Assemblea pubblica Martedì 12 nel salone municipale

Da Cosenza tutti a Roma il 16 ottobre

Il lavoro è un bene comune. Uniti contro la crisi

10 / 10 / 2010

La virulenza, l’inossidabilità con cui Marchionne muove i propri passi, sono frutto della determinazione della Fiat di dettare i suoi principi nei rapporti di lavoro. Regole che vogliono imporre come canone-principe del diritto del lavoro, il Profitto dell’Imprenditore, slegato da ogni vincolo produttivo, quindi Profitto che diviene Rendita pura e semplice, parassitaria: non solo si ingrassa del lavoro altrui (i produttori e/o i lavoratori) ma vuole che gli operai lo assumano come valore indiscutibile, bene imprescindibile, scopo e ragione unica e sola della vita e del lavoro.
Ogni imprenditore, nei progetti di Marchionne, dovrà cambiare le condizioni di lavoro (turni, orario, livelli di produttivita’) in fabbrica o in azienda, come se si fosse in periodo di guerra. E gli operai, i lavoratori ? fedeli all’idea dovranno fare proprio il motto dei Carabinieri: tacendo ubbidir e servendo morir. Ecco quindi che chi sciopera va sanzionato perché è un sabotatore, contro la religione del profitto/rendita del proprietario e contro la Patria che nell’impresa deve ri/conoscersi. Questo in sintesi il messaggio lanciato con il licenziamento in tronco dei tre operai di Melfi (poi riammessi dal giudice del lavoro che ha dimostrato l’illegittimita’ del tutto dell’atto unilaterale della Fiat, e che il nuovo Diritto del Lavoro che vuole Marchionne non è ancora legge dello stato).
Il ragionamento dell’efficientissimo management Fiat e di quasi tutta la Confindustria è semplice: nell’Impresa, nella vostra vita, comandiamo noi; se volete lavorare queste sono le condizioni, non trattabili; altre, qualsiasi, opzione è irricevibile. La sola risposta giusta è: sì!! Come prima del 1848, e come sempre, il ricorso all’uso della forza.
Credendo d’incarnare il verbo divino della nuova contemporaneità, che i suoi operai avrebbero accettato con entusiasmo e percentuali bulgare, Marchionne si è buttato nel famoso referendum di Pomigliano sull’ accordo (siglato pronamente e separatamente da Uil e Cisl) che prevedeva di destinare a Pomigliano per la produzione della Panda i 700 milioni di euro precedentemente destinati in Polonia. In cambio della gentile concessione Marchionne chiedeva candidamente agli operai: disponibilita’ assoluta a flessibilità (totale e non-controllabile) in quanto a numero di turni orari (fino a 18), pause ( chè tanto non servono niente), e soprattutto niente scioperi. Tacendo ubbidir e servendo morir.
E qui cominciano i problemi per il buon Marchionne, amico di Chiamparino e di Fassino: il 40% di operai ha detto No! Tutti terroristi e sabotatori di quella Fiom che si voleva sconfiggere una volta per tutte, quel sindacato di categoria ultimo residuo di una “conflittualità operaia, considerata, estrema espressione fuori tempo di quella novecentesca lotta di classe”.
All’arroganza di chi credeva di avere tutto nelle proprie mani, hanno risposto i residuali metalmeccanici, una fastidiosa interferenza nel Sistema, dichiarando la propria indisponibilita’ a vendere la propria dignita’, fossero anche 700 milioni di euro. Una bella pagina di politica.
Da qui l’appello lanciato dalla Fiom per la campagna di mobilitazione del 16 Ottobre a Roma.
Ciroma aderisce con le sue convinzioni, nella consapevolezza che non è tempo di distinguo per chi ha a cuore la ripresa del conflitto sociale nel nostro paese.
Ciroma a partire dalla preparazione della manifestazione Fiom del 16 ottobre a Roma, vuole lavorare, con quanti ne hanno volontà, al rilancio, in Italia e a Cosenza, di movimenti che rendano visibile e praticabile un’alternativa possibile allo stato delle cose presente.
Come ben diceva il compagno Marx ( e cantava Gianfranco Manfredi negli anni 70), la crisi è strutturale, sta dentro il meccanismo di accumulazione, e il riformismo non sara’ la soluzione. Essa riguarda cioè l’intero sistema capitalistico: il totem della crescita infinita che è causa della devastazione ambientale che tanti effetti produce sulla nostra vita quotidiana, i dispositivi di profitto e della produzione di denaro tramite denaro che hanno nella finanza il loro epicentro, il surplus energetico (si pensi alla Calabria che pure gia’ esportando energia, i suoi paesaggi sono stati sconvolti dalle pale eoliche) in nome del quale si vogliono porre divieti di accesso ai beni comuni come l’acqua.
Ma che cosa significa crisi? La crisi è scelta, momento di decisioni. Dipendera’ anche da noi se decidere di abbassare la testa e curvare la schiena, come ci dicono partiti, Fiat e Confindustria, o fare come gli operai di Pomigliano d’Arco, dichiarando la nostra indisponibilita’ a barattare vita contro condizioni di lavoro schiaviste e scegliendo la strada della redisstribuzione delle risorse e della ricchezza gia’ prodotta e alla portata di tutti, in un mondo più giusto, possibile e vivibile per tutti.
Per gli apologeti e i credenti nelle sorti del mercato e del capitalismo, la crisi è l’occasione per cancellare definitivamente qualsiasi tipo di ostacolo all’arricchimento di pochi a scapito e sulle spalle dei molti. Chi pensate stia pagando la crisi che stiamo vivendo? Da quali tasche i governi hanno prelevato i soldi poi stanziati per salvare banche e giri finanziari? Gli stessi che hanno determinato la crisi sono quelli che oggi dovrebbero salvarcene!!! Come è facilmente dimostrabile, è grazie alle crisi finanziarie, e alle politiche messe in atto dai governi per affrontarle, che si garantisce enormi quantità di potere e di denaro a banchieri e speculatori.
E’ crisi la progressiva instabilità dell’ approvvigionamento da petrolio e carbone che può diventare il pretesto per un generalizzato ritorno al nucleare e alle guerre come ridefinizione degli assetti internazionali.
La Crisi è frutto di un processo globale che tutto riconduce a dimensione di merce e assume significati ed utilizzi diversi a seconda di chi l’ affronta. Quando si dice che “Marchionne fa la lotta di classe”, si afferma esattamente questo: la crisi diventa per la direzione della Fiat l’opportunità di rafforzare il proprio potere, annullando l’altra parte composta da chi è costretto a lavorare dentro una fabbrica per vivere con un salario che è 400 volte inferiore di quello di chi dirige. Gli effetti della crisi, quelli che sentiamo sulla pelle da Pomigliano a Melfi, dalle basi petrolifere nel Golfo del Messico, alle scuole pubbliche abbandonate a se stesse e alle università senza finanziamenti, dallo smantellamento del welfare alla privatizzazione dell’acqua, sono in realtà il prodotto preciso dell’utilizzo che della Crisi ne viene fatto, ne paghiamo noi le conseguenze ma ne approfitta chi è ai vertici delle aziende, dei governi, delle istituzioni europee, delle banche su base locale e globale. La precarietà a cui siamo tutti sottoposti, noi e il pianeta, è il prezzo da pagare alla loro idea di società. In questo quadro è urgente trovare il nostro modo di “utilizzare” la Crisi, di immaginare delle vie d’uscita che per essere efficaci, devono non solo permetterci di resistere ma anche di rompere: rompere con l’ordine costituito secondo il pensiero liberista, rompere con i dispositivi di comando che cercano di introiettare, rompere con i rituali della politica di professione, rompere con le passioni tristi e immaginare un’altra società, un altro modello di consumi e stili di vita.
Pochi mesi ci separano dai dieci anni da Genova 2001. Lo “spirito di Genova”, quello che ci ha fatto stare insieme allora, tanti e diversi, per “un altro mondo possibile”, ritorna oggi ad essere indispensabile. Se ci affidassimo solo ai “conflitti” che la crisi oggettivamente provoca, potremmo avere brutte sorprese, anche tragiche: non è detto che essi non diventino guerre fra poveri, razzismo, xenofobia, individualismo. Se non ci ponessimo il problema di “ricomporre” le tante resistenze che nascono dai processi ristrutturativi in atto nella scuola, nell’università e per l’intero ciclo della formazione, nel lavoro di fabbrica e nelle nuove forme del lavoro autonomo, interinale, a chiamata, consegneremmo all’oblio o peggio alla sconfitta ognuna di queste. Allo stesso modo se non comprendiamo che la lotta contro la privatizzazione dell’acqua e per i beni comuni ci parla direttamente di un’idea di società, ivi compresa la produzione, non si riuscirà mai a cogliere la profondità di ciò che è in atto, e che appunto non è “scomponibile” in settori. Come a Genova, dobbiamo essere in grado, e questa è la sfida, di creare un piano comune finalizzato alla buona occupazione, alla validazione democratica delle piattaforme e dei contratti per tutte le lavoratrici e i lavoratori, a un reddito d’esistenza, ad un’idea di convivenza urbana in cui l’approccio ecologico non sia una teoria astratta ma serva a progettare un nuovo modo di produrre, vivere e coabitare, alla concezione del lavoro non inteso come un generico “valore” ma si riempia di concretezza, affrontando di volta in volta le sue condizioni e i suoi esiti sulla vita di chi lo compie e sull’ambiente sociale e naturale che lo circonda.
Ricomporre non significa, dunque, fare la sommatoria. Vuol dire invece produrre nuovi paradigmi attorno ai quali creare un immaginario che descriva la nostra idea di società, contrapposta a quella delle classi dominanti. Solo la forza di questo processo di movimento e in movimento, può rende forti e possibili tutte le battaglie che abbiamo di fronte.
Su questi presupposti, noi ci sentiamo, al di là di ogni singola appartenenza, di lanciare un appello a tutti singoli individui, dagli studenti ai migranti, dai ricercatori agli ambientalisti, da chi lotta per il diritto alla casa e contro le speculazioni fondiarie a chi si batte contro la crisi climatica, a coloro che vivono lo sfruttamento delle vecchie e nuove forme del lavoro, ai comitati a difesa dei beni comuni fino alle realtà che si mobilitano a difesa dei diritti umani e contro la guerra, affinchè uniti si possa trovare forza e visibilità. Uniti contro la Crisi, essendo la Crisi che viviamo frutto delle scelte di chi comanda e allo stesso tempo la condizione comune da cui tutti partiamo per costruire qualcosa di diverso, migliore.
Assemblea pubblica Martedì 12 ottobre 2010
Salone di rappresentanza del Comune di Cosenza ore 17:30
LA CIROMA

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12/10/2010 17:00 > 12/10/2010 19:30