* Dylan Di Chiara è un attivista del Lab. Occ. Insurgencia e di MezzocannoneOccupato.
“Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn capelli corti generale ci parlò all'Università dei fratelli tute blu che seppellirono le asce ma non fumammo con lui non era venuto in pace e a un dio fatti il culo non credere mai.
Non c’è bisogno di lavorare all’Istat per conoscere almeno a grande linee lo stato dell’arte in questo paese rispetto ai dati occupazionali. Se poi vivi al sud non hai neanche bisogno di leggere i roboanti titoli dei tabloid “1 milioni di disoccupati in più dal 2011” per sapere che il lavoro si perde molto più di quanto si trovi. E forse leggendo quei titoli tutt’al più pensi che il dato è molto più pesante di quello che pare, un po’ perché non si tiene conto di chi lavora a nero, un po’ perché si conta come lavoratore chi magari ha lavorato con un contratto di merda per due mesi ficcandosi 200 euro mensili in tasca per 6 o 7 ore di lavoro giornaliere. Poi sai anche benissimo che ad incidere pesantemente su questi dati nazionali è la tua porzione di paese. E Napoli in particolare se la gioca parecchio bene nel primato della disperazione sociale.
Se
non avessimo una cultura politica di un certo tipo sapere che il 1
maggio si festeggiano i lavoratori ci sembrerebbe una provocazione.
Quella che invece ci pare assolutamente una provocazione è che a
festeggiare questa giornata siano i sindacati confederali. Che
qualsiasi soggettività sociale in lotta decida di prendersi una
giornata e farla sua è un meccanismo virtuoso. Sia che lo faccia in
forma conflittuale che sottoforma di festa. Ma che a indire questo
party siano in confederali brucia davvero tanto.
Non è una
postura ideologica, né un virtuosismo teorico. Si discute sovente di
cosa rappresenti oggi la forma sindacato, ma non è questo il punto.
Il punto è che i maggiori sindacati di questo paese, e non vale
davvero la pena stabilire una classifica dello schifo in cui inserire
Cgil, Cisl, e UIL, sono tra i maggiori responsabili delle politiche
sul lavoro riversate su di noi negli ultimi 20 anni.
Quello
che basta sapere è che quando varavano il pacchetto TREU, la legge
Biagi, e la legge Fornero, i sindacati nel migliore dei casi
chiudevano un occhio. Nel peggiore tendevano la mano.
E se non
basta, allora è sufficiente farsi un giro per le clientele che hanno
costruito (e tradito perché oggi anche i lavoratori assunti
attraverso dinamiche di questo tipo stanno perdendo il lavoro sotto
lo sguardo sornione dei sindacati che pure gli avevano procurato il
posto di lavoro). Come basterebbe guardare il rapporto che hanno con
i partiti e i governi che hanno distrutto le politiche sociali di
questo paese. Per quanto valga date le premesse anche solo ricordarsi
che Epifani fa parte dello stesso partito di Treu risulta
grottesco.
Cominciano così le ragioni che hanno portato a
immaginare un primo maggio diverso da quello di plastica dei
sindacati. Prendere parola. È questa un po’ l’idea che gira per
la testa di chi ha partecipato a quella giornata. Com’è possibile
che parlino sempre gli stessi? Che diritto ha il segretario della
CGIL di parlare al posto nostro? Di lavoro poi. A Napoli.
I
sindacati per questa giornata hanno scelto un luogo simbolo degli
ultimi mesi a Napoli. Hanno scelto città della scienza. Questa
struttura avrebbe già di suo una storia interessante. Fatta di
clientele, stipendi non pagati, e tanti debiti. Ma quello che la
rende l’argomento di primo piano di questo città, sono le fiamme
che l’hanno devastata qualche mese fa in un’altra storia
stracolma di ombre. A moltiplicare le contraddizione è la posizione
geografica di città della scienza. Quest’ultima si trova sul
quartiere di Bagnoli. Quella di questo quartiere è una delle storie
più maledette d’Italia. L’Italsider, l’amianto, e le polveri
ne hanno fatto uno dei luoghi con il più alto tasso di tumori in
città (si gioca il primato con gli altri fortunati territori che
hanno visto nascere discariche abusive e non). Alla chiusura
dell’Italsider i proclama furono numerosi. Sembrava che Bagnoli
dovesse diventare un quartiere di lusso, quasi Posillipo. Spiagge,
palazzi, bonifiche, e la stessa città della scienza avrebbero dovuto
portare l’area verso una certa direzione. Quello che è successo
invece è che nonostante l’aumento del prezzo degli immobili, non
sono stati costruiti né palazzi, né vialoni; che la bonifica non
c’è stata; che per andare a mare si continua ad andare a
Posillipo; e che la città della scienza ha preso fuoco. Le
contraddizioni di questo quartiere non sono fuori contesto. E non
solo perché i confederali hanno scelto proprio quella come sede dei
loro festeggiamenti. E neanche perché tra i soggetti che hanno
contestato i sindacati c’erano tanti bagnolesi. Ma perché i guai
di quest’area non sono piovuti dal cielo, ma sono dovuti a una
determinata gestione della città, di cui CGIL, CISL, e UIL sono
assolutamente complici.
Le motivazioni che hanno portato a
contestare la festa dell’ipocrisia confederale potrebbero occupare
la Treccani, ma probabilmente queste sono le principali.
Quello
che pare assurdo tuttavia è stato il modo in cui si sia direzionato
il dibattito pubblico rispetto a quello che è successo. Il dibattito
sui media mainstream si è incamminato come al solito lungo il
binario violenza/non-violenza. Va da sé che si tratta di un discorso
davvero poco interessante. È violenza quella di chi collettivamente
esercita un rapporto di forza per prendere parola dal basso, o quella
di chi ogni giorno mette in campo dispositivi che distruggono lavoro,
welfare, e diritti? Non c’è violenza nelle vecchiette di 75 anni
costrette a rubare nei supermarket per dare da mangiare ai nipotini?
Non è forse violento chi fa perdere un milione di posti di lavoro in
un anno, in un paese in cui non esiste neanche la forma più
primitiva di reddito (che si chiami di base, di cittadinanza , o
come si vuole)?
Chi parla di violenti, parlando di chi esprime
dissenso, non solo spesso è in malafede, ma non fa altro che
ignorare le ragioni della protesta. Ci piacerebbe che da domani si
smettesse di discutere di chi ha cominciato a spintonare per primo
fra il servizio d’ordine del sindacato e i manifestanti, e che
invece si incominciasse a parlare di come ci si rapporta in termini
di risposte politiche e concrete a un pezzo di società che chiede
diritti.