La privatizzazione dell'acqua in Italia

Dalla frontiera del west

di Luca Manunza*

29 / 1 / 2010

“Così anche l'acqua piovana fu privatizzata.

Le persone a quel punto dovettero fare delle scelte,

mangiare di meno per potersi pagare l'acqua o organizzarsi.

[...]Il popolo voleva acqua non gas lacrimogeni”.

Cittadino di Quchapampa

Here there is no water in this area”, urlava un bracciante Ghanese di Rosarno qualche settimana fa. “Qui non c'è nulla, l'unica acqua che abbiamo è quella che raccogliamo nei secchi, è l'acqua che cade dal soffitto. Guardi, -diceva indicando i rubinetti-, qui l'acqua non c'è mai stata”, raccontava la signora Bellavia, nel sobborgo di Favara in Sicilia. Queste sono solo due tra le migliaia di storie, che incrociano nelle proprie biografie la lotta generale per la propria sopravvivenza e la lotta consapevole  al diritto di accesso all'acqua, bene pubblico primario e insostituibile. L'estrema lucidità espressa nei due casi, nel soffermarsi sulla mancanza d'acqua potabile in una condizione di “insediamento abitativo a basso reddito[1]”, si fa paradoxale, narrandoci quanto l'acqua, quella potabile, sia un diritto inalienabile e fondamentale per vivere o in alcuni casi sopravvivere. Al contempo tutto ciò fa riflettere sulle condizione di accesso all'acqua pubblica, in merito alle nuove procedure di privatizzazione della rete idrica avviate in Italia e non solo. Procedure che oltre a limitarne l'uso, porteranno ad una sua estrema parcellizzazione, ampliando quella parte di popolazione che l'acqua non l'ha mai vista. In Italia, già dal 2006, numerose comunità “in lotta” per salvaguardia del diritto di accesso all'acqua, riflettono e agiscono in merito ad una vertenza non solo locale bensì dal sapore transconfinale[2]. Parlo in questo caso di nuovi attori politici “informali”, che passano dalle semplici madri che si mobilitano in quanto tali, ai migranti che si organizzano partecipando a manifestazioni, agli attivisti dei movimenti ambientalisti, che in questi anni hanno cominciato un percorso di lotta contro i processi di privatizzazione dell'acqua, proponendo soluzioni e pratiche. Pratiche, queste, che costituiscono un  tipo particolare di politica globale, che “passa per le località e non dipende dall'esistenza di istituzioni globali[3]”. Il locale in questo caso è multiscalare[4] in un'ottica in cui il carattere globale di una rete non implica necessariamente che le sue transizioni siano parimenti globali. In tutto questo i movimenti per il diritto all'acqua pubblica parlano al proprio territorio,  riflettendo e confrontandosi con altre realtà extralocali. Il contro vertice mondiale sull'acqua tenutosi nel 2009 a Istanbul in Turchia ne è un esempio: partecipato da numerose realtà e movimenti, ha seriamente fatto vacillare quello ufficiale delle potenze mondiali tenutosi in contemporanea nella stessa Costantinopoli. O perché no, non è difficile sentire i membri dei comitati raccontarsi l'esperienza Boliviana di Quchapampa, che oltre a fare scuola -poi tornerò sulla vicenda- rappresenta un fantastico esempio di “rivoluzione contemporanea”. Una rivoluzione che con sé ha portato vittorie, ma a caro prezzo. Ultima, ma solo in battitura, è la questione Palestinese, in cui l'acqua è da anni dispositivo di “confino spaziale” tra il popolo palestinese e i coloni israeliani che partizionano e modificano quotidianamente i confini in base della presenza o meno di fonti idriche naturali, in cui la strategia “goccia dopo goccia[5]” assume numerose sfaccettature. I movimenti, i comitati, le soggettività in campo, nascono e comunicano tra loro, condividendo da anni strategie, nuovi ordini discorsivi e logiche di adesione,  guardandosi l'uno con l'altro. All'interno dei ragionamenti di questi nuovi “soggetti politici” credo sia visibile un grande “scarto” rispetto al passato, cioè quello di portare avanti le battaglie si in maniera globale, ma con una reale messa in discussione al livello -tattico e poi strategico- di quelle teorie che vedono un unico potere centrale in grado di muovere tutte le sorti. Questa messa in discussione ha portato le azioni del movimento e il loro valore parresiastico su ogni singolo territorio, e al contempo ha reso visibile quanto, l'appellativo, no global, sia ormai saturo di significati che forse poco appartengono  a questi cittadini. La storia è lunga e le poche righe non facilitano, ma una premessa è quella inerente alla famosa mano invisibile del potere. Oggi, tornando in Italia, sicuramente la situazione campana risulta essere emblematica. La recente presenza di soggetti partitici all'interno dei movimenti dell'acqua è quanto mai ambigua, una storia nuova dal sapore un po' retrò. La loro proposta “irruenta” è quella dell'acqua in house (società a capitale pubblico controllate dal pubblico), cioè mantenere l'acqua pubblica attraverso delle S.p.a. , una gestione che fa acqua da tutte le parti, redistribuendone ben poca. La loro è una proposta “elettorale” direbbe oggi la signora Bellavia, “volta gabbana” penserebbe la mia vecchia nonna, che l'acqua potabile a casa la ha avuta solo qualche anno fa, ma che conosce bene i partiti politici. La loro è una presenza spinosa da gestire, in una situazione dove blocchi del movimento auspicano e lottano per la scelta strategica migliore: il ritorno alle cosiddette “municipalizzate”, attraverso il riconoscimento -non facile- del servizio idrico integrato, quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, naturale e non identificabile come baluardo di produzione di utili attraverso la gestione del principale bene comune. La bestia è ancora qui e non si può sapere, cantava qualcuno[6] e che strisci bene lo sappiamo tutti, quindi è auspicabile una lotta fino in fondo, non accontentandosi di mezze vittorie. Riorganizzare il sistema idrico nazionale in maniera equa diventa la priorità, insieme all'ipotesi non così tanto utopica che le multinazionali dell'acqua vengano estromesse una volta e per tutte dalla gestione del servizio. E' assodato infatti che la protezione di risorse vitali non può essere affidata alle logiche di mercato. Ma a quanto pare la legge e la “filosofia di appropriazione” del Far west[7], continuano oggi ad essere un “modello per il futuro”, e là dove i soggetti cambiano, dal cow boy alla S.P.A.,  le  premesse dei governi, e dei micro governi in merito ad un uso disuguale e non sostenibile della risorsa naturale acqua, rimangono identiche. La guerra dell'acqua è lunga scriveva l'attivista indiana Vandana Shiva, e si muove su numerose piattaforme, dall'urbanistica, alla “nuova” agricoltura con le sue nuove tecnologie di sfruttamento intensivo[8], sino ad arrivare al diritto alla casa. Sicuramente le mobilitazioni contro la privatizzazione del servizio idrico, mettono il dito nella piaga all'interno dei sistemi di democrazia rappresentativa, sempre più vacillanti e non più in grado di legittimare il proprio potere se non con emergenze o leggi speciali. E nell'attesa di una progettualità seria e partecipata, una parte della realtà presente e futura, è che anche la ”lotta all'acqua” ha prodotto rivolte, uniche e odierne soluzioni per la creazione di nuovi spazi e zone liberate. E dove “l'impero può dispiegare tecnologie orwelliane di repressione[9], i suoi emarginati hanno gli dei del caos dalla loro parte”[10].

* Membro dell' URIT
“Unità di Ricerca sulle Topografie sociali”
Dipartimento di Sociolgia generale dell'Università degi Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli



[1]              Davis M., Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano, 2004, p.51.

[2]              Cfr. Sassen. S., Una Sociologia della globalizzzione, Einaudi, Torino, 2008.

[3]              Ibid., p.190.

[4]              Per le teorie multiscalari cfr. Sassen S., Globalizzati e scontenti, il Saggiatore, Milano, 2002.

[5]              Cfr. Said W. E., Tra guerra e pace. Ritorno in Palestina-Israele, Feltrinelli, 1998.

[6]              Assalti frontali, Un'intesa perfetta, giu' le lame, 2008.

[7]              Per la vicenda Far West, cfr., Shiva V., Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano, 2003.

[8]              Ibidem.

[9]              Cfr. Graham S., Simulating War in an Urbanizing World, Department of Geography Durham University.

[10]            Davis M., The urbanization of empire: megacities and laws of as chaos, “social text”, 2004, p.81.

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