Don Gallo: in direzione ostinata e contraria

500 persone al dibattito, mille in corteo fino al carcere

29 / 6 / 2010

Oltre 500 persone hanno affollato ieri sera lo spazio dibattiti alllo Sherwood Festival. Erano tutte lì per salutare Don Andrea Gallo, “il prete da marciapiede” come si autodefinisce, e per testimoniare quanto sia importante, a amaggior ragione in tempi come questi, non obbedire all’imposizione che ci vorrebbe tutti troppo presi a fare d’altro per discutere, riflettere, conoscere le realtà che dal carcere ai Cie, tracciano la linea che rende invisibili in questo paese centinaia di migliaia di esseri umani. I temi della discussione si concentravano sulla situazione disumana e degradante in cui versano i detenuti o i reclusi in genere, anche appunto quelli che lo sono in virtu’ della “non cittadinanza”, o del “non permesso ad esistere”, come i tanti migranti, rifugiati, richiedenti asilo che popolano i centri di detenzione. Ma, come è solito fare a chi ama di più la libertà che la tragedia e l’oppressione, la chiacchierata con il Gallo ci ha portato da subito a Genova, in quella Comunità di San Benedetto al Porto che da quarantenni si muove “in direzione ostinata e contraria”.  Parlare con Don Gallo della sua Genova è impossibile senza che appaia anche Faber, portato dalla poesia delle sue immagini cantate. E infatti, tra una canzone di De Andrè e un’altra, la voce sempre tuonante del vecchio prete di movimento, ha disegnato ancora una volta qual è il senso di stare dalla parte degli ultimi, dei reietti, dei “colpevoli”. In una società come la nostra, dove i privilegi del potere amplificano e danno un significato ancora più inquietante alle ingiustizie della vita, questo esercizio a volte pericoloso, di sicuro non facile, spesso incredibilmente stimolante, non può che essere associato alla ricerca  di come rovesciare l’esistente. La morale cattolica vorrebbe cristallizzare la scelta di parte, “partigiana” diceva ieri Don Gallo, dello schierarsi con i poveri e i deboli, nei sentimenti della compassione per tradurre tutto in una fede debole, sconfitta, rassegnata. Questa operazione conduce alla vita servile, ed è sempre stata appoggiata ed incoraggiata da ogni potere terreno. Don Gallo invece descrive la scelta come un’eresia: incapace cioè di disgiungersi dal bisogno di rivoluzione, di lotta, di cambiamento. E’ per questo che la sua vita è un esempio completamente non utilizzabile da nessun potere, e invece direttamente legato a chi nasce nel rifiuto, nella contrapposizione con esso. Moltissimi applausi, risate, grida hanno reso questo dibattito bello. Come se per parlare con certe persone, che più sono grandi e più stanno in basso, non si potesse far altro che abbracciarle, non offenderle con nessun senso di distacco anche se rispettoso. Don Gallo è questo: uno di noi.

Il dibattito è stato diverso anche per come è proseguito: dallo Sherwood è partito un corteo notturno, una vera e propria marcia per i diritti, la dignità e la libertà, che ha portato un migliaio di persone davanti al carcere circondariale “Due Palazzi” di Padova, dopo un passaggio anche per gli edifici del penale che è a poca distanza. Un camion con il sound system ha reso possibile comunicare con i tanti detenuti, che rispondevano gridando dalle celle e punteggiando il buio della sera con i loro accendini accesi. Il carcere, la “discarica sociale” come sarebbe meglio chiamarlo, è un pezzo della città, anche se gli sforzi per occultarlo, e rendere invisibile e privi di vita quelli che vi sono rinchiusi, sono innumerevoli. Chiedre diritti, depenalizzazione dei reati comuni o legati all’uso di sostanze, chiedere che vengano abrogate le leggi che costringono al carcere i migranti, che sono ormai la maggioranza della popolazione prigioniera nei giudiziari, è una questione di civiltà. Quella che invece non hanno i governanti corrotti e mafiosi, i poliziotti che picchiano, torturano e uccidono, e stanno impuniti al loro posto, inammovibili.

La “Carta di Trieste”, che insieme al centro sociale Pedro di Padova ha lanciato questa iniziativa, propone per settembre una vera e propria campagna per “illuminare” la realtà del carcere. In tutto il Veneto. Ieri le luci dei fari che hanno squarciato il buio che inghiotte il carcere di Padova come tutto il nostro tempo, forse hanno trasmesso un buon auspicio: ribellarsi è giusto, e bisogna che ridiventi anche possibile.

Luca Casarini

Pratiche di autotutela per il diritto alla libertà - intervento di Alessandro Metz

Pratiche di autotutela per il diritto alla libertà - primo intervento di Don Gallo (prima parte)

Pratiche di autotutela per il diritto alla libertà - primo intervento di Don Gallo (seconda parte)

Pratiche di autotutela per il diritto alla libertà - primo intervento di Don Gallo (terza parte)

Fiaccolata al carcere Due Palazzi