Davvero non c'è limite all'assoluto e insostenibile dominio della specie umana? Come abbiamo ereditato questo 'diritto' di vita e di morte?

27 / 4 / 2010

"Ci stiamo confrontando alla fase di crisi terminale di un modello patriarcale (...). Il sistema capitalista ci ha imposto la logica della concorrenza, del progresso e della crescita illimitata. Questo regime di produzione e di consumo va in cerca di un profitto senza limiti che separa gli esseri umani dalla natura, stabilisce una logica di dominazione sugli esseri viventi trasformando tutto in merce."

Dalla dichiarazione di chiusura della Conferenza dei popoli sul cambiamento climatico e i diritti della Madre Terra il 22 Aprile scorso a Cochabamba.

Gli esseri umani sono una specie tra tante altre, non la più evoluta. Negli ultimi vent' anni la paleoantropologia ci racconta una storia un po' diversa da quella dell'evoluzione, il vecchio schema che ha visto l'uomo come discendente della scimmia, cugino di babbuini e scimpanzè secondo una linea distinta e compiuta del processo creativo della specie. E naturalmente tutti hanno da dire qualcosa a proposito, non solo figure scientifiche che vanno dall'antropologo al biologo oltre ai ricercatori specializzati nella genetica,  tra i primi a farsi avanti sono stati i religiosi, gli studiosi di teologia che indagano la storia delle religioni 'rivelate' non vedono di buon occhio questo nuovo ramo della ricerca nell'albero dell'evoluzione.  Interrogarsi sull'origine della specie umana oggi vuol dire anche chiedersi, interrogarsi sulla vita del pianeta terra, sulla fisica e sulla storia, dall'archeologia della preistoria all' anatomia e la biomeccanica si tenta di capire cosa ha reso compatibile la nostra presenza 'morfologica' tra milioni di altre specie.  E perché interessa tanto la morfologia della specie umana. Perché è il perno delle teorie dell'evoluzione. Il termine stesso, inventato dal poeta tedesco Goethe vissuto due secoli fa, è diventato progressivamente una definizione dal valore scientifico utilizzato fino agli anni '80 nei libri scolastici e universitari. Ma anche nella rappresentazione e nell'immaginario collettivo.

 Proviamo a fare il viaggio al contrario, dall'Homo sapiens (noi) a Neanderthal, poi all'Homo erectus, l'Homo habilis fino all'australopiteco (Lucy) e poi... niente!

Questa è un'antica visione del mondo, fondata sulla collocazione gerarchica delle specie attuali che include la storia tragi-comica di una scimmia ancestrale che si sarebbe raddrizzata una volta raggiunta la savana. Questa rappresentazione pone un problema non da poco: come possiamo essere i discendenti di una specie tutt'ora vivente? La rappresentazione lineare e progressiva non può reggere perché è uno schema legato alla mitologia occidentale che interpreta il rapporto dell''uomo' al cosmo e agli altri esseri viventi, animali e viene letto come arrivo a noi, cioé all'uomo perfetto.

Come credere a questa favola del progresso con il corpo che si raddrizza, la mano che si libera, il cervello che cresce e lo spirito che si sviluppa?

La scienza delle classificazioni, sistemistica, l'etologia con lo studio dei comportamenti delle popolazioni animali che vivono allo stato naturale ci permettono di ripensare la storia della presenza umana sul pianeta  e di prospettare un futuro per l'insieme complesso della vita sulla terra, ecosistema in trasformazione, organismo che è architettura di connessioni.

Linneo nel XVIII secolo classifica l'essere umano con la definizione scientifica di Homo sapiens nell'ordine dei primati, a fianco di scimpanzè e oranghi, al tempo tutti i naturalisti sapevano che queste scimmie assomigliano più all'uomo che alle altre scimmie ma questo non ha impedito, un secolo dopo, di affermare che l'essere umano discende dalla scimmia ("L'origine delle specie" di Charles Darwin). Con l'idea di trasformazione delle specie si modella la sistemistica evoluzionista: si classifica con una determinata idea di evoluzione e si trasmette agli studenti che il gorilla, appartenente alla famiglia delle scimmie che vivono nelle foreste, si sposta e si muove dritto a metà, invece gli uomini e i loro antenati che rappresentavano la famiglia degli ominidi, erano specie di scimmie che camminavano erette nelle savane. Con tale schema in testa la discendenza della nostra stirpe emerge bipede nella savana con il corredo adatto e necessario: la vita sociale, lo strumento, la caccia, la dominazione dei maschi e la protezione delle femmine, il linguaggio, i ripari, la cultura, ecc.

Per fortuna negli anni '70 cambia tutto. Si comincia a classificare prioritariamente in funzione delle relazioni di parentela orizzontali senza preoccuparsi dei modelli evolutivi. Poi arrivano i genetisti con le molecole del DNA e siccome le molecole non si muovono e non hanno anatomia, e neanche si possono ecologicamente definire, finalmente non ci facciamo più ingannare dalle apparenze! Così viene fuori che gli scimpanzè, per come sono attualmente in natura, sono i più vicini a noi, cioé che condividiamo un ultimo comune antenato. Una vera rivoluzione. Prima non ci si interessava troppo alla regione geografica dell'origine della specie umana, Asia o Africa era indifferente sapere dove siamo nati, l'importante era scartare o allontanare il più possibile ogni sconveniente avvicinamento alle scimmie.

Con l'ultimo antenato comune si possono fare ipotesi sul posto, la data e l'aspetto e una prima sintesi coerente della ricerca interdisciplinare viene proposta in Francia negli anni '80 ( "East Side Story", Y. Coppens), mentre negli Stati Uniti le ricerche etologiche sulle società e i comportamenti degli scimpanzé rivelano un'organizzazione della vita comune identica a quella umana: utilizzano degli strumenti, sviluppano tradizioni e culture, cacciano e dividono le prede, si accoppiano frontalmente, fanno politica, imparano i rudimenti del nostro linguaggio, posseggono nozioni

di bene e male... anche Darwin sapeva che gli scimpanzè dell'Africa occidentale utilizzavano strumenti di pietra per aprire le noci di cocco ma per un secolo ci hanno detto che nella preistoria "l'essere umano è uso dello strumento".

 Nonostante l'idea di un'evoluzione lineare e progressiva sia stata demolita, ancora oggi si temporizza... si tenta di respingere indietro nel tempo, a più di dieci milioni di anni, il nostro ultimo antenato comune.  Da un albero genealogico ben potato siamo passati a un sottobosco di rovi intricati e rinsecchiti dove un solo ramo è sopravvissuto, il nostro, se andiamo indietro di cinquantamila anni, due specie di uomini seppellivano i morti e partecipavano all'impresa umana, Neanderthal e noi.

Questo fa dell'essere umano l' erede di una bella storia che risale a milioni di anni fa, siamo unici ma questa unicità si declina in una continuità multiforme con dei caratteri primordiali che condividiamo con gli scimpanzè, nostri fratelli di evoluzione. Questo disturba chi si è barricato dietro una concezione obsoleta dell'animale e chi rifiuta religiosamente di accettare la banalizzazione dell'essere umano nel processo creativo. Meno comprensibile l'oscurantismo di tante figure dotate di ruolo politico che si dimostrano destabilizzate nell'affrontare dati ormai scontati. Ma non ci sono solo i credenti che restano in trincea a difendere la creazione del mondo in sette giorni, ci troviamo spesso davanti ad una convinzione che diventa un disegno intelligente nell'argomentazione filosofica e matematica. Ci sono Premi Nobel, scienziati che accettano l'evoluzione se il destino dell'uomo è riconosciuto come centrale rispetto al cosmo, non è difficile immaginare l'identità dell'architetto del destino dell'uomo. Nessun disegno, la storia della vita è una successione di contingenze, di casualità e di circostanze prive di necessità. Se desideriamo che la solitudine dell'Homo sapiens non si trasformi in tragedia, sapere che l'essere umano contemporaneo è l'ultimo sopravvissuto di una ricca stirpe neanche tanto vecchia dovrebbe incitarci a vedere un futuro generoso con la terra e per arrivare a questo futuro, immaginare una biodiversità sociale e culturale come pratica politica.