Divario sociale, crescente povertà, esclusione sociale negli USA

10 / 4 / 2014

Joseph Stiglitz è membro anziano e capo economista dell’Istituto Roosevelt, Premio Nobel per l’Economia e docente universitario alla Columbia University ha relazionato in udienza al Senato degli Stati Uniti sulla crescente disuguaglianza economica e sociale che grava nel paese, sulla necessita di rilanciare una politica di welfare. Cliccare qui per scaricare tutte le dichiarazioni dell’audizione.

Perchè la disuguaglianza è importante

E’ per me un grande piacere discutere con voi del problema critico che affronta il nostro paese, la sua crescente disuguaglianza, l’effetto che sta avendo sulla nostra economia e le politiche potremmo intraprendere per alleviarlo. Gli Stati Uniti hanno ottenuto la distinzione di essere divenuti il paese con il livello di disuguaglianza di reddito più elevata tra tutti i paesi avanzati. Anche se non esiste una cifra singola che possa rappresentare tutti gli aspetti della disuguaglianza sociale, le cose sono peggiorate in ogni dimensione: più soldi vanno in alto (più di un quinto di tutto il reddito va all’1% al vertice), più persone sono povere in fondo alla scala sociale e la classe media – a lungo la forza centrale della nostra società – ha visto stagnare il proprio reddito. Il reddito della famiglia media, al netto dell’inflazione, è oggi minore di quanto era nel 1989, un quarto di secolo fa [1]. Un’economia in cui la maggior parte dei cittadini non vede progressi, anno dopo anno, è un’economia che non funziona come dovrebbe. In effetti c’è un circolo vizioso: la nostra elevata disuguaglianza è uno dei fattori che contribuisce maggiormente alla nostra economia debole e alla nostra scarsa crescita.

Per quanto inquietanti siano i dati sulla crescita della disuguaglianza di reddito, quelli che descrivono le altre dimensioni della disuguaglianza statunitense sono anche peggiori: le disuguaglianze di ricchezza sono anche maggiori di quelle di reddito e ci sono marcate disuguaglianze nella salute, riflesse, ad esempio, nell’aspettativa di vita. Ma l’aspetto forse più odioso della disuguaglianza statunitense è la disuguaglianza di opportunità. Gli Stati Uniti sono divenuti il paese avanzato non solo con il livello più elevato di disuguaglianza ma sono anche tra quelli che la minor parità di opportunità; le statistiche mostrano che il sogno americano è un mito; che le prospettive di vita dei giovani statunitensi dipendono più dal reddito e dall’istruzione dei genitori che in altri paesi sviluppati. Abbiamo tradito uno dei nostri più fondamentali valori. E la conseguenza è che stiamo sprecando la nostra risorsa più preziosa, le nostre risorse umane: milioni di quelli che stanno al fondo della scala sociale non sono in grado di esprimere il proprio potenziale.  

Questa mattina voglio formulare otto osservazioni riguardo a questa disuguaglianza. La prima è che questa disuguaglianza è in larga misura il risultato di politiche, di ciò che facciamo e non facciamo. Le leggi dell’economia sono universali: il fatto che in alcuni paesi ci sia tanta minor disuguaglianza e tanta maggior parità di opportunità, il fatto che in alcuni paesi la disuguaglianza non aumenti – in realtà diminuisce – non deriva dall’avere essi leggi economiche diverse. Ogni aspetto della nostra cornice economica, legale e sociale contribuisce a determinare la nostra disuguaglianza: dal sistema dell’istruzione e da come lo finanziamo, al funzionamento del nostro sistema finanziario, alle nostre leggi antitrust. In virtualmente ogni campo abbiamo preso decisioni che contribuiscono ad arricchire il vertice a spese degli altri.

La seconda osservazione è che gran parte della disuguaglianza al vertice non può essere giustificata come “puro merito” per i grandi contributi offerti da questi individui. Se guardiamo a quelli al vertice, non sono quelli che hanno prodotto le maggiori innovazioni che hanno trasformato la nostra economia e la nostra società; non sono gli scopritori del DNA, del laser, del transistor; né i brillanti individui che hanno fatto le scoperte senza le quali non avremmo avuto i moderni computer. Sono, sproporzionatamente, quelli che hanno eccelso nel perseguire la rendita, nell’appropriarsi della ricchezza, nell’ideare come prendersi una fetta più grossa della torta della nazione, piuttosto che aumentare la dimensione di tale torta. (Tale attività di ricerca della rendita si traduce in realtà nella dimensione della riduzione della torta economica rispetto a quella che sarebbe altrimenti). Tra i più notevoli tra questi ci sono, naturalmente, quelli del settore finanziario che hanno realizzato la propria ricchezza mediante la manipolazione del mercato, dedicandosi a pratiche speculative con le carte di credito, a prestiti predatori, a trasferire denaro dal fondo e dalla metà della piramide del reddito verso la cima. In modo analogo il monopolista fa i suoi soldi contraendo la produzione da quella che sarebbe diversamente, non espandendola.

Terza osservazione, l’idea che non ci si dovrebbe preoccupare per la disuguaglianza perché tutti trarranno vantaggio dalla discesa a cascata del denaro è stata totalmente screditata. Per certi versi mi augurerei fosse vera, perché significherebbe che lo statunitense medio se la passerebbe benissimo oggi, perché abbiamo riversato così tanti soldi in cima. Ma le statistiche che ho citato pochi minuti fa mostrano che non è vera: mentre il vertice se l’è passata benissimo, il resto è rimasto stagnante.

Quarta: questa recessione – anche se in non piccola misura causata dal settore finanziario che è esso stesso responsabile di così tanta della nostra disuguaglianza oggi – ha a sua volta reso molto peggiore la disuguaglianza. Il 95% dei guadagni dopo la cosiddetta ripresa sono andati all’1% al vertice.

Quinta: non è che la nostra economia necessiti di questa disuguaglianza per continuare a crescere. Uno dei luoghi comuni popolari è che quelli al vertice siano i creatori di lavoro che dar loro soldi creerà nuovi posti di lavoro.  Gli Stati Uniti sono pieni di persone creative e imprenditoriali in tutta la distribuzione del reddito. Quella che crea posti è la domanda: quando c’è domanda le aziende statunitensi (specialmente se riusciamo a far funzionare il nostro sistema finanziario come dovrebbe, offrendo credito a piccole e media imprese) creeranno i posti di lavoro per soddisfare quella domanda. E sfortunatamente, considerato il nostro sistema fiscale distorto, per troppi al vertice ci sono incentivi a distruggere posti di lavoro trasferendoli all’estero. Questa disuguaglianza crescente sta in realtà indebolendo la domanda, uno dei motivi per cui tale disuguaglianza è un male per i risultati dell’economia.

Sesta: paghiamo un prezzo elevato per questa disuguaglianza, in termini della nostra democrazia e della natura della nostra società. Una società divisa è diversa; non funziona bene. La nostra democrazia è minata, poiché la disuguaglianza economica inevitabilmente si traduce in disuguaglianza politica. Descrivo nel mio libro come i risultati della politica statunitense siano descritti meglio come risultato di un sistema non di ‘una persona un voto’ bensì di ‘un dollaro un voto’. Uno dei prezzi che paghiamo per gli estremi cui è cresciuta la disuguaglianza e per la natura della disuguaglianza negli Stati Uniti  – sia disuguaglianza di reddito sia disuguaglianza di opportunità – è che abbiamo un’economia più debole. Una maggiore disuguaglianza conduce a una crescita minore e a una maggiore instabilità. Queste idee sono ora divenute correnti: lo stesso FMI le ha abbracciate. Eravamo soliti pensare che ci fosse uno scambio: potevamo conseguire maggiore uguaglianza, ma solo al prezzo di rinunciare alle prestazioni complessive dell’economia. Ora ci rendiamo conto che, specialmente dati gli estremi di disuguaglianza raggiunti negli USA e il modo in cui sono generati, una maggiore uguaglianza e una prestazione migliorata dell’economia sono complementari.

Questo è particolarmente vero se ci concentriamo sulle misure appropriate della crescita, concentrandoci non su ciò che avviene in media, o a quelli al vertice, ma su come l’economia sta andando per lo statunitense tipico, riflessa ad esempio nel reddito medio. Per troppi – forse persino per una maggioranza – l’economia statunitense non ha funzionato. E se la nostra economia non funziona, ciò non danneggia soltanto la nostra gente ma compromette la nostra posizione di leadership nel mondo: vorranno altri paesi emulare un sistema economico in cui i redditi della maggior parte delle persone semplicemente ristagnano?

Paghiamo un prezzo non solo in termini di un’economia debole oggi, ma anche di minor crescita nel futuro. Con quasi un bambino statunitense su quattro che cresce in povertà [2], molti dei quali privi di accesso a nutrimento e istruzione adeguati, le prospettive a lungo termine del paese sono messe a rischio.

La settima osservazione è che la debolezza della nostra economia ha importanti implicazioni di bilancio. I deficit di bilancio degli anni recenti sono una conseguenza della nostra economia debole, non il contrario. Se avessimo avuto una crescita più robusta, la nostra situazione di bilancio sarebbe molto migliorata. E’ per questo che gli investimenti per ridurre la disuguaglianza e accrescere la parità di opportunità hanno senso non solo per la nostra economia, ma anche per il nostro bilancio. Quando investiamo sui nostri figli, la parte dell’attivo del bilancio del nostro paese cresce, ancor più dell’insieme del passivo: qualsiasi azienda vedrebbe che il suo patrimonio netto è aumentato. Nel lungo termine, anche considerando strettamente il lato del passivo del prospetto del bilancio, esso sarà migliorato visto che questi giovani guadagnano redditi più alti e contribuiscono di più alla base fiscale.

L’osservazione finale che voglio formulare è che il ruolo della politica nel creare disuguaglianza significa che c’è un raggio di speranza. La politica ha creato il problema è può aiutare a farcene uscire. Ci sono politiche che potrebbero ridurre gli estremi di disuguaglianza e accrescere le opportunità, mettendo il nostro paese in grado di essere all’altezza dei valori cui aspira. Non esiste una bacchetta magica, ma c’è una quantità di politiche che potrebbero fare la differenza. Nell’ultimo capitolo del mio libro ‘The Price of Inequality’ [Il prezzo della disuguaglianza] espongo ventuno politiche simili, che influenzano sia la distribuzione del reddito ante imposte sia i trasferimenti dopo le imposte. Abbiamo bisogno di tirar fuori dalla povertà più gente, di rafforzare la classe media e di tagliare gli eccessi al vertice. La maggior parte delle politiche sono famigliari: più sostegno all’istruzione, incluso l’asilo; aumento del salario minimo; rafforzamento del credito fiscale sul reddito guadagnato; più voce ai lavoratori nel luogo di lavoro, anche attraverso i sindacati; attuazione più efficace della legge contro la discriminazione; miglior governo delle imprese, per tagliare gli abusi dei compensi all’alta dirigenza; miglior disciplina del settore finanziario per tagliare non solo la manipolazione del mercato e le eccessive attività speculative, ma anche i prestiti predatori e le pratiche speculative sulle carte di credito; migliori leggi antitrust e miglior attuazione delle leggi che già abbiamo; e un sistema fiscale più equo, che non ricompensi gli speculatori o quelli che approfittano dei paradisi fiscali all’estero con aliquote fiscali inferiori a quelle a carico degli onesti statunitensi che lavorano per guadagnarsi da vivere. Se dobbiamo evitare la creazione di una nuova plutocrazia nel nostro paese, dobbiamo conservare un buon sistema di tassazione delle eredità e dei patrimoni e garantire che sia fatto efficacemente rispettare. Dobbiamo assicurarci che chiunque abbia il potenziale per frequentare l’università possa farlo, indipendentemente dal reddito dei suoi genitori, e farlo senza incorrere in debiti devastanti. Noi emergiamo tra i paesi più avanzati non solo per il nostro livello di disuguaglianza, ma anche per come trattiamo i prestiti agli studenti nella nostra legge fallimentare. Un ricco che s’indebita per acquistare uno yacht può avere un nuovo inizio, con i suoi debiti cancellati; non così uno studente povero che lotta per progredire. Le norme speciali sugli utili di capitale e sui dividendi non solo distorcono l’economia, ma, con la maggior parte dei vantaggi che va a favore dei massimi vertici, accrescono la disuguaglianza, imponendo contemporaneamente enormi costi di bilancio: due trilioni di dollari nei prossimi dieci anni, secondo l’Ufficio del Congresso per il Bilancio [3]. Anche se l’eliminazione delle norme speciali sugli utili di capitale e sui dividendi è la riforma più ovvia del codice fiscale che migliorerebbe la disuguaglianza e raccoglierebbe considerevoli quantità di entrate, ci sono molte iniziative che tratto nel documento allegato che vorrei sottoporre per essere messo agli atti.

Un punto finale è che dobbiamo prestare attenzione a come misuriamo il nostro progresso. Se usiamo il metro sbagliato, lotteremo per le cose sbagliate. La crescita economica misurata dal PIL non è sufficiente: c’è un crescente consenso globale sul fatto che il PIL non offre una buona misura dei risultati complessivi dell’economia. Ciò che conta è che la crescita sia sostenibile e che la maggior parte dei cittadini veda migliorare anno dopo anno il proprio tenore di vita. Questo è il messaggio centrale della Commissione Internazionale sulla Misura dei Risultati dell’Economia e del Progresso Sociale, di cui sono stato presidente. Dall’inizio del nuovo millennio la nostra economia chiaramente non è stata produttiva in nessuna di queste dimensioni. Ma i problemi della nostra sono manifesti da molto più tempo. Come ho sottolineato, un fattore chiave alla base dei problemi economici degli Stati Uniti oggi è la crescente disuguaglianza e il basso livello di opportunità.

In passato, quando il nostro paese aveva raggiunto questi estremi di disuguaglianza, alla fine del diciannovesimo secolo, nell’età dell’oro, o nei ‘Ruggenti Anni Venti’, si ritrasse dall’orlo del baratro. Mise in atto politiche e programmi che offrirono la speranza che il sogno americano potesse tornare a essere una realtà.

Siamo oggi a uno di questi punti di svolta della storia. Spero che ancora una volta prenderemo le decisioni giuste. Voi e il vostro comitato, nelle decisioni di bilancio che state assumendo, avete un ruolo vitale nel porre il nostro paese nella giusta direzione.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

Originale: Next New Deal

traduzione di Giuseppe Volpe