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''Di stato si muore'', ancora. Blitz dei Corsari Milano, murales in via Bramante.

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14 / 11 / 2009

E' successo ancora. Un'altra volta la vita di un ragazzo è stata spezzata dai cosiddetti servitori dello Stato. Questa volta la vittima si chiama Stefano Cucchi, un ragazzo di 31 anni, arrestato dai Carabinieri il 15 ottobre per il possesso di una esigua quantità di stupefacenti. L'arresto per Stefano è l'inizio della fine. Una fine orrenda e disumana . Dopo essere passato, infatti, da due caserme dei Carabinieri e dal, purtroppo famoso (per le violenze inflitte agli arrestati), Centro di Identificazione di Tor Sapienza, Stefano viene prima trasferito nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma in attesa del processo per direttissima e successivamente al carcere di Regina Coeli, da dove effettuerà il suo ultimo viaggio: verso il reparto penitenziario dell'Ospedale Sandro Pertini, dove il 22 ottobre mattina il personale sanitario constaterà la sua “morte naturale”.

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Una morte che, però, di naturale non ha nulla. Le foto rubate da un addetto ai servizi mortuari dell'ospedale mostrano infatti l'esile corpo di Stefano dilaniato e lacerato: volto devastato, quasi completamente tumefatto, l'occhio destro rientrato nell'orbita, l'arcata sopraccigliare sinistra gonfia in modo abnorme, la mascella fratturata. E solo dopo si scoprirà che Stefano aveva anche due vertebre rotte. Cosa è successo a Stefano? E' davvero caduto dalle scale come affermano i Carabinieri e una cartella clinica manomessa dagli agenti di Polizia Penitenziaria? No, non è andata così: Stefano è stato ucciso! E lo ha ammazzato lo Stato. Lo hanno assassinato selvaggiamente a forza di botte gli stessi uomini assunti al servizio dello Stato in sua presunta tutela. E in questi giorni stanno uccidendo Stefano una seconda volta. E' stato infatti immediatamente sottoposto ad un processo da parte di chi detiene il potere in questo Stato: sottosegretari e ministri si sono difatti affrettati a difendere i Carabinieri e a infangare la memoria di Stefano, definendolo un anoressico, una persona affetta da attacchi di epilessia, un sieropositivo e un tossicodipendente. Come per affermare che Stefano è l'unico e il solo responsabile della propria morte. Come se ciò giustificasse il “trattamento” al quale è stato sottoposto da parte di chi ha una concezione di giustizia che ha a che fare col mestiere del boia e sa di godere dell'impunità. Un'impunità che viene garantita agli uomini in divisa dal cosiddetto “spirito di corpo”, che si deve tradurre in omertà, depistaggio delle indagini e manipolazione della prove, e dal sostegno della classe politica che non perde l'occasione di difendere l'operato delle forze dell'ordine.

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Un essere al di sopra della legge che protegge la divisa anche nel caso in cui si dovesse celebrare un processo. Tanti gli esempi nel passato, troppe le ferite ancora aperte che ricordano come la giustizia di questo Stato utilizzi due pesi e due misure sulla base di chi deve andare a giudicare: i suoi servi in divisa o un immigrato clandestino o chi detiene una modesta quantità di droghe leggere o manifesta legittimamente il proprio dissenso. Non dimentichiamo infatti gli omicidi di Federico Aldovrandi a Ferrara nel 2005, selvaggiamente picchiato da poliziotti tutt'ora in servizio; di Marcello Lonzi, ucciso barbaramente in carcere nel 2003 e per la cui vicenda il processo deve ancora iniziare; di Manuel Eliantonio, pestato a morte nel carcere di Marassi a Genova nel 2008, il cui caso è stato archiviato; di Riccardo Rasman, morto a Trieste nel 2005, dopo essere stato “immobilizzato” da agenti di Polizia per i quali c'è stata la richiesta di archiviazione; di Gabriele Sandri, tifoso della Lazio, ucciso nel 2007 da un colpo di pistola esploso a braccia tese dall'agente di Polizia Spacarotella, condannato in primo grado per omicidio “colposo”; di Aldo Bianzino, “trovato morto” in carcere a Perugia nel 2007 e per cui un solo agente di polizia penitenziaria è in attesa di giudizio per “omissione di soccorso” e falso. Così come non dimentichiamo l'assassinio di Carlo, le cariche, la mattanza della Diaz e le violenze al carcere di Bolzaneto al G8 di Genova e le violente cariche all'Ospedale San Paolo in seguito alla morte di Dax. Tutte vicende in cui lo Stato, nelle sue diverse forme, ha mostrato la sua vera faccia uccidendo Carlo, assolvendo, e addirittura promuovendo, chi ha ordinato si è reso responsabile di pestaggi selvaggi ed arbitrari e condannando a pene pesantissime chi invece manifestava il proprio dissenso e chiedeva giustizia. E' quindi con le lacrime agli occhi e molta rabbia nello stomaco e nella testa che ci uniamo alle voci che urlano chiedendo verità e giustizia per la morte di Stefano, Federico, Marcello, Manuel, Riccardo, Gabriele, Aldo, per Genova, per il San Paolo. Con loro e con tutti coloro che ancora vogliono lottare per la verità, perché omicidi come questo non avvengano mai più e perché i responsabili di queste atrocità vengano puniti. Ed è per questo che oggi ci siamo ripresi un muro di questa città. Un muro che per noi ha un significato particolare, che già tante volte nel passato è stato strappato al grigiore metropolitano. Oggi ancora una volta, per ribadire che di Stato non si deve morire. Stefano vive nei nostri cuori.

NO a uno Stato che uccide

NO a uno Stato che si assolve

DI STATO NON SI DEVE MORIRE

VERITA' E GIUSTIZIA PER STEFANO

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