Cronaca da Ventimiglia: diario dall'ultimo valico

8 / 4 / 2011

Sono passate solo due settimane da quel lunedì. Quando siamo arrivati li abbiamo trovati lì, nella sala d'aspetto della stazione. Stanchi, acciaccati, sporchi. Vivevano nell'indifferenza di chiunque, dei passanti, dei ferrovieri, delle istituzioni. Solo due blindati di carabinieri (appena fuori la stazione) erano il chiaro segnale che nella calma città di confine non procedeva tutto come al solito. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo iniziato a praticare la poca assistenza umanitaria che potevamo. Eravamo un po' stupiti che ad occuparci della refezione dovessimo essere noi, non lo stato. Noi, La talpa e l'orologio, con il nostro piccolo centro sociale di provincia, e la cgil, la spes, l'auser e gli amici del circolo arci Hantala; la società civile. Si fecero due giorni di pasti e iniziammo a conoscere alcuni migranti. Ci hanno mostrato dignità, tenacia,  educazione. Non gradivano le telecamere del circo mediatico che hanno provato a riprenderli mentre mangiavano i primi bocconi dopo giorni di digiuno. Insieme abbiamo pulito il piazzale dopo i pasti ed insieme abbiamo parlato del loro futuro. La Francia era l'obbiettivo: il posto dove hanno parenti ed amici. Il numero non si alterava (intorno alle centocinquanta persone), ma le facce del lunedì non erano più quelle del martedì.  L'idea più plausibile: “nonostante i respingimenti francesi siano costanti stanno passando”.

Tutti insieme convochiamo un corteo per il sabato seguente. Il risultato è sorprendente: vengono compagn*, amic* da Genova, Alessandria, Milano e Bergamo. I migranti sfilano con noi. Cinquecento persone declamano all'unisono l'inutilità delle frontiere e le prevaricazioni che di fatto comportano, “di frontiere non ne vogliamo più, colpo su colpo le butteremo giù”. Siamo in cinquecento, e per un corteo organizzato in una settimana in una piccola città di trentamila anime è una mobilitazione enorme.  La solidarietà arriva nonostante due giorni prima del corteo l'emergenza accoglienza rientri grazie al centro che il prefetto fa aprire nella vecchia caserma dei pompieri. Andiamo lì tutti i giorni, ci diciamo che non deve diventare un C.I.E e che bisogna essere vigili. Parliamo con i ragazzi. Khalid (il medico della nostra carovana sociale) traduce arabo e italiano senza sosta. Alcuni insultano Ben Ali, altri Sarkozy. Anche Berlusconi non ne esce beatificato. Dicono che la colpa del loro regime è imputabile all'occidente. Un ragazzo con gli occhi gonfi di sonno vuole tornare in Tunisia...”Questa non è l'Europa che immaginavo”, dice. Ci mostrano i documenti, molti hanno il foglio di respingimento francese (quelli a cui lo s-valico non è riuscito), altri hanno fogli di via da clandestino dai commissariati di Imperia, Viterbo e Roma. La mattina escono dal centro, passeggiano, provano a forzare il confine. Le voci corrono veloci e alcuni provano a fare il passo dei briganti, il passo della morte. Sentieri montani il cui nome è più cattivo di quanto siano in realtà. I ragazzi non si fanno intimorire. La notte si aggirano “passeur”, fanno la spola tra la stazione ed il centro. La Francia costa dai cento ai cento cinquanta euro, e in un attimo ti infilano in un bagagliaio verso Mentone. Molti di quelli che si allontanano la mattina la notte non ci sono più.

Oggi, e tutto questo è accaduto in solo due settimane, la gestione del centro di accoglienza è passata nelle mani della croce rossa militare. I migranti continuano ad andare e venire liberamente dallo spazio, anche se noi (volontari non istituzionalizzati) iniziamo ad incontrare qualche difficoltà all'ingresso, non siamo più i benvenuti (da parte delle istituzioni e non dei migranti naturalmente). Così incontriamo i ragazzi in una stanzetta della stazione che la cgil trasporti ha messo a disposizione per svolgere l'assistenza legale. Il decreto per i permessi temporanei ha sparso buon umore, anche se è viziato da molte cavillosità. Notiamo da subito che alcuni possiedono fogli del commissariato in cui si spiega che bisogna ritirare il permesso nelle questure in cui si è stati fermati la prima volta: la maggior parte a Bari. Come fanno ad andare fino a bari senza un soldo? Come fanno da lì a ripartire per la l'agognata Francia? Basterà comunicare tutto emettendo un fax? La burocrazia deflagra. Gli avvocati stanno arrivando da Genova e noi continuiamo a raccogliere documenti. Davanti alla stanzetta si formano piccole file, offro sigarette. Ci sono alcuni di quelli che sabato erano al corteo, sorridono e mi danno la mano. Uno di loro mi dice che è riuscito ad andare in Francia, con il treno, che ha visitato Nizza in lungo e in largo, ma alla sera lo hanno preso e poi “spedito”come diciamo qui. Un altro parla italiano perfettamente. Non ricordo neppure un nome e questo mi fa rabbia, ne sento troppi, sempre nuovi, sempre diversi.  “Ho provato a passare tre volte col treno” mi spiega “sempre respinto...I francesi salgono e controllano...Con me sono stati educati, ma con altri meno” continua “Molti sono passati e voglio farcela anche io, io so italiano, francese e arabo...ho studiato e voglio lavorare” indica il treno “Vedi...A Milano è pieno e stasera arriveranno in tantissimi, tutti via da Manduria, tutti vogliono aspettare il permesso qui per andare in Francia”. Tra la fila c'è un minorenne.

Dopo due ore arriva l'ultimo bus navetta per il centro di accoglienza.

Ci salutiamo tutti. “A domani” mi dice qualcuno.

Francesco Scopelliti - Csa La Talpa e l'Orologio Imperia