciamo subito: non siamo dispo­sti a discu­tere. Bloc­che­remo que­ste fol­lie». «È una poli­tica com­ple­ta­mente scol­le­gata dalle con­di­zioni reali degli ate­nei e degli stu­denti. Siamo stufi che con­ti­nuino a gio­care sulla nostra pelle» ha aggiunto Gian­luca Scuc­ci­marra dell’Udu.

Poi è arri­vata la con­ferma da parte dello stesso Meloni. Lui era inten­zio­nato a esclu­dere la lau­rea di primo livello dai requi­siti per i con­corsi (dove ci sono), sta­bi­lendo «il voto medio di lau­rea di classi omo­ge­nee di stu­denti». Al resto ci ha pen­sato il governo che ha intro­dotto «un cri­te­rio di delega tale da defi­nire una dif­fe­ren­zia­zione tra ate­nei» sostiene Meloni. Il fuoco di fila ha pro­dotto un risul­tato: è stato dun­que il governo, e non un sem­plice depu­tato, a volere tra­sfor­mare la valu­ta­zione della ricerca e della didat­tica degli ate­nei a cri­te­rio inte­gra­tivo per l’accesso ai con­corsi pub­blici. Nei fatti un grave attacco al prin­ci­pio del valore legale del titolo di stu­dio che non gode certo di buona salute ed è costan­te­mente oggetto di attac­chi, soprat­tutto dall’inizio della crisi, da parte di tutti i governi dell’austerità e delle pic­cole o grandi «intese» (con­fin­du­striali). Meloni ha aggiunto una frase non certo ras­si­cu­rante: «Se il governo e la mag­gio­ranza inten­dono man­te­nere que­sta impo­sta­zione, è neces­sa­rio defi­nire il cri­te­rio di delega e le inten­zioni del governo nel suc­ces­sivo decreto». In altre parole, attra­verso un emen­da­mento tra­sfor­mato dall’intervento diretto del governo si cerca di far sal­tare un grap­polo di norme costi­tu­zio­nali, senza aspet­tare la riforma che potrebbe negare ai docenti il con­tratto da dipen­denti pub­blici e appli­care un Jobs Act ai ricer­ca­tori pre­cari (que­sti gli annunci della respon­sa­bile Pd scuola-università Fran­ce­sca Puglisi).

Il pro­getto del governo Renzi risale, in realtà, a un’iniziativa ana­loga adot­tata dal governo Monti nel gen­naio 2012. Allora si cercò inu­til­mente di abro­gare il valore legale della lau­rea, modi­fi­cando il sistema di «accre­di­ta­mento» degli ate­nei e pri­vi­le­giando quelli «eccel­lenti» da quelli più poveri del Sud ai quali sareb­bero stati ero­gati fondi decre­scenti. L’ossessione è rima­sta la stessa: una lau­rea presa a Bari non deve avere lo stesso valore di una presa alla Boc­coni di Milano.

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