Inchiesta sul nucleare

Disinformazione nucleare

di Ylenia Sina

17 / 12 / 2010

«Prima di individuare il sito, occorre operare in profondità sull' opinione pubblica italiana. Eravamo all'avanguardia, poi un referendum sotto la spinta ecologista estrema ha fatto chiudere le tre centrali attive e ci ha fatto rinunciare alla quarta. Mi sono già rivolto alla televisione pubblica perché svolga un' inchiesta in Francia e la diffonda in Italia. Dobbiamo attuare una vasta opera di convincimento per far capire agli italiani che il nucleare è sicuro, pigliando esempio dai francesi. Da loro, ci si batte per ospitare le centrali, non per dire di no».

E’ il 26 aprile 2010, 14° anniversario della strage di Chernobyl. A parlare è il premier Silvio Berlusconi in occasione dell’incontro con Vladimir Putin che ha sancito l’alleanza tra Italia e Russia per la rinascita nucleare. Le parole di Berlusconi sono la testimonianza dell’importanza della comunicazione per portare il consenso dei cittadini dalla parte dei poteri forti. Per questo ci concentreremo proprio sulla funzione dell’informazione per capire come, sul tema del nucleare, quella in corso sui maggiori organi di informazione italiani sia una vera e propria campagna pubblicitaria.

Per dare l’idea del non-dibattito sul nucleare, abbiamo portato avanti una semplice ricerca

su come questo tema sia stato affrontato dai due giornali più letti in Italia: La Repubblica e il Corriere della sera. Il periodo preso in considerazione è costituito dai mesi di settembre, ottobre e novembre. Nelle conclusione l’intervista a Marco Bersani.

Il primo passo, però, è stato analizzare i due soggetti volti proprio al “convincimento” dell’opinione pubblica: il Forum Nucleare Italiano e il Nimby Forum.

Il Forum Nucleare Italiano, associazione no-profit per la ripresa del dibattito pubblico sullo sviluppo dell’energia nucleare in Italia, ha tra i suoi partner società quali Enel, Ansaldo, Areva, Edf, E.On, Sogin, Gdf Suez. Questo spiega perché alla guida di questa realtà vi sia un personaggio come

Chicco Testa, ex parlamentare, oggi molto vicino al Partito Democratico. Tra i tanti incarichi di prestigio, è stato il primo presidente di Legambiente nonché a capo del Cda di Acea e di Enel. È lui il nome di spicco della campagna pro-nucleare nel nostro paese che vede nel suo libro (scritto con Patrizia Feletig) Tornare al Nucleare? L’Italia, l’energia, l’ambiente (Dalai editore) una sorta di “Bibbia”. Nelle pagine di questa guida al nucleare, oltre a massime come «solo vivere è un rischio» per svelare come la passionalità delle posizioni antinucleariste in tema di sicurezza delle centrali nucleari sia inutile in una vita piena di pericoli, tra cui gli incidenti sul lavoro, la principale motivazione a favore dell’atomo è il discutibile assunto per cui «la conseguenza delle battaglie nucleari è stata anche quella di aver lasciato spazio ulteriore ai combustibili fossili, con il risultato paradossale di aver contribuito a generare un problema sicuramente maggiore di quello che si è ritenuto di aver risolto».

Intorno alle opinioni di Chicco Testa ruotano i maggiori quotidiani nazionali: basta vedere come è stata affrontata la contestazione al presidente del Forum Nucleare durante la presentazione del suo libro presso la Biblioteca Berio di Genova (27 ottobre) per capire la posizione autorevole riservatagli dai mezzi di informazione. Alle ragioni del gruppo di contestatori «molto arrabbiati» Repubblica.it lascia lo spazio di una frase: «la trentina di contestatori è entrata nella sala iniziando a insultare Testa con frasi come “sei uno schifoso traditore, devi stare zitto”». Insulti, rabbia. L’azione di protesta viene descritta come lo sfogo di estremisti a cui non viene nemmeno posta una domanda sul perché della contestazione. Il tutto in poche righe. Tutto l’articolo (1400 battute su 2500) sono un unico virgolettato delle parole di Testa: «ho preferito andarmene per evitare che la situazione degenerasse a scapito del pubblico». «Sono rimasto colpito dalla rabbia di questi giovani». «La comunicazione è importante per tutte le scelte pubbliche». Di Testa interessa tutto, opinione, sensazioni, stati d’animo. Di chi si oppone al nucleare, no. Non viene nemmeno spiegato chi è stato a contestare.

Il Nimby Forum (da Not In My Back Yard – “Non nel mio giardino”) racchiude in un unico soggetto “pubblico” (Presidenza del Consiglio e i ministeri dell’Ambiente, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dello Sviluppo Economico) e “privato” (A2a, Autostrade per l’Italia, Enel, E.On, Terna, Ferrovie dello Stato, Assoelettrica). Assolutamente bipartisan il Comitato scientifico: «Alessandro Bianchi, oggi iscritto al Partito Democratico, amministratore delegato di Nomisma Energia ed ex Ministro dei Trasporti (quota Comunisti Italiani) nel secondo Governo Prodi; gli onorevoli Roberto della Seta (Pd) e Roberto Tortoli (Pdl); […] fino ad arrivare a Corrado Clini, Direttore Generale per la Ricerca Ambientale e lo Sviluppo del Ministero dell’Ambiente, Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente» (da Cricca Economy – Dall’Aquila alla B2, gli affari del capitalismo dei disastri, edizioni Alegre). A questi cui si aggiunge Mario Virano, presidente dell’Osservatorio Torino-Lione. In una “nota stampa” del 27 aprile 2010, il giorno dopo le dichiarazioni di Berlusconi di cui sopra, il Nimby Forum dichiara: «In occasione del vertice Italia-Russia il premier Berlusconi rilancia l’opzione nucleare in Italia e si pone come obbiettivo la creazione del “consenso” nella popolazione. […] L’Osservatorio Nimby Forum disegna il quadro della situazione italiana rispetto alla prospettiva di immediato ritorno nucleare […]. E propone la realizzazione di un Forum per l’Informazione in materie energetiche in cui si studino le linee guida della comunicazione, anche sul tema del nucleare».

Comunicare il nucleare.

L’Italia non ha ancora dimenticato i motivi per cui al referendum del 1987 votò per la chiusura della stagione nucleare. Alla notizia del “rinascimento nucleare” i territori reagiscono immediatamente. Nei sondaggi la maggior parte delle persone si dichiara contraria all’atomo (“Nucleare, no bipartisan degli italiani il 62% è contrario alle centrali”, La Repubblica, 18 novembre 2010). Per questo serve “convincerli”, creare distanza, sottolineare le differenze da quegli anni. Un compito che solo televisioni, giornali, libri e convegni possono fare. Così, mascherata da “dibattito informativo”, la campagna pubblicitaria della lobby del nucleare si è conquistata, pezzo dopo pezzo e a parte rari casi, il mondo dell’informazione. Anche quella che si dichiara antinuclearista.

Partiamo con La Repubblica. L’analisi che ne è scaturita è stata realizzata grazie a una semplice ricerca in internet dal sito Repubblica.it inserendo nell’apposito spazio “cerca” la parola chiave “nucleare”. Proprio come farebbe un cittadino che, non avendo l’aspirazione a diventare un ingegnere nucleare e non avendo molto tempo a disposizione per informarsi, decida di farsi un’idea su una delle questioni più scottanti attualmente per l’opinione pubblica.

Il primo elemento a saltare all’occhio sono le pagine in cui la maggior parte degli articoli è stato pubblicato: Affari e finanza, l’inserto di economia del lunedì, o la sezione “Economia”. Più rilievo ha ottenuto invece la notizia dell’opposizione delle Regioni, poi bloccata dalla Corte Costituzionale alla costruzione di centrali nucleari nei propri territori. Scorrendo l’elenco degli articoli, la maggior parte dei pezzi sull’opposizione al nucleare è stata confinata nella cronaca locale: un modo di procedere che disegna un quadro dei territori in modo frammentato. Non un’intervista ad esperti, dottori, ingegneri contro il nucleare. Nessun reportage realizzato nei luoghi dove il nucleare è attivo. Nessuna inchiesta, nessun dato. Solo posizioni politiche. Opinioni. La più significativa l’8 novembre: sulle pagine di Affari e finanza compare un intervista dal titolo “Così ho convinto Obama che l’atomo è la miglior fonte”. L’intervistato è Stewart Brand, eco-pragmatista, ambientalista convito della bontà del nucleare. La giornalista si firma p. fel., facilmente riconducibile alla redattrice dell’articolo che la affianca dal titolo “Nucleare, piccolo e bello ma soprattutto più sicuro” di Patrizia Feletig. Proprio lei, la coautrice insieme a Chicco Testa del libro Tornare al nucleare? L’Italia, l’energia, l’ambiente. Se a questo si aggiunge che Brand era in quei giorni in Italia per partecipare a una conferenza sull’energia nel ciclo “Orienta” organizzata dall’Enel, il cerchio si chiude. L’intervista inizia così: «Quando si sente dire che in Italia è noto per essere l' uomo che ha fatto cambiare idea al presidente Obama fino a fargli riaprire la via del nucleare, Stewart Brand sorride e scuote la testa». Proprio Obama, il volto pulito della politica a cui anche Chicco Testa dedica la controcopertina del proprio libro. L’intervista è un ripercorrere l’elenco dei motivi pro-nucleare: «Le tecnologie nucleari hanno fatto passi da gigante», «Si è raggiunto un livello di sicurezza che minimizza più che ragionevolmente qualsiasi rischio. Al contrario le centrali a carbone che riempiono l’atmosfera di gas serra, sono una garanzia di distruzione certa anche quando funzionano bene». Niente CO2 (mentre il professor Angelo Baracca spiega come «E’ vero che durante il funzionamento del reattore la reazione a catena non sviluppa CO2, ma abbiamo descritto l’insieme delle fasi del ciclo “a monte” e “a valle”, le quali usano processi che indubbiamente producono CO2», Common e-book, Verso Cancun, cambiare il sistema, non il clima – teorie e pratiche per la giustizia climatica) mentre lo smaltimento delle scorie viene stigmatizzato così: «Due ragionamenti. Le "vere" scorie radioattive, quelle che durano diecimila anni, hanno un ingombro minimo e sono facilmente "inscatolabili" per essere sepolte in depositi rocciosi perfettamente sicuri». Il luogo scelto come esempio virtuoso di questa soluzione è il deposito statunitense di Yucca Mountain, un sito che, come spiegano Gianni Mattioli e Massimo Scalia (Nucleare a chi conviene? Le tecnologie, i rischi, i costi – Kyoto Books) «ha prima subito ritardi in quanto si erano trovate evidenze dell’esistenza di sismicità in epoche geologiche passate, e poi, nel marzo 2010 il Doe, il Ministero dell’Energia degli Stati Uniti, ha disposto l’abbandono definitivo del progetto». Non contento, Brand continua: «e poi non dimentichiamo che quello delle scorie è un problema "a termine": quando sarà pronta la quarta generazione, della quale ci sono già sperimentazioni in Francia e ricerche qui in America, sarà possibile riutilizzare per intero il combustibile». L’intervista continua in pieno stile nuclearista fiducioso in un futuro prossimo non ben definito ma certamente dorato ed imminente, costituito dalla quarta generazione. E ancora La Repubblica in un editoriale dal titolo “L’Italietta nel caos atomico” ( 20 settembre, sezione Affari e finanza) spiega come «L’Italia, al palo dai tempi del referendum, punta a centrali di terza generazione mentre nel resto del mondo se ne costruiscono di quarta da più di un pezzo». Eppure è proprio Chicco Testa a riportare nel suo libro la testimonianza del prof. Agostino Mathis: «non si prevede di arrivare a un prototipo della generazione quarta d’interesse commerciale prima di venti o trenta anni». È la prova del caos che regna sulla tematica nucleare. Pochi ne sanno qualcosa, ma tutti ne parlano. Finanche Tremonti che rilancia l’energia nucleare nella piattaforma programmatica del prossimo decennio. Il 4 settembre, infatti, in un articolo dal titolo “Tremonti: l’emergenza è finita” si spiega quello che per i mesi successivi sarà il leit motiv dell’economia italiana: «La mancanza del nucleare la paghiamo sul Pil: gli unici ad importare tutta l’energia». L’atomo come molla per far ripartire l’economia italiana. È questo il punto.

“L’energia spiegata. Festival dell’energia. Lecce 20-23 maggio 2010”. È intorno a eventi come questo, organizzato dall’Agenzia di Ricerche, Informazione e Società (Aris) (che tra i suoi progetti annovera il Nimby Forum!), che ruota il nucleare per il Corriere della Sera in veste di partner ufficiale.

Come tutti i progetti di propaganda che si rispettino, serve una copertura mediatica che moltiplichi e diffonda l’azione informativa che fisicamente è stata svolta nelle sale del Festival. Capolista dei Media Partner del Festival dell’energia è proprio il Corriere della sera seguito da Sky, l’Ansa ed EcoRadio, mentre nel comitato d’onore risiedono, solo per citarne alcuni, Emma Marcegaglia, Chicco Testa e Umberto Veronesi. Certo, nel Festival si è parlato molto di energie verdi, di raggiungimento degli obbiettivi di Kyoto piuttosto che di uno sviluppo tecnologico che potrebbe correre in aiuto dell’ambiente. Ma dietro questa apparenza in grado di ripulire anche l’Enel, da sempre attenta a finanziare lautamente campagne mediatiche “pulite” in ogni settore, si è parlato anche di nucleare. Tra queste anche la tavola rotonda “Nucleare: vincere la paura con la ragione?” a cui hanno preso parte l’onnipresente Chicco Testa e Alessandro Beulcke, presidente di Aris. Tanto per farsi un’idea Alessandro Beulcke dichiara alle pagine de Il Riformista (28 aprile 2010), due giorni dopo le dichiarazioni di Berlusconi: «In Italia c’è una bassa alfabetizzazione su questi argomenti. Noi ci preoccupiamo, attraverso l’Osservatorio Nimby e con il Festival dell’Energia, di educare la collettività alle nuove tecnologie energetiche». Mentre alla domanda “C’è il rischio che si apra una battaglia con le comunità locali come avvenuto per la Tav?” risponde: «Nel 2005 ci sono stati i famosi moti della Val di Susa con scontri e proteste accese. L’anno successivo è stato creato l’Osservatorio sulla Tav Torino-Lione presieduto dal bravissimo Mario Virano. E oggi è partita la concertazione con i sindaci».

Sfogliando uno dietro l’altro gli articoli pubblicati sul Corsera balza all’occhio una cosa: al “fronte del no” è lasciato uno spazio marginale. Tralasciando la scottante offerta fatta dalla scrittrice no-nuke Charlotte Roche che ha promesso al presidente federale tedesco Christian Wulff una notte di sesso in cambio dell’opposizione all’allungamento della vita delle centrali nucleari, non c’è un’intervista ad un esperto o a un politico sfavorevole al nucleare, un’inchiesta sul presunto, e ampliamente negato dai dati, “rinascimento nucleare”, un approfondimento sulle motivazioni (che sono tante e ben documentate) che portano a distanza di anni dal referendum del 1987 la maggior parte degli italiani ad essere contro l’energia atomica. Qualche sporadico esempio di opposizione cittadina agli annunci confusi sull’elenco dei siti che dovrebbero accogliere le centrali nucleari. Articoli dedicati alle polemiche delle regioni che si sono opposte alla costruzione di centrali sul proprio territorio  si sono per lo più risolti con botta e risposta di posizioni politiche e opinioni. Significativa la cronaca, per certi versi canzonatoria, riportata nell’articolo “Nucleare sul grande fiume. Ritorna il fronte del no” (11 novembre) in relazione all’assemblea fatta a Mantova dagli oppositori del nucleare: «Chi non si è visto ma ci ha tenuto a farsi sentire è Massimiliano Salini, presidente della Provincia di Cremona e formigoniano doc: «prima di dirsi contro il nucleare, sarebbe opportuno aprire un dibattito sul tema», ha scritto all’assemblea. Fischi dalle gradinate. Come da copione. Ma, allora, questo coordinamento antinucleare, questo Fronte del Po, non sarà solo un film già visto?».

5 settembre. Sulle pagine del Corriere della sera viene intervistata Anne Lauvergeon, amministratore delegato di Areva, il gruppo francese leader mondiale nel nucleare che ha sottoscritto accordi milionari per favorire il “rinascimento nucleare” in Italia. Sono i primi di settembre e il programma nucleare italiano, a partire dalla mancata istituzione dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, è in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Quando il giornalista chiede se è preoccupata per questo, Lauvergeon risponde di no, che «lanciare un programma nucleare è sempre pesante e l’Italia si è mossa molto rapidamente, soprattutto per essere uno dei Paesi nei quali il nucleare fu bocciato per referendum». E se non è preoccupata lei che con l’Italia deve fare affari…  La seconda intervista, dal titolo “L’Europa non ha più occhi verdi” risale al 3 novembre. A rispondere alle domande del giornalista del Corriere della Sera questa volta è l’economista francese Jean-Paul Fitoussi: «L’energia atomica ha i sui problemi ma offre due vantaggi fondamentali: non emette carbonio, e se si organizza tutto in modo efficiente, è molto meno costosa delle altre fonti. L’industria italiana è penalizzata dal prezzo dell’energia molto alto, che ne diminuisce la competitività. Se l’Italia facesse davvero questo passo sarebbe una buona notizia». In cinque righe è stato riassunto il nocciolo duro del pensiero dei fautori dell’energia nucleare: la sua sostenibilità ambientale, la sua economicità, la possibilità di sviluppo per l’Italia che per usare le parole di Tremonti: «Noi importiamo energia, tutti gli altri fanno investimenti sul nucleare. Facciamo come quelli che si nutrono mangiando caviale» (“In Europa c’è ancora aria di crisi”, 19 settembre).

 Il giorno seguente, il 4 novembre, a parlare è invece Alberto Clò, che proprio quel giorno mandava in libreria il suo ultimo saggio dal titolo “Si fa presto a dire nucleare”. Economista bolognese, ex ministro dell’Industria nel governo Dini, consigliere Eni, nuclearista convinto, è preoccupato dalle «troppe irresponsabilità, bugie, ignoranze. E siccome le prospettate 8-10 centrali costano, bene che vada, 40-50 miliardi, temo non si vada da nessuna parte». Scettico sulle mosse del governo Berlusconi, per favorire anche gli appetiti di sinistra, Clò punta il dito contro i costi della tecnologia e contro la necessità di un intervento pubblico per permettere guadagni ai privati che investono nel nucleare, riducendo così spazio al libero mercato. «Se il rischio è a carico dello Stato e dei consumatori, la remunerazione del capitale non dovrebbe allontanarsi troppo dal costo del capitale senza rischio. Altrimenti si creano nuove e indebite rendite». Parole preoccupanti, soprattutto per i cittadini italiani, ma che non tolgono lo spazio alla possibilità di un ritorno al nucleare nei tempi lunghi, mantenendo, intanto il gas. «Per la gioia dell’Eni» aggiunge il giornalista. Eni, di cui è consigliere lo stesso intervistato. Ancora una volta un’intervista fatta per “servire” il potere forte di turno piuttosto che per informare i lettori. Per Clò quella del nucleare è un’avventura sbagliata per quanto riguarda il caso attuale quindi, ma non nel merito: «L’Italia – conclude -  mi auguro si prepari a rientrare nel nucleare nei tempi necessari e in modi più trasparenti, credibili e seri».

L’ultima intervista risale al 5 novembre. Il soggetto è Stewart Brand, l’ecopragmatista, che grande spazio ha trovato anche sulle pagine de La Repubblica: «il nucleare non sarà perfetto ma, in base alle tecnologie oggi disponibili, è l’unica arma efficace a nostra disposizione per produrre elettricità senza bruciare carbone o gas».

Di seguito l’intervista a Marco Bersani, fondatore di Attac Italia da sempre attivo nei movimenti di lotta per la difesa dei beni comuni e fra i promotori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.

«Chi scrive questo libro non ha particolari conoscenze scientifiche sul tema in oggetto. Nondimeno è un essere vivente e come tale ritiene di avere l’inalienabile diritto di tutti i suoi pari a poter discutere di energia nucleare, di modello energetico, di organizzazione sociale». Partendo da questa frase del tuo libro (Nucleare: se lo conosci lo eviti, ed. Alegre), alla base di questo diritto c’è anche l’informazione, uno strumento utile per maturare una posizione…

Come accaduto in passato con la vicenda della battaglia antinucleare che ha portato al referendum del 1987, oggi, in maniera trasversale, i mezzi di informazione si muovono in due direzioni principali. In primo luogo ragionano in termini ideologici, soprattutto riferendosi al fronte del “no”, senza fornire informazioni che riguardano, per esempio, i rilievi economici o energetici. In secondo luogo tendono a trasmettere la sensazione che il nucleare è un argomento complicato sul quale sono chiamati ad intervenire solamente esperti, come se i cittadini non potessero assumere posizioni una volta acquisite le informazioni necessarie. Così, alla gente viene chiesta una sorta di delega del sapere che si traduce nel fatto che solo esperti e scienziati possono prendere parola sui mezzi di informazione quando invece servirebbero, ad esempio, delle schede informative su che cosa significa intraprendere l’avventura nucleare per il nostro paese. Penso che così facendo nessuno penserebbe che questa scelta sia saggia. Invece dalle pagine dei giornali traspare una divisione netta tra il cittadino e lo scienziato: il primo mosso dalla paura, elemento irrazionale e femminile, il secondo guidato da una razionalità maschile.

Zero emissioni di CO2, quarta generazione, soluzione pulita contro i combustibili fossili. Queste sono solo alcune delle motivazioni pro-nucleare, facilmente confutabili, che trovano spazio sui giornali.

Non potendo avallare la scelta dell’energia nucleare per le sue qualità intrinseche, per poter inserire la questione nella discussione attuale i fautori dell’atomo devono far riferimento ad elementi non conoscitivi. Tra questi l’affermazione che il nucleare è l’alternativa adatta contrastare il cambiamento climatico per tranquillizzare le persone. Inoltre l’elemento di fondo dei mezzi di informazione italiani è che qualsiasi argomento viene utilizzato per affrontare conflittualità interne al Palazzo, incentrando il tutto sulla contrapposizione degli schieramenti di centro destra e di centro sinistra. La stessa cosa accade a La Repubblica che utilizza la vicenda nucleare più per opporsi a Berlusconi piuttosto che per entrare nel merito della questione no-nucleare. Non mi stupirebbe se cambiando governo, La Repubblica diventasse a favore dell’energia atomica. Così anche il nucleare, come il Ponte sullo Stretto o la Tav, diventa solo una “promessa mancata” del governo Berlusconi.

Nell’ambito dell’informazione sono sempre di più i festival, gli eventi e i convegni sul nucleare che da un lato godono del sostegno pubblico e dall’altro annoverano tra i propri partner privati, primi tra tutti l’Enel. Quanto può influire questo sulla comunicazione della tematica?

Ai poteri forti è necessaria la creazione di una lobby trasversale per poter portare avanti l’avventura nucleare. E in questo senso i mass media sono l’unica possibilità per costruire una forte campagna mediatica in grado di superare il sentimento maggioritario di chi è contrario al nucleare. Fortunatamente sia la storia che abbiamo alle spalle del referendum del 1987 che la tragedia di Chernobyl hanno fornito alle nuove generazioni la capacità di non fidarsi delle proposte che vengono da una democrazia degradata.

Dall’inchiesta che precede l’intervista emerge che dal “dibattito” sul nucleare è escluso un discorso più ampio sull’energia e tantomeno sul suo essere “bene comune”. Al di là se si concretizzerà o meno l’avventura nucleare italiana, pensi sia utile intraprendere comunque una discussione sul tema dell’energia in questo senso, un po’ come è avvenuto per l’acqua?

Questa è la strada da seguire. Il vero disastro degli ultimi anni è stata l’idea che la liberalizzazione dell’energia avrebbe portato a conseguenze positive, in seguito confutate, quali l’abbassamento dei costi dell’energia. La cultura della liberalizzazione ha attraversato tutti gli schieramenti politici, dal centro destra al centro sinistra fino ad arrivare alla sinistra più radicale e alle frange ambientaliste che avevano immaginato che questo processo avrebbe favorito lo sviluppo dell’autoproduzione di energia. Una cosa che non è avvenuta mentre ha trovato spazio uno sviluppo fortemente centralizzato della produzione di energia. Questo fattore ha introdotto due elementi. In primis fino a che l’energia sarà una merce con cui fare soldi non verranno mai avviate politiche volte al risparmio energetico perché non convenienti per i produttori. La seconda conseguenza consiste nell’annullamento di qualsiasi pianificazione della produzione di energia: negli anni ’70 e ’80 venivano presentati piani energetici che, pur contestati, erano pubblici e potevano essere discussi da tutti. Oggi, non esiste più alcun tipo di pianificazione che è stata sostituita dalla somma delle singole richieste che i privati presentano agli enti pubblici competenti. Questo toglie ogni possibilità di discussione pubblica sul perché produrre energia, come produrla e quanta è necessaria, creando un distacco enorme tra chi la produce e chi la consuma, annullando il rapporto democratico che dovrebbe esistere attorno al bene comune. In questo senso anche lo sviluppo delle rinnovabili, mantenendo una produzione centralizzata, consiste in una semplice sostituzione della materia prima ma non mette la discussione dell’energia nelle mani di tutti.