Cura e lavoro sociale: un legame inscindibile per una società più giusta

Venerdì 17 febbraio l'Associazione Maranathà di Cittadella (PD) ha organizzato un convegno dal titolo "La cura del lavoro sociale", in cui sono emerse prospettive e riflessioni a partire da chi quotidianamente lavora con la fragilità.

6 / 3 / 2023

In questi ultimi anni abbiamo sentito sempre più spesso parlare di “cura”, un termine che è stato declinato in modi diversi e spesso ambivalenti, ma che sta iniziando ad assumere una valenza sempre più sociale e politica. Ma come il tema della cura, del lavoro e della cooperazione possono essere coniugati a partire da una visione che ambisca a costruire una società più giusta ed equa? Che importanza assume in questo il “terzo settore”, termine anche questo utilizzato spesso in modo fuorviante.

Venerdì 17 febbraio la Biblioteca comunale di Villa Riva a Cittadella (PD) ha ospitato il convegno “La cura del lavoro sociale”, in occasione del quarantesimo anniversario dell’Associazione Maranathà, che si occupa di realizzare progetti di accoglienza e di esperienza comunitaria nel territorio locale per supportare le famiglie in particolari condizioni di fragilità.

Ad aprire l’incontro intervengono il presidente della Rete Maranathà che, oltre all’associazione omonima, comprende anche la Fondazione La Grande Casa e la Cooperativa Sociale IM.PRO.N.TE. Lo scopo della collaborazione è quello di promuovere una cultura dell’accoglienza, in contrasto alle ingiustizie economiche e sociali, ed è perseguito mediante un gruppo eterogeneo di volontari, educatori, operatori, che dedicano il loro tempo e lavoro alla missione assistenziale. La valorizzazione del lavoro di cura è un elemento necessario per raggiungere l’obiettivo che reteMaranathà, insieme ad altre associazioni operanti in tutta Italia, come il Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti (CNCA), si propongono: esiste una dialettica inscindibile tra cura e futuro, per cui solo veicolando le risorse umane ed economiche adeguate al lavoro di cura, sarà possibile costruire un futuro con le migliori opportunità di vita per le nuove generazioni.

A partire dall’etimologia latina della parola “cura”, che rimanda a un interessamento solerte, premuroso, gli oratori definiscono le linee guida per intervenire a livello sociale, politico, professionale, e di programmazione dei servizi, in modo da ridefinire il ruolo dei professionisti che operano in questo ambito. Perché se il lavoro di cura è relazione, è anche vero che un’affermazione di questo tipo risulta riduzionistica: il compenso non può essere inteso solo in termini di gratificazione derivante dal rapporto tra operatore e utente, dall’offerta altruistica di aiuto, ma emerge la necessità di una retribuzione adeguata alle energie e al tempo effettivamente investiti.

È evidente oggi che la disparità di trattamento economico tra i professionisti che svolgono funzioni di cura in contesti diversi incrocia la responsabilità pubblica e la capacità di allocazione delle risorse allo scopo degli aumenti stipendiali. Anche il terzo settore però condivide parte di questa responsabilità: si selezionano candidati con determinate caratteristiche, che confermano lo stereotipo per cui il lavoratore sociale è di fatto un volontario. A livello teorico si mira al riconoscimento professionale, ma nella prassi si assumono solamente persone che svolgono tirocini o stage gratuiti, o che non hanno esigenza di lavorare, con caratteristiche biografiche, di curriculum esperienziale, storia e valori specifici, con la risultante invalidazione di questo tipo di professionalità.

L’azione politica passa anche attraverso la ridefinizione e l’aggiornamento della narrazione del lavoro di cura. La narrazione che comporta una visione distante dalla realtà e dal senso del lavoro di cura è uno degli impegni politici. Tra i presenti, Marco Tuggia, pedagogista fondatore di Dedu – Digital Education, sottolinea la dissonanza esistente tra la percezione che gli operatori hanno di sé, e il pensiero del senso comune. Secondo Tuggia la popolazione in media pensa che destinare fondi alle persone vulnerabili sia una sottrazione di denaro che dovrebbe essere usato per altro. L’emozione prevalente è la rabbia, che predispone a una reazione collettiva di rifiuto e disprezzo. Questo atteggiamento diffuso ha poi un corrispettivo sul piano professionale: attualmente i contratti di lavoro degli operatori sono precari, legati ai bandi, ai finanziamenti, con flessibilità oraria, scarso riconoscimento sociale e una retribuzione inadeguata. Come conseguenza si assiste a un alto tasso di turnover, associato alla carenza di personale medico, sanitario, sociale, data l’assenza di sicurezza legata al mondo del lavoro di cura. Moreno Giacomazzi, sindaco di Santa Giustina in Colle e presidente del Comitato dei Sindaci ex Azienda U.L.S.S. n. 15, rileva il supporto spesso carente del mondo politico dinnanzi alle problematiche sollevate dagli operatori, coerenti con le esigenze del territorio. Lo scopo ultimo dovrebbe essere la prevenzione, e non la gestione dell’emergenza, che rappresenta l’ultimo tentativo di far fronte a una situazione ormai degenerata in assenza di strumenti efficaci.

Il messaggio dell’incontro di è stato chiaro: riconoscere l’importanza del lavoro di cura e del terzo settore, il cui operato non è stato fondamentale solo negli anni della pandemia da COVID-19, ma continua ad esserlo tutt’ora per risollevare le sorti di persone, giovani e famiglie in condizioni di maggiore fragilità, in un’ottica di prevenzione, in contrasto alle ingiustizie sociali e disuguaglianze.