Dove il fondo non esiste

13 / 8 / 2012

 Quello che sta accadendo a Taranto in questi giorni si presta a molteplici interpretazioni, si discute sulle ordinanze, si discute dell’apecar, si discute del futuro degli operai, del quartiere tamburi, si discute invece poco sulle prospettive future e di eventuali alternative. I difensori dell’Ilva e dell’industria in generale, che oltre all’Ilva conta colossi come Cementir, Vestas e soprattutto Eni e Marina Militare fanno cardine del fatto che non esista in questa città alcuna prospettiva. Per questo il denaro pubblico stanziato dal Governo non può che rappresentare l’occasione per “mettere tutto in regola”, “migliorare” lo stato attuale delle cose. Uno stato attuale che ormai appare a tutti, ma proprio a tutti, evidentemente insostenibile.

Quello che in tanti ci chiediamo è come mai dopo tanti anni in cui dai sindacati, dalle amministrazioni comunali e regionali, dai governi e da tutti gli enti che in qualche modo avrebbero dovuto garantire il rispetto delle regole da parte dell’azienda hanno sempre sostenuto che tutto andava bene, che l’Ilva fosse una fabbrica modello, nonostante documentati casi di mobbing, la Palazzina Laf e una serie incredibile di infortuni e incidenti sul lavoro. L’indice di infortuni, dicono alcuni operai, è talmente alto che spesso influisce sul buon esito di alcune commesse dell’azienda. Sull’ambiente invece nessuna crepa nel meccanismo di potere, l’Ilva non inquina punto e basta, se inquina si tratta di inquinamento a norma di legge, questa in pratica era la linea Prestigiacomo, che evidentemente si sbagliava nonostante le fotografie con caschetti e sorrisi all’interno dello stabilimento.

Effettivamente Taranto da questo punto di vista è sempre stata un caso a parte, un’ eccezione. Basta leggere bene tutto quello che in ambito normativo è stato proposto sia a livello nazionale che regionale, con lo scopo dichiarato di tentare la legalizzazione di fatto della grande industria tarantina. A denunciare tutto questo c’erano le solite cassandre, singoli cittadini, qualche operaio solitario e qualche associazione alzavano la voce nel deserto, esposti sistematicamente alla derisione generale, alle minacce e alla repressione sistematica. C’è voluto un giudice affinché il livello e la credibilità delle parti in qualche modo fosse messo radicalmente in discussione.

La prima sentenza che chiedeva la chiusura delle aree a caldo dello stabilimento è stata interpretata con molteplici sfumature a seconda di interessi e visioni di parte di tutta questa storia, la seconda invece, dopo pochi giorni ha ribadito il fatto che nello stabilimento non si può produrre in queste condizioni. Il nuovo ras dell’azienda, un ex Prefetto di Milano – sembra di essere tornati agli anni ’50 in cui Stato e fabbriche erano la stessa cosa a difesa dell’ordine costituito- viene completamente spogliato dei suoi poteri e di fatto il Gip Todisco toglie ogni potere di azione e controllo all’azienda all’interno delle aree sequestrate. E’ una rivoluzione rispetto alla legge regionale antidiossina del governo targato Vendola, una legge che garantiva controlli in forma e modi assolutamente discutibili sulla base del principio “occhio non vede cuore non duole”.

Di fronte alla volontà dei magistrati di impedire la continuazione dell’avvelenamento di ambiente e persone, la risposta del governo e un po’ di tutti i partiti dell’arco parlamentare è univoca e non lascia spazio a possibilità di confronto. Domani ci sarà uno sciopero dei sindacati a guardia del lavoro cui la Fiom non aderisce, senza entrare nel merito di tale scelta, la linea di Landini &co. appare tracciata nel solco della tradizione, né con l’azienda né con “quelli dell’apecar” .

In un contesto di città dormitorio dove ormai lavorano solo operai e marinai, mentre tutti gli altri vanno a costituire un esercito di precari e disoccupati, il futuro appare quanto mai incerto. Come farà il Governo a tenere in piedi strategie industriali e l’ormai non trascurabile diritto alla salute reclamato da un’intera comunità? Come farà la politica a difendere le scelte criminali che da cinquant’anni avviliscono un territorio evidentemente sfinito? Come farà buona parte del sindacato a garantire il corretto funzionamento del voto di scambio e di spartizione delle tessere di cui tanti operai in questi giorni ci hanno raccontato? Di fronte a questo panorama entusiasmante, il “governo dei tecnici” si muove e manda in città importanti pezzi del potere nazionale più maleodorante, primo tra tutti il ministro dell’ambiente Clini, secondo gli spifferoni di Wikileaks uomo di Bush a Roma per quanto riguarda tutto ciò che ruota attorno all’applicazione del Protocollo di Kyoto. Un rappresentante dello Stato che dovrebbe tutelare l’ambiente ma che in questo caso si presenta come difensore delle politiche industriali ad ogni costo, pur dichiarando che non farebbe mai vivere i suoi nipoti al quartiere Tamburi. Sono queste affermazioni e questi atteggiamenti in cui cresce e si alimenta la necessità di costruire un’ alternativa dal basso e la sfiducia generalizzata nelle istituzioni.

Il Governo di fatto dice ai tarantini che bisogna rassegnarsi, siamo troppo strategici, insomma ci bastano dei soldi da regalare non si sa bene a chi e non si capisce per fare cosa, si sistema alla meglio il quartiere Tamburi e finalmente si mette a posto ambiente e coscienze. Fortunatamente non sarà così semplice. Siamo convinti che la questione dell’inquinamento ambientale e sociale che indisturbato si è perpetuato quasi per mezzo secolo continuerà a sorprenderci, e credo che ancora una volta saranno gli eventi a scandire l’agenda delle parti in causa. Abbiamo visto le foto di Carlo Vulpio (http://carlovulpio.wordpress.com/) del luglio 2011, che ci mostravano cave di amianto approssimative, rifiuti tossici di ogni tipo esposti praticamente a cielo aperto, è logico ipotizzare che in un non-luogo di quel tipo tra terra e mare, possa essere stato “smaltito” di tutto, in barba a qualsiasi legge e a qualsiasi buonsenso, in nome solo degli affari, dei soldi. Prima o poi qualcuno metterà il naso non solo in aria, tra i fumi, ma anche nella terra e nel mare, dove è più difficile metterci la mani e porsi delle domande. Ancora una volta saranno gli eventi a porre l’agenda, per questo crediamo che bisogna essere estremamente ottimisti per credere che in questa cornice possano esserci ancora le condizioni affinchè ambiente e lavoro, questo lavoro, possano coincidere. Sindacati, amministratori delegati, politici locali, dovevano pensarci prima, purtroppo non può essere sufficiente tingere le pareti della fabbrica, farsi pubblicità sugli autobus cittadini e assumere esponenti del mondo accademico e culturale locale al Centro studi Ilva per mascherare e far digerire ad un’intera comunità uno scempio socio-ambientale così palese.

Mentre il governo si sbraccia e si affanna, il sindaco è latitante e i sindacati fanno quadrato, tranne la Fiom che nonostante interviste e documenti cerca di capire qual è il vento che soffia più forte. E’ quasi Ferragosto e a Punta Rondinella, zona di mare immediatamente a ridosso del porto di Taranto, decine di bagnanti si sono organizzati per passare la notte in spiaggia e una giornata di relax, quasi a voler rintracciare una normalità che da queste parti non è mai stata di casa.

Attivista Occupy ArcheoTower - Taranto