Da stato ed enti pubblici un invito alle famiglie ad indebitarsi

Utente: GIOVANNI
30 / 9 / 2009

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C’era un tempo in cui l’ingegneria finanziaria era appannaggio degli imprenditori di rango.

Negli anni ’80 la tutela distorsiva che essa offriva (ed offre) venne offerta anche a truffatori di più basso profilo.

Agenti di commercio, concessionari di auto e pezzi di ricambio, piccoli produttori di manufatti che solo la debolezza della lira poteva rendere appetibili, si aprirono a trucchi ed alchimie sino ad allora impensabili.

Fusioni, scissioni, intestazioni fiduciarie di quote, società in Lussemburgo... nulla pareva inibito ai rampanti gaudenti del leasing.

La partecipazione delle classi imprenditoriali minime all’insorgente mondo postfordista generò ricchezza per queste e per le banche che con tassi impudici rastrellavano e soprattutto modificavano la coscienza degli individui.

La finanziarizzazione però non poteva attendere. Il capitale necessitava di sempre maggiori tributi.

Come accompagnare la trasformazione del welfare e la privatizzazione del deficit spending?

Gli individui dovevano indebitarsi, meglio doveva crearsi una domanda aggiuntiva a mezzo di debito privato.

Non bastava il conto corrente sul quale fluivano i sempre più magri stipendi.

L’accesso al credito non poteva essere limitato.

E quando per un protesto o altro incidente di percorso la banca non consentiva nuovi affidamenti?

La fioritura di finanziarie fu eccezionale.

Si incominciò con pubblicizzare che era meglio un grande debito -cumulativo- dei tanti debiti per auto, televisori, telefonini.

Era più “gestibile” (ma per chi?).

Alla faccia della centrale dei rischi e della crif, le finanziarie spostavano il rischio verso le economie domestiche.

Indifferenti alle bastonate della storia, al ridursi di ogni garanzia per i lavoratori “stabili” (manco a parlarne di tutele per i precari) il nostro indebitamento crebbe.

E quando la crisi condusse l’individuo a dovere ricorrere al prestito anche per sopravvivere?

Niente paura ci pensarono (e pensano) le banche (nemiche di Tremonti), lo stato (di Tremonti), il Comune di Genova (nemico delle banche e di Tremonti, fosse solo per ragioni di cassetta elettorale, per quanto di seguito).

Il Comune di Genova -con recente provvedimento- garantisce ai residenti credito agevolato per pagare il dentista, le tasse scolastiche, la cameretta di Clara, la vacanza studio, l’assicurazione dell’auto (così il manifesto esplicativo/pubblicitario).

Se poi non doveste farcela (e il fatto di chiedere un prestito per potersi pagare gli studi alla scuola pubblica non mi pare un sintomo di benessere) è pronto un progetto di legge per consentire anche alle persone fisiche il ricorso a piani di ristrutturazione del debito.

Si tratta del disegno di legge approvato il 1 aprile 2009 che con l’asettica intitolazione disposizioni in  materia di usura e di estorsione nonchè di composizione delle crisi di sovra indebitamento mostra la necessità per il capitale di accedere all’istanza sopra individuata.

Merita di essere segnalato, al proposito il capo II intitolato procedimento per la composizione delle crisi di sovraindebitamento.

Il “procedimento” è consentito a persone non soggetti né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali (evidente è il richiamo ai non imprenditori), i quali si trovino in una situazione di perdurante squilibrio economico tra le obbligazioni assunte e il patrimonio disponibile per farvi fronte (art. 13).

La sconfitta del capitale è evidente tanto quanto la soluzione autoassolutoria.

La presa d’atto che per alimentare il capitale/parassita ognuno abbia contratto debiti largamente superiori alle proprie entrate (e consapevolmente) è palese.

Il capitale è crisi: tale deve essere l’individuo che lo vive; e allora, perché dissolverne il misero patrimonio? Rischiare che i pochi averi siano dissipati in quasi sempre infruttuosi tentativi?

Occorre mirare le vie d’uscita dell’individuo, dirigerlo a percorsi verso il gorgo della spesa [assicurare il pagamento dei creditori estranei (ovvero non concordi e non sottoscriventi il patto)– secondo quanto disposto dall'art. 14- significa consentire, dietro la promessa di proseguire nell’esistenza quale possessore di merci, di indirizzare tutto ciò che si ha agli altri partecipanti la collettività dei possessori di merci (unici soggetti di diritto)].

Paradossale (almeno in apparenza) risulta poi il tentativo di negare l’origine della crisi (da sovraindebitamento) che ha condotto il singolo soggetto al sovraindebitamento. L’art. 15 I prevede la ristrutturazione dei debiti attraverso qualsiasi forma anche mediante la cessione dei crediti futuri.

L’indebitamento -creato dallo smodato ricorso a finanziamenti “attuali” da ammortizzarsi con i crediti “a venire” è combattuto (e all’individuo collaborativo è preservato un posto nella società) con la prospettiva di crediti “a venire” (che l’attuale sovraindebitamento evidenzia insussistenti).

In sintesi: se non si riesce a pagare perché mancano le prospettive di credito (anche) futuro, come si può fingere di eliminare la crisi attraverso crediti futuri (evidentemente ulteriori e allo stato sconosciuti e/o imprevedibili)?

Il III comma del citato art. 15 prevede la possibilità di eventuali limitazioni all’accesso al mercato del credito al consumo.

La previsione confessa il reale scopo della norma: porre eventuali limitazioni significa di fatto consentirle. Ovvero il capitale accetta l’insolvenza purchè detto specifico mercato non cessi di progredire (e poi i crediti insoluti delle società erogatrici possono essere cartolarizzati e le società di cartolarizzazione possono emettere obbligazioni che esse stesse allocheranno, magari autocertificandosi una tripla A).

L’art. 22 individua gli organismi di composizione della crisi.

Verrà istituito un registro tenuto presso il ministero della giustizia e sarà composto da avvocati, commercialisti, notai (in analogia a quanto previsto per i procedimenti espropriativi ex art. 591 bis c.p.c.).

Le attività degli organismi di composizione dovranno essere svolte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica: i professionisti sopra individuati lavoreranno quindi gratis? È da escludersi. Scopo della norma è incitare (ottimisticamente, per dirla con il governo) non a uscire dalla crisi (individuale o collettiva) ma a perpetuare sé stessi quali possessori di merci nonostante la crisi.

Il capitale pone le basi per un costante sacrificio dell’individuo commerciale che attraverso piani di sovraindebitamento supererà le proprie crisi incrementando un meccanismo di espansione dei costi socializzati (microcosmo di un capitale crisi che lo rigenera e si rigenera).

Non è inutile segnalare che chi rendesse dichiarazioni false al fine di ingrassare il capitale sarebbe punito con la reclusione da uno a tre anni, mentre chi utilizzasse un certificato falso per evitare un giorno di lavoro e andare al mare con la fidanzata rischia (è notizia recente) da due a cinque anni.

Il circolo è chiuso.

Non solo è consentito l’indebitamento in assenza di ogni requisito tale da rendere possibile l’affidamento, ma è previsto il mezzo per venirne fuori (male).

Una prima considerazione.

Queste parole non sono di condanna o di affermazione del bel tempo andato quando occorreva “una vita intera per quattro lire di pensione” (come cantava la Marini) nè di invocazione della saggia produzione rispetto alla finanza malandrina.

E’ emerso da una ricerca che gli individui più indebitati stanno a Lodi, i meno indebitati sono i sardi, e più la zona è afflitta da miseria e più gli individui sono “sobri” e parchi (in altre parole non hanno una lira e vivono in una economia in gran parte "non monetaria").

Ma questo aspetto pur rilevantissimo non deve obliterare gli ulteriori argomenti che rendono questa vita uno schifo.

La trasformazione dell’individuo in una specie di "impresa" non comporta soltanto i benefici della differente considerazione dell’insolvenza.

L’uomo impresa è una cosa, che non merita altra tutela che quella accordata alle cose (la qual cosa non rallegra se si pensa alla sorte dei rasoi radi e getta).

L’uomo impresa è altamente reazionario perchè consente al capitale di misurare il soggetto (fattosi oggetto) e la sua stessa esistenza.

Rendere il nuovo proletariato cognitivo “macchina” biopolitica riduce il rischio (per il capitale) insisto nell’incommensurabilità del suo sapere.

Rende l’individuo sempre più solo nel suo mondo (merce tra merci prese a prestito).

Il capitale lo può conoscere integralmente.

Egli non può però conoscersi come singolarità e assumere rilevanza moltitudinaria (e questo è condizione per il perpetuarsi del capitale stesso).

Il capitale ingoia l’individuo commerciale e lo espelle da se stesso.

Ma allora perchè plaudire all’insolvenza?

Ritengo che il cognitariato abbia in sè la potenza di produrre sempre più eccedenza, tanta da non rilasciarne che una parte sempre più ridotta, e che, per vivere, pensare, divertirsi possa anche sfruttare la crisi e organizzarsi in essa.

La strutturazione (e anche la ristrutturazione) del credito è parte integrante dell’agire della singolarità che dovrà, magari con un caldo autunno, dirigere le convulsioni del capitale e la sua smania di ottenere la provvista per fare fronte a sempre nuovi scoppi di bolle.