Dpcm e ordinanze ai tempi del Covid 19: dubbi e legittimità

Un breve resoconto giuridico del "governo della pandemia".

23 / 3 / 2020

È ormai passato quasi un mese da quando il Governo Italiano poneva le basi giuridiche per fronteggiare il Covid-19 nel nostro Paese.

È del 23 febbraio 2020, infatti, il primo caso di infezione in Italia e di conseguenza il primo (e unico) decreto-legge che disciplinava le prime misure di contrasto alla diffusione dell’infezione da corona-virus.

È però il Dpcm dell’8 marzo 2020 che sancisce lo spartiacque dalle misure precedentemente intraprese: il territorio della Regione Lombardia e di altre 14 Province (cinque dell'Emilia-Romagna, cinque del Piemonte, tre del Veneto e una delle Marche) diventano Zona Rossa.

Il giorno dopo, il 9 marzo, si annuncia, invece, un nuovo provvedimento che estende le misure di cui all'art. 1 del Dpcm 8 marzo 2020 a tutto il territorio nazionale, con decorrenza dal 10 marzo ed efficacia sino al 3 aprile.

Il 20 marzo, invece, il Ministro della Salute ha firmato la prima di due ordinanze che vieta: l'accesso del pubblico ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici, oltre che di svolgere attività ludica o ricreativa all'aperto. 

Nel decreto si specifica che resta consentito “svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona”. 

Nelle more di quest’ultima ordinanza ministeriale, si collocano le ordinanze degli enti locali e delle regioni, in primis il 13 marzo in Campania, seguitata il 20 marzo dal Veneto, in cui Sindaci o Governatori, prendendo piede dalle norme facoltizzanti dei DPCM, restringono il campo delle libertà delineato dai decreti nei territori dagli stessi amministrati.

In questo marasma di continui provvedimenti, FAQ e successive smentite, oltre che di disposizioni liquide e liberamente interpretabili (da cittadini e, ancor più grave, da forze dell’ordine) si è delineato un tessuto giuridico, squisitamente amministrativo, sulla quale il mondo dei giuristi nutre notevoli dubbi di legittimità.

Seppur, come detto, l’apparato creatosi è di natura amministrativa, la loro violazione prevede una reazione penale. La ratio di quanto detto è da ravvisarsi nella finalità general-preventiva: per far rispettare tali norme, lo Stato ha presupposto che lo strumento penale piuttosto che l’istituto dell’illecito amministrativo, fosse di gran lunga più convincente.

Andando per gradi, chi vìola le norme previste da Decreti e Ordinanze, e dunque fuoriesce di casa senza alcun motivo, al di fuori di quelli strettamente necessari (spesa, salute, lavoro), o si sposta in comune diverso dal proprio, incorre nel reato previsto dall’art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità), “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro”.

L’incaricato di pubblica sicurezza che si ritrova dinanzi un caso del genere, ha l’obbligo di denunciare e di inviare l’incartamento, costituito di generalità, indicazione di un difensore ed elezione di domicilio, all’Autorità Giudiziaria.

Il denunciato si ritroverà, a seguito dell’iscrizione di reato, nella posizione di indagato, come accade per la commissione di qualsiasi altro reato, e potrà essere destinatario di Decreto Penale di Condanna da concludersi con oblazione (pagamento) e dunque senza alcun contraddittorio, oppure, qualora contrario, avviando un procedimento penale ad hoc.

Secondo i dati, aggiornati quotidianamente sul sito del ministero dell’interno, dall’11 al 21 marzo 2020, le persone controllate erano 1.858.697, di cui 82.041 quelle denunciate ex articolo 650 c.p.

Un ulteriore reato denunciato massicciamente in questi giorni è quello ex art. 495 c.p. recante “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”. Tale viene utilizzato per punire le dichiarazioni mendaci inscritte sull’apposita certificazione che il cittadino utilizza o compila qualora esca di casa.

Il reato citato prevede: “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni”.

Su tal punto si è aperto un dibattito non ancora conclusosi. Potranno rientrare nel campo de le “identità, stato o qualità” le scuse accampate dai privati per giustificare spostamenti fasulli?

L’opinione di molti giuristi tende ad escluderlo, la giurisprudenza, invece, non si è mai ritrovata ad affrontare un caso similare.

Ciononostante, le denunce ex art. 495 c.p. sono, al 21 marzo, 1.943.

L’ultima ordinanza nel tempo, datata 22 marzo 2020, e disposta dalla combinazione di Ministro della Salute e Ministro dell’Interno, ha disciplinato il divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.

Anche qui appare “lecito” chiedersi sulla gestione dei casi cd. “a limite”, ad esempio, gli spostamenti delle persone al supermercato o farmacia “più vicina” che non equivale, per forza, a quello interno al proprio comune, agli spostamenti a piedi degli abitanti a cavallo di due comuni, e così via. Anche in questo caso, la libera interpretabilità della disposizione, potrebbe comportare un arbitrio illegittimo.

È necessario ricavare da tale resoconto giuridico-numerico un’analisi a tutto tondo.

Gli interrogativi che vengono posti sono principalmente due: 

1) Lo stato d’emergenza può derogare le libertà costituzionalmente garantite?

2)  Cosa resterà di questo impianto restrittivo una volta che l’emergenza sarà rientrata?

Per rispondere alla domanda sub 1.:

L’art. 16 della Costituzione che disciplina la libertà di movimento del cittadino è chiaro ed univoco: Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.

L’articolo stesso prevede dunque delle deroghe alla libertà di circolazione qualora le limitazioni provengano dalla “legge”.  Ma potranno dirsi “legge” i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o le ordinanze del Ministero della Salute, per loro natura di rango “secondario”?  In linea di principio, no.

E questa garanzia è data dal principio di riserva di legge, affidata “tendenzialmente” all’organo legislativo.

Le fonti secondarie, invece, sfuggono al controllo parlamentare e del Capo dello Stato! Creando dunque una vera e propria degradazione delle libertà fondamentali.

Il nostro ordinamento, tuttavia, ben conosce l’utilizzo della decretazione d’urgenza in momenti “eccezionali” (che, nel corso dei tempi son divenuti “normali”, ma questa è un’altra storia). Il decreto legge, previsto costituzionalmente dall’art. 77, deve essere convertito dal Parlamento, nulla a che vedere perciò con l’inappropriato strumento, in questo momento così critico, del DPCM o delle ordinanze ministeriali.

Sembra che il momento eccezionale abbia consentito una deroga alla garanzia della riserva di legge, uno svilimento che tanto fa pensare anche sul futuro.

Questo precedente è in grado di generare mostri di sproporzionate dimensioni che uno Stato di Diritto non può permettersi.

Sul punto sub.2

È chiaro che, al cessare dello stato di emergenza così come dichiarato dallo Stato Italiano e dall’OMS, dovranno essere ri-assicurati tutti i diritti sinora “sospesi” in virtù del diritto, anch’esso fondamentale, alla salute. Tuttavia i lasciti che proverranno da questa situazione saranno senza alcun dubbio cospicui.

Basti pensare al grande onere per gli apparati di Giustizia, già sospesi sino al 31 maggio per via dell’emergenza, che dovranno gestire il cumulo di denunce e procedimenti penali del periodo quarantena.

A seguito dell’intervento televisivo di sabato sera, il presidente del consiglio dei ministri ha disposto con un ulteriore DPCM la sospensione delle attività produttive industriali o commerciali ad eccezione delle filiere necessarie e di quelle che consentano il funzionamento di queste ultime indicando un elenco con poco più di 100 attività che potranno continuare a restare attive. Una nuova sospensione dell’art. 41 Cost., attraverso un provvedimento secondario.