Decolonize, degrow, disrupt: climate crisis in a global scenario. Il report del talk al Venice Climate Camp

Ospiti del dibattito: Vandana Shiva, Ilham Rawoot, Havin Guneser e Mario Alberto Castillo Quintero.

10 / 9 / 2022

Venerdì 9 settembre si è tenuto il secondo talk al Venice Climate Camp, dal titolo "Decolonize, degrow, disrupt: climate crisis in a global scenario" che aveva come ospiti Vandana Shiva, Ilham Rawoot, Havin Guneser e Mario Alberto Castillo Quintero. Il dibattito si è aperto con una prima domandaposta a tutte le persone invitate: «cosa significa per te ecologia?».

La prima a rispondere è Vandana Shiva: “La terra funziona tramite relazioni: ecologia significa mantenere le relazioni tra viventi che rendono la terra abitabile. Significa anche che l’economia più importante è l’economia di e per la vita, non l’economia dei combustibili e del denaro: noi vediamo tutta questa devastazione e questi problemi perché l’economia ha deviato il suo corso e danneggiato l’equilibrio degli ecosistemi.”

Risponde poi Ilham Rawoot, evidenziando la necessità di interrogarsi sulle relazioni tra tutti i viventi. La domanda fondamentale è come decolonizzare gli ecosistemi e la bellezza della Terra, che ad esempio in Mozambico sono stati modificate dall’apartheid. E’ necessario tenere conto di come i popoli usano le risorse per i loro benefit nel loro specifico ecosistema; i popoli non dovrebbero essere obbligati a utilizzare determinati modi di sfruttare l’ecosistema in cui vivono - decolonizzare significa ridare potere a tutti i popoli, i popoli hanno bisogno delle tecnologie e della consapevolezza per trovare i loro modi.

Havin Guneser, che fa parte del movimento per la liberazione dei curdi, sostiene che quello che il sistema capitalista vuole è dirci e imporci è una visione molto individualista e umanocentrica delle relazioni dell’ecologia e degli ecosistemi. L’ecologia è la scienza di tutte le relazioni all’interno dell’ecosistema terra, incluse anche quelle della società umana: i collegamenti evolutivi che hanno prodotto gli umani e la società sono ora a rischio e stanno portando a un collasso sociale, non è solo l’ambiente ad essere a rischio ma tutto ciò che noi conosciamo come società umana. Gli ultimi secoli di patriarcato e capitalismo stanno distruggendo la società perché hanno alterato questi processi evolutivi. La relazione con la terra e con l’ambiente si sta perdendo, e quindi siamo forzati ad essere più individualisti.

Finisce Mario Alberto Castillo-Quintera, parlando della sfida del concetto di ecologia che deriva da una posizione accademica ed è usata per portare nuovi accordi. Tutte le persone indigene hanno il concetto di beni comuni e per loro è la terra, ma anche l’identità, gli usi delle persone e delle comunità e quello che è costruito sulla terra. L’ecologia arriva in questi territori e i progetti vengono usati per sostenere le aziende che devastano il territorio attorno, per esempio l’energia eolica prodotta vicino al suo territorio è usata per alimentare una miniera. Il parco eolico, a nord del Messico, sta distruggendo terre, ma è una buona azienda perché usa energia verde. E’ importante come usiamo e rivendichiamo il concetto accademico, perché nella lotta e resistenza indigena è necessario evitare di riproporre  il linguaggio capitalista e patriarcale.

La seconda domanda per Vandana Shiva tratta il tema del concetto di ecologia concentrandosi però su cosa sia il concetto di giustizia.

Secondo Shiva, è necessario realizzare che l’uomo fa parte della Terra, non ne siamo estranei. E’ ingiusto negare i diritti dell’uomo, è ingiusto caricare le persone ai margini delle conseguenze del cambiamento climatico, ed è ingiusto negare che la Terra è stata creata come un ambiente vivibile, per quanto riguarda la CO2 e l’O2, grazie alle piante e alla fotosintesi.

Questi processi li abbiamo negati, a partire dal colonialismo che ha trattato la terra come proprietà, con l’estrattivismo e i combustibili fossili, che non sono stati creati per essere estratti, ma per essere lasciati nel terreno. Le politiche estrattiviste, che negli anni ’30, con le politiche antitrust guidate da Rockefeller, hanno ricevuto una grande spinta, hanno distrutto un’intera economia.

Non solo l’estrattivismo provoca sfruttamento, ma la colonizzazione della terra attraverso i combustibili fossili è pervasiva: fertilizzanti e pesticidi sono prodotti derivati del petrolio. Nel 1984 in Punjhab, nella città di Bophal, una fabbrica di pesticidi rilasciò gas tossici che uccisero migliaia di persone. Il 50% dell’inquinamento viene da prodotti derivati dai combustibili fossili, e le persone che sono state colpite, e che vengono ogni giorno colpite, da questi disastri non hanno nessun potere decisionale, non sono coloro che creano il problema.

Nel 1992 fu firmato il United Nations Framework Convention on Climate Change; il primo principio di questo trattato era non agire in fretta, senza studiare i cambiamenti e senza sapere ciò che si sta facendo, e il secondo era sull’inquinamento. Sappiamo chi sono i soggetti che inquinano, sappiamo quali sono le multinazionali del petrolio, dei pesticidi, dell’industria energetica. Oggi l’1% della popolazione globale è responsabile del 50% delle emissioni di CO2. Vandana Shiva definisce questa ingiustizia climatica.

Il capitalismo reagisce all’esacerbarsi della crisi climatica con il cosiddetto greenwashing. Quell’1% di popolazione che è realmente causa del problema ne vede invece possibilità di nuovi mercati. Una nuova tecnologia che è stata progettata è il cosiddetto “cooling”, refrigeramento, ovvero sparare nell’atmosfera particelle di inquinamento. “Ma questo non è refrigeramento, questo significa distruggere il pianeta. Il sole è la base della fotosintesi, se la sua luce è bloccata dall’inquinamento saremo testimoni di disastri alimentari e quindi sociali.”

L’agricoltura e l’industria alimentare e l’allevamento intensivo è una delle maggiori cause del cambiamento climatico. La tendenza è quella di ampliare ancora e ancora questi allevamenti intensivi. Ma il problema non sono gli animali in sé, ma è il fatto che siano state costruite queste grandi macchine da profitto. È stata dettata una condanna a morte degli animali, si tratta di ecocidio. Gli animali sono in relazione con la terra e le piante, non esisterebbe ecosistema senza di loro. Questo meccanismo è ingiusto a tutti i livelli, dal punto di vista dell’ecocidio, dell’alimentazione, dell’ambiente. Il futuro che ci aspetta quando non ci sarà più nessuno a lavorare e a prendersi cura della terra è un futuro di ecocidio e genocidi. Per questo prendersi cura della Terra è l’azione più radicale che si possa immaginare. ”E’ necessario riprenderci il suolo, i nostri semi, il clima, in un’agricoltura libera e collettiva.” Il problema dell’industria alimentare è una grossa parte delle cause della crisi climatica, allo stesso tempo un sistema alimentare giusto ed equo è parte fondamentale della soluzione.

Vandana Shiva termina con un appello, invitando tutte e tutti a visitare il sito dell’organizzazione Nadvanya, e di unirsi insieme nella lotta, per creare una resistenza democratica dal basso. “Dobbiamo riconoscere e dire di no a sistemi ingiusti, dobbiamo cominciare a creare organizzazioni e a scrivere nuove regole, creare alternative basate sulle relazioni. In questo momento in cui siamo minacciati dall’estinzione possiamo creare un nuovo mondo, questo significa grande solidarietà e fiducia, implica creare relazioni che possono crescere solo con compassione e amore".

Ilham Rawoot parla invece di solidarietà. Una delle sfide più importanti, secondo Rawoot, è l’ingiustizia che passa dalla normalizzazione dello sfruttamento del nord verso il sud globale, in cui è evidente che alcune vita valgono di più delle altre e lo vediamo adesso in Pakistan così come in Mozambico e in tutti i paesi che soffrono di più per il cambiamento climatico anche se non per causa loro.

E’ dirimente pensare a queste dinamiche anche all’interno del movimento per la giustizia climatica, in questo contesto i problemi di razzismo sono emersi fuori con la guerra in ucraina.

Quando noi sentiamo nei media dell’ingiustizia si parla solo di persone bianche cristiane e non di chi è veramente e quotidianamente colpito dalla crisi e impegnato giorno dopo giorno per la propria sopravvivenza. Molt3 attivist3 del nord globale infatti scelgono a chi mostrare solidarietà, e molto spesso lasciano fuori chi realmente è a rischio maggiore, (rifugiati climatici da paesi che hanno crisi causate dai paesi del global north).

Non ci può essere giustizia climatica senza giustizia sociale per tutt3,  bisogna ricordare sempre di non separare le lotte e quindi per esempio la questione palestinese o la tematica transfemminista si intersecano tra di loro e l’unico modo per combattere per la giustizia climatica è di combattere insieme anche per tutte le altre lotte.

Un esempio che propone Rawoot è che le persone che lottano per i loro ecosistemi e per la loro sopravvivenza non si autoproclamano “movimento climatico”

Deve essere frustrante per l3 attivist3 che stanno lottando per il loro sostentamento vedere che quell3 del nord non sono sottopost3 agli stessi rischi nel protestare e che non si impegnano abbastanza nel supportare chi ne ha bisogno. È necessario che le persone bianche usino i loro corpi e la loro forza per portare solidarietà a coloro che maggiormente subiscono discriminazioni e gli effetti della crisi climatica. Anche se una persona di classe media si trova in difficoltà, non potrebbe comprendere le istanze di coloro che sono molto più a rischio, serve empatia, solidarietà e una presa di responsabilità nel mettere a servizio il proprio privilegio a favore di chi non ce l’ha. E’ necessario invece ricostruire il concetto di comunità. La solidarietà deriva dal comprendere il proprio privilegio e utilizzarlo.

Havin Guneser continua: “I curdi sono stati a rischio di scomparire a lungo, sia le loro terre che loro come gruppo culturale e linguistico. Questo li ha  fatti interrogare e mettere in discussione su tutto.” Si stanno domandando soprattutto come abbiano permesso per questo 1% di comandarci così a lungo e di distruggere milioni di anni di cambiamento evolutivo in 250 anni. Sicuramente non dobbiamo essere individualisti ma dobbiamo capire come è successo che questo processo di colonizzazione sia stato legittimizzato. “

Questo è il motivo per cui Ocalan e il movimento di liberazione cercano connessioni tra la storia e il presente per portare un incentivo alla vita odierna. Ad esempio, vedere come la figura della donna nella storia sia stata colonizzata non per questioni biologiche ma di principi, in una narrativa ideologica e un uso della violenza che colonizza tutt3 a partire dalla donna.

Continuare a domandarsi è fondamentale per non continuare a rigenerare questo processo di schiavitù nelle nostre vite. “Quello che il capitalismo sta cercando di fare è di scoraggiarci, il problema del capitalismo non sta tanto nelle sue armi bensì nella sua abilità di cambiare la nostra mentalità e di legittimare tutto questo.”

Quello che deve essere fatto, e questo è quello che in Rojava, i curdi e tanti diverse credenze religiose e popoli stanno cercando di fare: scoprirlo da soli. Questo  processo sta cercando di essere soppresso da molt3: un esempio è la Turchia e il suo violento leader Erdogan. E’ necessario combattere quello che l’ideologia cerca di dire che non può essere fatto, tracciando una filosofia è una ideologia che spieghi come questo possa essere fatto.

“Quello che ci stiamo chiedendo, per esempio, non è come avere un miglior salario da lavoratori, ma come non diventare lavoratori. Quindi come ci difendiamo? Non in termini fisici ma in termini di difesa dalla mentalità, proteggendoci dal positivismo della scienza e riportando la filosofia nelle nostre vite, per riportare l’arte del vivere bene.

Concludo con la nozione che ci debba essere una lotta prima al livello del nostra mente, per essere una comunità unita e in armonia con la natura. Se non lo facciamo, quell’1% ci governerà come sta facendo ora, perché si aspettano che noi siamo spaventati, individualisti e non collaborativi. Per questo i kurdi hanno dato e stanno Dando le loro vite: non per una vita qualunque, ma per una vita libera in armonia con la tua natura".

Conclude infine Mario Alberto Castillo-Quintera, sostenendo che possa esserci giustizia climatica senza giustizia sociale, senza coscienza di classe. L’Occidente ha costruito la realtà che stiamo vivendo. Contestualizzando la situazione del Messico, il Paese ospita moltissime delle monocolture intensive degli Stati Uniti e dell’Europa (avocado, mango, lime…).

Questo avviene in campi controllati per lo più da narcotrafficanti e dalla criminalità organizzata. A partire dal 2006 ci sono stati più di 400.000 omicidi legati al narcotraffico, morti di  una guerra all’interno del paese causata dalla situazione derivata dallo sfruttamento coloniale del Messico. Questa guerra interna al paese del Messico è un chiaro sintomo della crisi politica economica, sociale ed ecologica che il mondo sta attraversando; essa è infatti legata alle multinazionali che pagano il governo per avere il controllo dei territori.

I popoli hanno sempre resistito con molta forza, ma col nuovo governo di sinistra progressiva i problemi sono peggiorati. Dal suo insediamento sono stati uccisi più di 150 tra giornalisti ed attivisti climatici. 

E’ molto chiara la storia del Messico, come il governo è diventato soggetto politico della colonizzazione, come la presenza ecclesiastica ha promulgato una cultura chiaramente patriarcale. Con questo nuovo governo progressista il problema ha indossato una nuova maschera, ed ha raggiunto anche le comunità.

Contemporaneamente però questa situazione ha portato a molta organizzazione nella resistenza, come si vede nell’esperienza della guerra civile dei fratelli zapatisti, diventata fondamentale nel far vedere al mondo che le comunità indigene resistono e sono vive. In tutto il paese ci sono molte esperienze di resistenza ideologica e politica, dove le persone si sono armate per difendere la propria terra e le proprie comunità. Ad esempio, alcune comunità si sono organizzate per proporre una nuova forma di giustizia contro le politiche agroalimentari delle aziende.

“Condividiamo queste esperienze nel congresso indigeno dove condividiamo esperienze costruite dal basso. Costruiamo conoscenza collettiva, costruiamo un altro mondo possibile perché abbiamo la necessità di sopravvivere a questa realtà capitalista, a questo capitalismo di morte. Abbiamo bisogno di resistere non solo a livello di comunità ma anche a livello regionale ed internazionale. Non possiamo costruire solo soluzioni locali, la lotta è una ed è la lotta contro il capitalismo”.

Conclude l’intervento ricordando Maxima Acuna, attivista del Perù che ha lottato contro una miniera. Lotte come questa, e come quella per l’acqua saranno lotte che finiranno per metterci gli uni contro gli altri. Per evitare questo dobbiamo unirci, organizzare la lotta e lottare insieme anche con le persone del sud globale perché esse saranno le prime a subire le conseguenze di quello che sta succedendo.