Dopo Bessemer: ristrutturazione tecnologica e resistenza ad Amazon

17 / 4 / 2021

Nell’ultima settimana, Amazon ha fatto molto parlare di sé. Prima è giunta la notizia della sconfitta del tentativo di sindacalizzare il centro logistico di Bessemer in Alabama. Si torna dunque allo status quo ante di totale assenza dei sindacati nei magazzini Amazon Usa. In risposta alla reazione di un’opinione pubblica che ha intuito come l’esito del voto a Bessemer fosse figlio più del comportamento antisindacale che di una genuina soddisfazione dei lavoratori, il presidente di Amazon Jeff Bezos ha dichiarato agli azionisti che il colosso dell’e-commerce “deve fare di più per i propri dipendenti”. Ma di Amazon si parla anche in Italia per l’enorme espansione della multinazionale americana nei nostri territori. Nuovi magazzini stanno aprendo nelle provincie di Bergamo, Catania, Modena, Novara, Vicenza, ecc. Solo a Treviso, Amazon vuole insediare un nuovo maxi polo e due centri di smistamento. Oltre al danno ambientale in termini di emissioni e consumo di suolo, l’offensiva di Amazon è l’avanguardia della ristrutturazione tecnologica del settore della logistica, che negli ultimi dieci anni ha espresso alti livelli di combattività di classe. Una strategia sindacale che miri a co-gestionare con la controparte gli algoritmi di sorveglianza rischia di ridursi a mera razionalizzazione della ristrutturazione. Un’alleanza con le mobilitazioni territoriali contro l’espansione di Amazon può invece costruire un fronte di resistenza più ampio. Per capire meglio il modello Amazon, proponiamo questa traduzione di Emma Purgato e Serena Tarascio di un articolo pubblicato originalmente da WIRED.

Nelle profondità delle corsie di un vasto centro logistico di Amazon, un giovane lavoratore risentito ha messo in piedi una piccolissima ribellione. Appassionato di fumetti, metteva da parte i titoli interessanti quando arrivavano in magazzino, dandoci un’occhiata ogni tanto mentre riempiva gli scaffali. Dopo aver finito un libro, lo metteva in bella vista. Non scansionava il codice a barre del libro o dello scaffale corrispondente, in modo che risultasse perso per sempre per il sistema di inventario elettronico di Amazon. Solo lui sapeva dov’era. Non si trattava esattamente di sabotaggio politico, dice Alessandro Delfanti, professore di scienze della comunicazione dell’Università di Toronto, che ha sentito la storia mentre intervistava dei magazzinieri per un libro su Amazon. “Era più una piccola vendetta, un piccolo modo di riappropriarsi di un minimo di tempo”.

Si potrebbe dire quasi che questi micro-ammutinamenti clandestini siano un passatempo americano. Il libro del 1992 di Martin Sprouse Sabotage in the American Workplace: Anecdotes of Dissatisfaction, Mischief and Revenge raccoglie centinaia di storie simili. C’è il confezionatore di sottaceti che li lancia sul nastro trasportatore senza farsi vedere fino a manometterlo. C’è il giornalista contrariato (inimmaginabile!) che è venuto incontro alle richieste di brevità del suo editore scrivendo il titolo “MORTO” seguito dalla storia, “Ecco cos'era Harry Serbronski dopo aver colpito con l'auto un palo del telefono a centotrenta km all’ora.” Continuando con questa grande tradizione, i lavoratori di Amazon hanno impostato – come schermata principale dei dispositivi forniti dall’azienda – foto di Jeff Bezos che ride in modo maniacale, o scarabocchiato “Formiamo un sindacato” sui finestrini incrostati di polvere dei furgoni per le consegne. Piccole rivolte personali, forse soddisfacenti per un momento in un mondo sempre più automatizzato, sorvegliato, asimmetrico.

Stando ad ascoltare numerosi lavoratori di Amazon, si sente dire spesso “Non siamo robot”. Mentre l’azienda chiama i suoi magazzinieri “il cuore e l’anima” delle sue operazioni, molti dipendenti si sentono come ingranaggi, appendici inumane di una macchina. O peggio, diventano difetti del sistema, quando le loro funzioni di esseri umani – l’affaticamento, l’usura o lo strappo di un legamento, il richiamo della natura – ostacolano la loro capacità di stare al passo con i robot. Questo ritornello è diventato sempre più forte negli anni, arrivando al culmine con la lotta sindacale a Bessemer, in Alabama.

Fino a venerdì mattina, il sindacato era molto indietro con il conteggio dei voti, con i No che superavano i Sì di più del doppio. Circa 500 voti rimangono contestati, per la maggior parte di Amazon, ma ce ne sono troppo pochi per colmare il deficit [alla fine il sindacato ha perso per 1.798 voti contro 738, NdR]. I risultati sono un colpo duro per gli organizzatori e la Retail, Wholesale and Department Store Union (RWDSU), che sperava di rappresentare i lavoratori, ma l’elezione costituisce ad ogni modo un traguardo – Bessemer è la prima struttura statunitense a raggiungere questo stadio in un sistema che favorisce pesantemente i datori di lavoro. Venerdì la RWDSU ha annunciato che ha intenzione di sporgere denuncia contro Amazon, per presunta violazione delle leggi sul lavoro, cosa che potrebbe mettere in discussione i risultati.

Nel frattempo, un’ondata di innovazioni sta mettendo sempre più sotto pressione i lavoratori di ogni tipo, tracciandoli in modi sempre più sofisticati e spingendoli a lavorare a ritmi sempre più robotici. Sembra che stia funzionando: la produttività negli USA è cresciuta di quasi il 70% negli ultimi quattro decenni. È maggiore di oltre sei volte il tasso dei salari, in parte a causa del declino della contrattazione collettiva. Dal 1979, il numero di iscritti ai sindacati statunitensi ha subito un crollo dal 27 all’11%.

L’impulso a spremere più valore possibile dai lavoratori al minimo costo non è niente di nuovo, ovviamente. Negli anni ‘80 dell’Ottocento, un ingegnere industriale di nome Frederick Winslow Taylor escogitò un nuovo tipo di consulenza gestionale, che avrebbe preso il nome di “gestione scientifica”. Applicando principi dell’ingegneria al lavoro nelle industrie, Taylor girava per i piani delle fabbriche, cronometro e regolo calcolatore alla mano, cercando modi di accorciare i tempi di produzione. Sosteneva che il tracciamento numerico fosse necessario a contrastare la “naturale pigrizia” dei lavoratori. Questo diventò un vangelo tra le maggiori industrie navali e dell’acciaio del tempo e influenzò la famosa catena di montaggio di Henry Ford.

Delfanti sostiene che gli scanner di codici a barre, le applicazioni di tracciamento dei lavoratori, e gli strumenti di gestione algoritmici di oggi abbiano aperto la porta a un’era di “taylorismo digitale”. “Molte grandi aziende stanno riproponendo quel modello”. Amazon è all’avanguardia in questo. La multinazionale conta automaticamente ogni prodotto scansionato e il suo sistema “Time Off Task” registra ogni secondo, in un turno di 10 ore, in cui il magazziniere non sta scansionando, incluse le pause per andare in bagno. Troppe poche scansioni all’ora o troppo TOT sono motivi di richiamo, o addirittura di licenziamento.

La capacità di trasformare tutto in dati aggiunge una nuova dimensione al progetto di Taylor. “Un tempo, mettevi i materiali grezzi nella macchina o usavi i muscoli per farla funzionare,” dice Delfanti. “Con la nuova tecnologia digitale e i robot, anche la conoscenza viene convertita in dati e data in pasto alla macchina.” Quell’informazione può poi essere utilizzata dall’azienda per raffinare e migliorare il sistema nella sua missione per massimizzare l’efficienza.

Ad esempio, invece di riporre gli oggetti per categoria – fumetti di Star Trek qui, tubetti di dentifricio laggiù – Amazon li dispone in modo casuale, affidandosi poi ai codici a barre per individuarli, riducendo lo spazio vuoto sugli scaffali e risparmiando il tempo impiegato per attraversare un magazzino di 80.000 metri quadrati andando a prendere o distribuendo vari tipi di prodotti. “Appena il lavoratore assegna con lo scanner il codice a barre, per lui l’informazione è persa perché il magazzino è così immenso ed è difficile orientarsi. Viene catturata dall’algoritmo e riposta nella memoria elettronica di Amazon”. Più dati la macchina assorbe dai lavoratori, più strettamente può controllare il loro processo lavorativo. Ci si potrebbe immaginare la pianta aliena de La piccola bottega degli orrori. Più corpi le vengono dati in pasto da Rick Moranis, più cresce il suo potere su di lui.

Delfanti ha indagato tra i brevetti di Amazon, leggendoli come le foglie di tè che prevedono i possibili futuri. In seguito, sostiene, c’è la possibilità che i lavoratori trasmettano alla macchina non solo la conoscenza, ma anche i sensi. Un brevetto per un guanto cinematico coperto di sensori di pressione permetterebbe ai lavoratori di insegnare ai robot come eseguire un compito, come ad esempio raccogliere un prodotto. Un altro brevetto per un “sistema di interazione avanzato” potrebbe usare il riconoscimento facciale e la realtà aumentata per identificare i lavoratori e proiettare statistiche su di loro, come l'efficienza, sul campo visivo di un supervisore. Ovviamente, molti brevetti non vedono mai la luce del sole. Amazon non si è espressa sull’intenzione di sviluppare o meno queste tecnologie nello specifico, ma in generale ha segnalato un impegno verso la robotica che rende le loro strutture più sicure ed efficienti.

Mentre i titoli più clamorosi degli ultimi anni hanno messo in guardia dalla possibilità che i lavoratori umani siano rimpiazzati di sana pianta dai robot, gli scenari più comuni che stanno emergendo vedono un modello ibrido uomo-robot. Alla conferenza re:Mars di Amazon, nel 2019, l’allora vice-presidente del settore robotica Brad Portner ha parlato a lungo del magazzino del futuro. Piuttosto che robot che rimpiazzano gli umani, Portner ha descritto, “una sinfonia di umani e robot che lavorano insieme”. Dopotutto, gli esseri umani eclissano ancora i robot per quanto riguarda determinati compiti. In molti casi, sono più economici.

 All'interno dei magazzini Amazon più nuovi e robotizzati, che comprendono 50 degli oltre 175 centri logistici in tutto il mondo, i lavoratori non camminano più lungo i corridoi per recuperare i prodotti. Sono gli scaffali motorizzati ad avvicinarsi a loro. Questo accelera la mole di lavoro, permettendo agli addetti di imballare articoli fino a quattro volte di più, secondo un'indagine fatta a settembre da Reveal. Il fatto è che, quando sono i robot a stabilire il ritmo, rimane poco spazio alla flemma. Maggiore il numero degli imballaggi, maggiori i movimenti ripetitivi. I corpi si ribellano. Reveal ha scoperto che i tassi di infortuni gravi erano del 50% più alti nei magazzini Amazon robotizzati, rispetto alle loro controparti meno tecnologizzate. Ciò potrebbe contribuire al grosso turnover nei centri logistici dell‘azienda – secondo alcune stime in media intorno al 100% all'anno.

Amazon dice che il tasso di abbandono è pari alla media nel settore, ma non ha fornito i dati per provarlo. Ha citato i miliardi che l'azienda ha investito l'anno scorso in nuove misure di sicurezza, le migliaia di ispezioni cautelative che vengono condotte quotidianamente e le centinaia di migliorie fatte sulla base dei feedback degli impiegati.

L'azienda sostiene che quella automazione permette ai lavoratori competenti di eseguire compiti più sofisticati e ha messo WIRED in contatto con Ennly Gramajo, una tecnica di robotica del New Jersey. La Gramajo indossa un gilet imbottito di sensori, che segnala ai robot che girano per il piano del magazzino quando fermarsi, così che lei possa risolvere i problemi, per esempio recuperare gli oggetti caduti. Le piace lavorare con la tecnologia avanzata e lo preferisce alla sua precedente mansione di addetta al magazzino, che implicava stare ferma in un punto e svolgere compiti ripetitivi. Dice che è uno dei ruoli più ambiti; nel suo centro logistico esistono circa una dozzina di questi incarichi (Amazon si è rifiutata di rivelare quante persone siano impiegate come addetti e quante come tecnici di robotica).

I leader della classe operaia degli inizi del ventesimo secolo hanno denunciato il taylorismo per aver reso i lavoratori degli automi, semplificando processi in precedenza complessi e svalutando il lavoro, mentre nel frattempo esso cresceva di intensità. Alex Colvin, decano della School of Industrial and Labor Relations della Cornell University dice che nel 1930 il vangelo della gestione scientifica è culminato in un punto di rottura per i lavoratori. Il taylorismo radicato, insieme all'enorme diseguaglianza economica, ha generato un‘ondata di organizzazione sindacale. “Anche se in qualche modo Amazon è un tipo di azienda molto nuova, un'azienda tecnologica online, comprende anche un'operazione di smistamento e consegna di pacchi su larga scala, dunque esiste un richiamo alle vecchie catene di montaggio. È interessante vedere una reazione parallela dei lavoratori che, in risposta a ciò, si organizzano in sindacati”.

Finora, Bessemer è l’unico magazzino Amazon negli Stati Uniti a essere riuscito ad arrivare a un'elezione sindacale, sebbene gli organizzatori abbiano dichiarato che altri stabilimenti si stiano preparando a mettere i bastoni tra le ruote alla multinazionale. Alcuni lavoratori hanno detto di voler un sistema più umano rispetto ai rigidi strumenti gestionali algoritmici quali Time Off Task. Si sono lamentati degli avvisi disciplinari generati automaticamente, quanto il loro TOT supera il limite e richiedono un processo di reclamo più umano-centrico. Le donne, e in particolare quelle incinta, sono sproporzionatamente colpite da un sistema che calcola le pause per andare in bagno come TOT. Sono state avanzate critiche circa il tempo di pausa insignificante – due periodi di 30 minuti durante un turno di 10 ore fisicamente estenuante, che comprende il tempo che ci vuole ad attraversare un magazzino enorme per raggiungere la sala ristoro.

Colvin osserva che la tecnologia non debba essere usata per rendere il lavoro più avvilente; potrebbe migliorare invece la flessibilità. Prendiamo la programmazione. Amazon ottimizza il tempo non produttivo dal suo orario attraverso straordinari obbligatori durante i picchi e tempo libero volontario (non pagato) durante i periodi di calma. Questo fa sì che i genitori debbano industriarsi a trovare qualcuno che si occupi dei figli quando, all'ultimo momento, appare un avviso di straordinari obbligatori. Nell'ultimo anno, con l'aumento di domanda per servizi e-commerce, l'azienda ha inoltre imposto unilateralmente dei turni notturni da 10 ore e mezza, i cosiddetti “megacicli”. I sindacalisti hanno definito i turni “inumani” e dei lavoratori di Chicago hanno organizzato uno sciopero di protesta mercoledì (Amazon dichiara che gli avvisi per gli straordinari obbligatori vengono mandati fino a tre settimane in anticipo, ma non più tardi dell'ora di pranzo del giorno prima. I dipendenti possono scegliere se scambiarsi i turni con un collega o usare la loro quota di tempo libero pagato o non pagato, se disponibile).

Esiste un software alternativo che permette ai lavoratori di inserire i loro impegni e le loro preferenze in anticipo, poi genera orari sulla base dei bisogni sia del lavoratore, sia del datore di lavoro. “All'interno dei software di programmazione, esiste una vera divergenza tra quelli disumanizzanti e quelli che invece facilitano”, Colvin dice.

All'istituto tecnologico dell'AFL-CIO (la federazione sindacale americana, NdT), che è stato avviato a gennaio, i leader sindacali si stanno inventando modi per includere i lavoratori nello sviluppo degli algoritmi che amministrano il loro lavoro. Come modello hanno citato il lavoro del sindacato dell'ospitalità Unite Here, per conto di un gruppo di addetti alle pulizie degli hotel, i cui percorsi al lavoro erano controllati da algoritmi. Originariamente, gli ingegneri avevano ottimizzato i percorsi tenendo conto delle esigenze degli ospiti più facoltosi. Di conseguenza, l'algoritmo mandava gli addetti alle pulizie da una parte all'altra lungo percorsi inefficienti, con carrelli pesanti al seguito. Attraverso la contrattazione collettiva, hanno aiutato a riconvertire un algoritmo; gli ingegneri hanno progettato nuovi percorsi più efficienti e meno impegnativi per gli addetti alle pulizie. “Ma senza un contratto sindacale, la maggior parte dei lavoratori gridano al buio, cercando di attirare l'attenzione della direzione”, dice Liz Shuler, la segretaria di tesoreria dell’AFL-CIO.

Finché la regolamentazione è in ritardo rispetto allo sviluppo tecnologico, perfino per i lavoratori sindacalizzati la battaglia è in salita. “La tecnologia che abbiamo adesso non è stata ideata quando stavamo creando le regole sul funzionamento del posto di lavoro”, dice Ifeoma Ajunwa, direttrice fondatrice del Programma di Ricerca del Processo Decisionale dell'Intelligenza Artificialealla facoltà di diritto dell'Università della Carolina del Nord. Alcune tecnologie di sorveglianza, come le telecamere potenziate da intelligenza artificiale con riconoscimento facciale, fanno affidamento su una scienza incerta che degli studi hanno dimostrato essere ancora più approssimativa per le persone di colore. Altre, tipo le app di wellness, potrebbero essere utilizzate per ricavare informazioni quali, ad esempio, quando una donna potrebbe rimanere incinta. I dispositivi indossabili rappresentano ancora un'altra frontiera. Amazon detiene il brevetto per un braccialetto a feedback aptico che dovrebbe emettere un suono quando un addetto prende l'articolo sbagliato.

Il monitoraggio elettronico non si limita soltanto all'interno dei magazzini. Il passaggio al lavoro in remoto, dettato dalla pandemia, ha provocato un'impennata nell'uso dei software di monitoraggio dei dipendenti. Una società chiamata letteralmente Controlio offre ai datori di lavoro un keylogging ricercabile, punteggi di produttività individualizzati e una “modalità stealth” che permette al capo di spiare gli schermi degli impiegati. Con qualche eccezione locale, in particolare a causa del riconoscimento facciale, tutti questi dispositivi sono perfettamente legali (perfino Controlio!). “È necessario aggiornare le leggi e prendere in considerazione il modo in cui le nuove tecnologie sorvegliano i lavoratori”, dice la Ajunwa.

Da questa sinfonia di memoria elettronica e controllo algoritmico, è emerso un processo molto umano. Incerto su come reagire all'inizio, un lavoratore di Bessemer ha scoperto la RWDSU attraverso una semplice ricerca su Google. Insieme ad altri, sono andati di nascosto in hotel e bar a incontrarsi con gli organizzatori, sono rimasti sui marciapiedi al crepuscolo reggendo manifesti di cartone, si sono riuniti intorno a tavolini da campeggio per raccontare le loro storie a Bernie Sanders, con le maschere che gli scivolavano sul naso, la loro resistenza a quel punto era diventata un movimento nazionale. Si sono ribellati in modi né piccoli né tanto meno privati contro un'azienda da un trilione di dollari che li sta buttando nel futuro.