Era il 23 novembre 1980 quando la terra scosse in Irpinia e
da allora continuiamo ad andare avanti di emergenza in emergenza.
E’ questa la caratteristica governamentale del
nostro meridione, dai tribunali speciali della legge Pica alle
sempreverdi leggi speciali contro la mafia, il commissariato straordinario per
il terremoto in Irpinia si
inscrive in perfetta continuità con la storia politica e sociale del nostro
sud.
Finita l'emergenza colerica del 1974, arrivò il terremoto: dalle macerie dei
paesi sventrati dell'Alta Irpinia sgorgò un fiume infinito e incontrollato di
denaro pubblico che finì non solo e non tanto nelle casse
dei 687 comuni dichiaratisi poi man mano terremotati, ma soprattutto nelle tasche
una classe politica e imprenditoriale parassitaria che, come ai tempi del
colera, consolidò il suo potere, le sue connivenze criminali e la sua fortuna
sulle disgrazie altrui.
Poi madre natura si acquietò per troppo tempo, e allora questa volta la disgrazia
e il disastro ambientale toccava costruirselo da sé: non ci volle molto. I
cassonetti dei rifiuti iniziarono a tracimare.
Schmitt sembra annunciare “l’eterna
resurrezione di Gesù Cristo nel meridione, quando circoscrive lo stato
di eccezione per la giurisprudenza ad "un significato analogo al miracolo
per la teologia".
Forse il giurista principe del Terzo Reich non era a conoscenza dell’eterno miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro ma soprattutto
come nel meridione si sia progressivamente accentuato nel
corso degli ultimi 150 anni lo “stato di eccezione”
come paradigma di governo dominante, a partire dalla costruzione stessa
della presunta questione meridionale.
Lo stato di eccezione si presenta in questa prospettiva come una soglia di indeterminazione
fra democrazia e assolutismo, tra interessi pubblici e affari privati, nella
quale dall’alto si articola nella concentrazione
dei
poteri dentro le tipologie costitutive dello stato d'eccezione, dal basso nella
restrizione delle libertà e delle garanzie formalmente riconosciute.
Il verticale accentramento verso l'alto dei processi decisionali che annulla e
dissolve le articolazioni amministrative e periferiche dei poteri, ben presto
fagocita e polverizza ogni istituzione altra da sé: qui
non c’è spazio per complessi e ingegneristici sistemi
di governante multilivello, ma una matrice governamentale di controllo
discrezionale del potere che disvela la sfida tra assoggettamento e resistenza,
tra elitè e subalterni, senza particolari spazi di mediazione.
Dopo il terremoto in Irpinia l’esercito ritorna
ad essere un attore politico determinante per la tenuta di un ordine discorsivo
dominante fondato sulla presunta neutralità operosa nella mimetica:oggi non
spara
più come per più di un secolo ha fatto assassinando i giovani renitenti alla
leva quinquennale dei Savoia o ai braccianti in lotta per la riforma agraria
nel dopoguerra, ma si muove sul terreno della comunicazione
politica.
L'uso dei militari cerca di coprire un vuoto di legittimità prim'ancora che di
consenso, cerca di coprire lo spazio vuoto di diritto che intercorre tra la
norma che vige, ma non si applica non avendo più
«forza», e gli atti che non hanno valore di legge ma ne acquistano la «forza»,
uno spazio vuoto sul quale le istituzioni e il governo accampano con arroganza
la pretesa di stare ancora e sempre dalla parte della legge pur violandola e
stuprandola sistematicamente.
L’emergenza terremoto in Irpinia, l’emergenza
rifiuti in Campania, l’emergenza mafia
nel sud, lemergenza in Abruzzo: dietro la falsa e ingannevole
"neutralità operosa" della mimetica, c’è sempre
il tentativo
di occultare dietro l'ombra minacciosa dei mezzi militari, il fallimento,la
corruzione e il degrado che ha contraddistinto l'ordinaria gestione straordinaria
del mezzogiorno.
Ma quando il re indossa la mimetica e l'elmetto, in verità egli è completamente
nudo: l'ostentazione dello stato di crisi e d'eccezione permanente, mostrando
la sovranità nella sua forma elementare e fondativa,
con gli abiti cioè del monopolio dell'uso legittimo della forza, mette a nudo
la relazione nascosta che lega violenza e diritto.
Il fantasma della ribellione sociale che si aggira nelle terre del sud è il
vero nemico da combattere.
Oggi in Abruzzo, a Terzigno, ieri in
Irpinia; la sfida aperta tra biopolitica e biopotere diventa certamente più
accentuata nelle punte più estreme e nelle fasi più acute dello stato di
eccezione, disvelando in
modo particolarmente limpido la sua matrice disciplinare di controllo e dominio:
e infatti le scosse telluriche hanno sempre contribuito, fin dai tempi del
terremoto di Reggio del 1908, a disoccultare ed accentuare i meccanismi di
accaparramento, saccheggio e spartizione nell’intreccio foucultiano
tra sicurezza-territorio-popolazione, ma ha anche scoperchiato e accentuato il
vento di ribellione sociale che infatti esplose nei mesi immediatamente
successivi al terremoto in Irpinia.
La memoria rimossa delle lotte sociali del dopoterremoto è il punto sul quale
dobbiamo volgere la nostra attenzione: un fiume infinito di inchiostro, di
inchieste, di studi hanno focalizzato l’attenzione sui
meccanismi perversi della shock-economy in salsa napoletana, delle violenze e
le prepotenze dei poteri eccezionali, la sua matrice autenticamente criminale,
mentre restano nello sfondo, nel ricordo sempre
più sbiadito dei protagonisti e nel sempre più difficoltoso reperimento di fonti
primarie e secondarie, l’ondata di protagonismo sociale che
esplose e accompagnò quei movimenti tellurici.
Le lotte metropolitane dei disoccupati organizzati nei primi anni ottanta, il
movimento delle occupazioni di case in Campania, le battaglie dei senza tetto,
ma anche il fiorire nei contesti rurali, nel cratere del terremoto, dei
comitati di lotta dei terremotati, sono un giacimento immenso di ricchezza, in
termini di memoria sociale, che bisogna con cura riannodare e ritrovare in
occasione di questi anniversari, come il trentennale del terremoto, prima che
vadano definitivamente dispersi.
E’ la storia dei subalterni che le elitè egemoni
cercano di cancellare o sussumere dentro gli ordini discorsivi
dominanti, il più fastidioso di tutti certamente rinvenibile in quell’atteggiamento postcoloniale che a
distanza di trent’anni continua a raccontare e celebrare,
come anche in questi giorni avviene in Irpinia, l’impegno
sociale e politico in quelle terre martoriate sempre e solo dal punto di vista
della pur encomiabile solidarietà accorsa da ogni angolo dell’Italia, rimuovendo invece il protagonismo sociale diretto e
autorganizzato di quelle comunità che, nella devastazione del loro territorio,
ritrovarono la forza e la percezione della loro potenza sociale.
Di quello non c’è più traccia nella storia ufficiale,
nei resoconti giornalistici, nelle celebrazioni istituzionali ed è
invece questo il filo rosso che dobbiamo riannodare, non tanto per ricordare
nostalgicamente un
importante stagione di lotta che ha attraversato i nostri territori, ma per
portare il 20 novembre a L’Aquila, alla
manifestazione dei comitati dei terremotati abruzzesi, l’estrema attualità di una resistenza dei
subalterni che malgrado 150 anni di dominio postcoloniale, ancora non china il
capo e, in Irpinia ieri e in Abruzzo oggi, non si rassegna passivamente alla
dominazione e al silenzio.
Dall'Irpinia all'Abruzzo : I terremotati a Sud tra potere e resistenza
di Francesco Caruso
19 / 11 / 2010