Quando davanti ad una richiesta d'aiuto per far fronte ad uno sfratto imminente, l’unica soluzione proposta è quel "ti paghiamo il biglietto per tornare al tuo paese", il tema del reinserimento nel Paese d’origine
rischia di suonare ancora come una mera provocazione.
Il rimpatrio volontario, più o meno assistito, dopo un decennio di
lavoro in Italia, con i figli che frequentano le scuole ed un credito
di contributi accumulati che hanno mantenuto in pareggio le casse
dell’INPS, rischia di sembrare semplicemente un modo per scrollarsi di dosso problemi
che con la crisi sono stati scaricati su welfare e diritti.
Via dall’Italia
Certo è però che, fuori da ogni retorica e non solo legato ai programmi
di rimpatrio assistito, il fenomeno dell’abbandono dell’Italia da parte
di molti cittadini stranieri è all’ordine del giorno.
Non sempre si tratta di una scelta forzata. O meglio, spesso, sempre di
più, ripartire risulta essere una strategia per affrontare una crisi
che per primi colpisce proprio i cittadini stranieri.
D’altro canto non è una novità il fatto che chi intraprende la strada
della migrazione porti spesso con sé, almeno nella fase iniziale del
percorso, il pensiero e la speranza di tornare un giorno nel paese che
ha lasciato per godere i frutti del "sogno europeo".
Se ci limitassimo allora a quella miserabile frase pronunciata con
spietatezza tra le mura di quache ufficio comunale, rischieremmo di
guardare alle "migrazioni" da una angolazione un pò troppo ristretta.
E’ fuori da ogni dubbio che nulla è più vergognoso della cancellazione
del welfare e dei profili discriminatori che caratterizzano la
distribuzione delle briciole che vi rimangono, ma non è certo questo che
può impedirici di guardare a ciò che sta avvenendo con la voglia di
scoprirne gli inediti risvolti.
A restituire la
giusta dimensione ed una prospettiva meno ancorata ad una visione
eurocentrica del fenomeno, quella che racconta di una migrazione uniderizionale verso l'Europa, unica meta di chi lascia altri continenti, contribuiscono i dati sulla mobilità globale che vedono circa 250 milioni di persone spostarsi solo all’interno della
Cina e numeri altrettanto spaventosi di spostamenti interni al
continente africano. Questo per dire che i tempi e gli spazi della
mobilità non sono certo definiti una volta per tutte ed il ritorno, così
come la ripartenza, vanno collocati all’interno di questo incessante e
poderoso movimento di persone che, tra le altre cose, restituisce anche
la giusta dimensione ai piccoli numeri italiani.
Il ritorno non è più un tabù
Proprio la scorsa settimana Vladimiro Polchi dalle pagine di Repubblica e Cinzia Gubbini da quelle di Cronache di ordinario razzismo hanno aperto il dibattito sul tema dei "ritorni".
L’occasione è stata la presentazione della campagna per i programmi di
rimpatrio assistito iniziata dalla rete RIRVA-ritornare per
ricominciare. A pochi giorni di distanza contribuiscono ad aggiungere un
tassello importante a questo mosaico i dati forniti dal Ministero del
Lavoro sulla disoccupazione degli stranieri residenti e le
trasformazioni delle loro tipologie occupazionali.
Il
progressivo aumento tendenziale della disoccupazione dei cittadini
stranieri, accompagnato da un parallelo aumento della stipula di forme
contrattuali "precarie", disegnano in maniera piuttosto lampante lo
scenario dentro al quale prende forma la scelta di intraprendere un
nuovo progetto altrove.
Sbagliato sarebbe infatti
leggere ciò che sta accadendo (un aumento pari almeno a 5 volte rispetto
al 2012 di chi accede a programmi di rimpatrio) ancora una volta come
una strada imposta, frutto di una lineare equazione tra domanda di
lavoro e "scelta migratoria", spogliata di ogni capacità di scelta
soggettiva.
Al contrario, non solo i programmi di
rimpatrio assistito ma le tante forme in cui i percorsi migratori si
rappresentano come fenomeni di circolarità, sembrano sempre più avere a
che fare con strategie e risposte che i migranti metteno in campo per
far fronte alla crisi.
La crisi ed un nuovo scenario
In ogni caso, piaccia o meno, la crisi sta producendo in maniera piuttosto evidente un nuovo scenario.
Restare, così come la scelta di tornare o ripartire, sono opzioni che
si giocano senza una gerarchia precisa, come possibilità che si
affermano anche e soprattutto di fronte alla loro utilità,
all’opportunità.
Così non è certo raro ascoltare oggi, non solo il
racconto della "proposta indecente" dell’ufficio casa di turno, ma anche
la riflessione di chi, dopo l’ennesimo cambio d’appalto nella
logistica, a fronte del licenziamento per la chiusura dell’azienda, o
davanti all’opzione di accettare ancora il ricatto dell’ennesimo contratto
precario, ha maturato l’idea che il suo progetto di vita vada ripreso lì,
in quella terra che anni prima aveva lasciato, reinvestendo il
gruzzoletto accumulato con liquidazioni e trattative in una nuova
attività o semplicemente rigiocando altrove idee e competenze accumulate
durante la permanenza in italia.
Allo stesso tempo si
afferma in maniera sempre più importante la spinta verso la migrazione
interna all’Eurozona. Chi lascia l’Italia per cercare di meglio altrove
guarda alla Germania, al Regno Unito o alla Francia, combinando esigenze
linguistiche con l’idea di raggiungere quei paesi dove, percezione o
realtà, la crisi ha impattato in maniera meno violenta sul mercato del
lavoro.
Non sempre si tratta di un fallimento del percorso
migratorio. Certo, in molti casi la scelta è dettata dall’incapacità del
"nostro" Paese (lo stesso si sta verificando guarda caso anche in
Spagna) di offrire opportunità e diritti a causa dell’infernale
combinazione tra politiche del mercato del lavoro e normativa
sull’immigrazione. Sono sempre più frequenti i casi di disgregazione
familiare, con parte dei nuclei che temporaneamente o in via definitiva
si dividono in attesa di tempi migliori. Ma altrettanto spesso
ripartire, per tornare o per raggiungere altre mete, è semplicemente una
nuova tappa di un percorso che viene da lontano e che fa i conti con la
sua stessa natura: sogni, desideri, ambizioni che di volta in volta si
riformulano di fronte alla realtà.
In molti
nonostante tutto scelgono di rimanere. Spesso le famiglie con figli in
età scolare avanzata faticano a sradicare (giustamente) i ragazzi dal
territorio in cui sono cresciuti e magari anche nati. Così come la
crescita di nati in Italia ed in generale la presenza di stranieri
generalmente più giovani dei lavoratori italiani, impongono al mercato
del lavoro di fare i conti con una generazione la cui prospettiva
lavorativa è molto più lunga e disinvolta della precedente. Ma l’opzione
del ritorno o della ripartenza, talvolta, per chi non è ancorato a
questi legami o non ha di fronte a sé questo orizzonte, rappresenta una
carta in più da giocare che forse gli "indigeni" guardano con un pizzico
di invidia e certo con meno coraggio di chi ha già nella sua biografica
la scelta della migrazione.
Ancora la mobilità a confronto con i confini
Se non si tratta di un fallimento del progetto migratorio, non è neppure la fine dei tentativi di imbrigliare i percorsi della mobilità. Come chi resta, anche chi decide di ripartire o tornare, non si sottrae all'inaggirabile nodo delle gabbie normative, delle limitazioni alla libertà di circolazione, dello sfruttamento per il profitto.
Inutile
dire che il sogno di raggiungere altri Paesi europei rischia di
infrangersi contro le barriere che l’Europa di Schengen mantiene ancora
ben strutturate al suo interno. Chi è titolare di un permesso rilasciato
da uno Stato Membro non ha che il diritto di attraversare gli altri
stati o soggiornarvi per brevi periodi che non possono superare i 90
giorni, ovviamente senza la possibilità di svolgere attività lavorativa:
Né il permesso CE per lungo soggiornanti (la vecchia carta di
soggiorno), né la tanto sbandierata European Blue Card, hanno dato
risposte all’esigenza di libera circolazione dei migranti all’interno
dell’ Europa, regalando ad ogni Stato, ancora, la possibilità di erigere
frontiere e vincoli: di fatto ovunque applicati.
Ma
anche il conto di chi prende la strada del ritorno verso il Paese d’
Origine rischia di essere salatissimo. Ad esclusione dei pochi paesi che
hanno sottoscritto accordi bilaterali in materia pensionistica
(Tunisia, Algeria e Marocco), chi abbandona l’Italia potrà contare sulla
restituzione (forse) del suo credito contributivo solo al
raggiungimento dell’età pensionabile, mentre i soldi versati nelle casse
dello Stato con tasse e contributi, insieme a quelli degli altri
stranieri residenti in Italia, permettono ancora all’INPS di pareggiare
ancora i conti della previdenza.
Lo spazio Euromediterraneo
Sullo sfondo rimane invece lo sconvolgimento che la crisi dell’Europa
propone anche alle traiettorie dei percorsi migratori. Crisi,
circolazione europea, percorsi di ricollocazione nei Paesi d’origine,
disegnano di fatto una nuova mappa dei percorsi migratori e con essa, un
nuovo spazio, quello Euromediterraneo, su cui ricollocare la questione dell'esercizio del diritto di scelta.
Di nuovo c’è che, in
maniera meno residuale del passato, migliaia di migranti affrontano la
crisi riattingendo a quella spinta di cambiamento che un tempo li aveva
incoraggiati a partire. Bene o male che sia è la realtà. A meno che il
nostro non sia il semplice grido disperato che chiede loro di restare,
così come diceva quell’ormai famosa frase comparsa su un muro di
Genova..."immigrati, non lasciateci soli con gli italiani"....
Nicola Grigion