E a un dio fatti il culo non credere mai

Sul primo maggio napoletano del 2013

4 / 5 / 2013

* Dylan Di Chiara è un attivista del Lab. Occ. Insurgencia e di MezzocannoneOccupato. 

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn capelli corti generale ci parlò all'Università dei fratelli tute blu che seppellirono le asce ma non fumammo con lui non era venuto in pace e a un dio fatti il culo non credere mai.

Non c’è bisogno di lavorare all’Istat per conoscere almeno a grande linee lo stato dell’arte in questo paese rispetto ai dati occupazionali. Se poi vivi al sud non hai neanche bisogno di leggere i roboanti titoli dei tabloid “1 milioni di disoccupati in più dal 2011” per sapere che il lavoro si perde molto più di quanto si trovi. E forse leggendo quei titoli tutt’al più pensi che il dato è molto più pesante di quello che pare, un po’ perché non si tiene conto di chi lavora a nero, un po’ perché si conta come lavoratore chi magari ha lavorato con un contratto di merda per due mesi ficcandosi 200 euro mensili in tasca per 6 o 7 ore di lavoro giornaliere. Poi sai anche benissimo che ad incidere pesantemente su questi dati nazionali è la tua porzione di paese. E Napoli in particolare se la gioca parecchio bene nel primato della disperazione sociale.

Se non avessimo una cultura politica di un certo tipo sapere che il 1 maggio si festeggiano i lavoratori ci sembrerebbe una provocazione. Quella che invece ci pare assolutamente una provocazione è che a festeggiare questa giornata siano i sindacati confederali. Che qualsiasi soggettività sociale in lotta decida di prendersi una giornata e farla sua è un meccanismo virtuoso. Sia che lo faccia in forma conflittuale che sottoforma di festa. Ma che a indire questo party siano in confederali brucia davvero tanto.
Non è una postura ideologica, né un virtuosismo teorico. Si discute sovente di cosa rappresenti oggi la forma sindacato, ma non è questo il punto. Il punto è che i maggiori sindacati di questo paese, e non vale davvero la pena stabilire una classifica dello schifo in cui inserire Cgil, Cisl, e UIL, sono tra i maggiori responsabili delle politiche sul lavoro riversate su di noi negli ultimi 20 anni.

Quello che basta sapere è che quando varavano il pacchetto TREU, la legge Biagi, e la legge Fornero, i sindacati nel migliore dei casi chiudevano un occhio. Nel peggiore tendevano la mano.
E se non basta, allora è sufficiente farsi un giro per le clientele che hanno costruito (e tradito perché oggi anche i lavoratori assunti attraverso dinamiche di questo tipo stanno perdendo il lavoro sotto lo sguardo sornione dei sindacati che pure gli avevano procurato il posto di lavoro). Come basterebbe guardare il rapporto che hanno con i partiti e i governi che hanno distrutto le politiche sociali di questo paese. Per quanto valga date le premesse anche solo ricordarsi che Epifani fa parte dello stesso partito di Treu risulta grottesco.
Cominciano così le ragioni che hanno portato a immaginare un primo maggio diverso da quello di plastica dei sindacati. Prendere parola. È questa un po’ l’idea che gira per la testa di chi ha partecipato a quella giornata. Com’è possibile che parlino sempre gli stessi? Che diritto ha il segretario della CGIL di parlare al posto nostro? Di lavoro poi. A Napoli.
I sindacati per questa giornata hanno scelto un luogo simbolo degli ultimi mesi a Napoli. Hanno scelto città della scienza. Questa struttura avrebbe già di suo una storia interessante. Fatta di clientele, stipendi non pagati, e tanti debiti. Ma quello che la rende l’argomento di primo piano di questo città, sono le fiamme che l’hanno devastata qualche mese fa in un’altra storia stracolma di ombre. A moltiplicare le contraddizione è la posizione geografica di città della scienza. Quest’ultima si trova sul quartiere di Bagnoli. Quella di questo quartiere è una delle storie più maledette d’Italia. L’Italsider, l’amianto, e le polveri ne hanno fatto uno dei luoghi con il più alto tasso di tumori in città (si gioca il primato con gli altri fortunati territori che hanno visto nascere discariche abusive e non). Alla chiusura dell’Italsider i proclama furono numerosi. Sembrava che Bagnoli dovesse diventare un quartiere di lusso, quasi Posillipo. Spiagge, palazzi, bonifiche, e la stessa città della scienza avrebbero dovuto portare l’area verso una certa direzione. Quello che è successo invece è che nonostante l’aumento del prezzo degli immobili, non sono stati costruiti né palazzi, né vialoni; che la bonifica non c’è stata; che per andare a mare si continua ad andare a Posillipo; e che la città della scienza ha preso fuoco. Le contraddizioni di questo quartiere non sono fuori contesto. E non solo perché i confederali hanno scelto proprio quella come sede dei loro festeggiamenti. E neanche perché tra i soggetti che hanno contestato i sindacati c’erano tanti bagnolesi. Ma perché i guai di quest’area non sono piovuti dal cielo, ma sono dovuti a una determinata gestione della città, di cui CGIL, CISL, e UIL sono assolutamente complici.
Le motivazioni che hanno portato a contestare la festa dell’ipocrisia confederale potrebbero occupare la Treccani, ma probabilmente queste sono le principali.

Quello che pare assurdo tuttavia è stato il modo in cui si sia direzionato il dibattito pubblico rispetto a quello che è successo. Il dibattito sui media mainstream si è incamminato come al solito lungo il binario violenza/non-violenza. Va da sé che si tratta di un discorso davvero poco interessante. È violenza quella di chi collettivamente esercita un rapporto di forza per prendere parola dal basso, o quella di chi ogni giorno mette in campo dispositivi che distruggono lavoro, welfare, e diritti? Non c’è violenza nelle vecchiette di 75 anni costrette a rubare nei supermarket per dare da mangiare ai nipotini? Non è forse violento chi fa perdere un milione di posti di lavoro in un anno, in un paese in cui non esiste neanche la forma più primitiva di reddito (che si chiami di base, di cittadinanza , o come si vuole)?
Chi parla di violenti, parlando di chi esprime dissenso, non solo spesso è in malafede, ma non fa altro che ignorare le ragioni della protesta. Ci piacerebbe che da domani si smettesse di discutere di chi ha cominciato a spintonare per primo fra il servizio d’ordine del sindacato e i manifestanti, e che invece si incominciasse a parlare di come ci si rapporta in termini di risposte politiche e concrete a un pezzo di società che chiede diritti.