Coronavirus e cambiamento climatico: due crisi che l’umanità deve affrontare insieme

20 / 3 / 2020

Un commento di Andrew Norton, direttore dell’International Institute for Environment and Development, sulla relazione tra crisi ecologica e andamento della pandemia di Covid-19, scritto per Climate Change News e tradotto per noi da Anna Viero.

Il virus potrebbe portarci a comprendere più a fondo i legami che ci uniscono tutti a livello globale. Potrebbe aumentare le nostre possibilità di affrontare la crisi climatica.

In seguito all’epidemia del coronavirus, aumentare la consapevolezza della nostra interrelazione potrebbe aiutare ad aumentare la consapevolezza degli enormi cambi a livello normativo e comportamentale necessari per affrontare la crisi climatica.

Coronavirus: l’OMS dichiara la pandemia. Enorme impatto globale nel 2020 su salute e benessere, ma anche su società, economia e politica.

A questo punto vale la pena analizzare a fondo il possibile impatto della pandemia sul cambiamento climatico e sulle azioni per il clima, a livello di emissioni, politiche nazionali e globali e di cambiamento sociale.

Il calo delle emissioni globali causate dal coronavirus sarà un riflesso dell’intensità del suo impatto nell’attività economica mondiale.

Alcuni rapporti hanno già dimostrato come le misure per contenerlo abbiano portato a ridurre le emissioni in alcuni dei principali settori industriali della Cina fino al 40%, il che avrebbe con tutta probabilità eliminato un quarto o più delle sue emissioni di CO2 totali a partire dal mese di febbraio.

Ovviamente, da un punto di vista puramente ambientalista, un calo delle emissioni non è un fatto negativo. Ma quello che conta in termini di azioni significative volte ad affrontare la crisi climatica è un cambio strutturale e duraturo, in particolare una sostituzione il più immediata possibile dei combustibili fossili in tutti i settori.

Una riduzione temporanea delle emissioni nel 2020 potrebbe portare a illuderci che le emissioni globali stiano diminuendo in maniera stabile, quando invece non è vero. Un calo delle emissioni globali indotto dal coronavirus avrà un impatto ben poco significativo nella lunga durata.

La pandemia, se mal gestita, potrebbe succhiare via le energie dall’azione pubblica e dalle politiche pubbliche a causa della diminuzione del benessere.  

I governi dovranno offrire degli incentivi a lungo termine per sostenere quelle economie che soffrono l’impatto del coronavirus.

Un modo potrebbe essere quello di finanziare elementi di transizione ecologica, creando così dei posti di lavoro. Aiutare le economie e le società che faticano a riprendersi e iniziare il passaggio verso un futuro con meno emissioni è un modo per soddisfare i bisogni sociali sia nel breve che nel lungo termine.  

I governi devono rispondere in modo pronto ed efficace al coronavirus e questo, nell’immediato, potrebbe distogliere l’attenzione e dirottare risorse dalla crisi climatica.

Tutte le nazioni devono impegnarsi di più per il clima in modo da arrivare pronte alla conferenza sul clima di Glasgow a novembre. Adesso focalizzarsi sul coronavirus è necessario, ma ciò non deve distogliere l’attenzione dagli investimenti sulle azioni per il clima, altrimenti si sprecherebbe tempo prezioso per creare slancio in vista della Cop26.

La pandemia potrebbe anche colpire la capacità dei movimenti sociali di organizzarsi per richiedere azioni per il clima. Quando queste voci non possono più farsi sentire negli spazi pubblici, i politici devono ascoltare in altri modi e ricordarsi che la preoccupazione pubblica non è svanita.

Il coronavirus sta già avendo un impatto su una serie di incontri preparatori fondamentali affinché la conferenza sul clima di Glasgow raggiunga i suoi obiettivi: l’impegno delle nazioni più ricche a ridurre significativamente le emissioni, e un aumento dei finanziamenti per il clima, in modo da supportare una transizione a basse emissioni e la resilienza nelle nazioni più povere.

Con lo scorrere del tempo, alcuni importanti incontri mondiali, come gli intersessionali che sarebbero programmati per giugno, potrebbero dover essere cancellati, posticipati oppure svolti per via telematica.

Anche nel caso in cui la Cop26 si potesse svolgere come previsto, potrebbe essere andato perduto molto tempo destinato ai lavori preparatori. Il rischio più grande è che venga annullato l’intenso programma di attività diplomatiche che la precede.

Il vertice UE-Cina di settembre ad esempio potrebbe essere fondamentale per persuadere la Cina ad adottare un atteggiamento più ambizioso nella riduzione delle emissioni. Anche se venisse svolto normalmente potrebbe essere più difficile ottenere un risultato se gli incontri preparatori venissero sospesi.

Se le organizzazioni internazionali riuscissero a imparare a gestire questi procedimenti in maniera efficace ed egualitaria utilizzando meno l’aereo per spostarsi potrebbe uscirne qualcosa di positivo. Ma c’è il rischio reale che le nazioni più povere vengano private del diritto di voto se il passaggio agli incontri telematici non dovesse essere affrontato tenendo in mente l’uguaglianza nel diritto di parola.

Sia semplici problemi di larghezza di banda e qualità degli strumenti a disposizione, sia difficoltà nell’accedere ai processi di pianificazione degli incontri virtuali potrebbero contribuire a emarginare le nazioni più povere.

L’International Institute for Environment and Development lavora a stretto contatto con il gruppo dei Paesi meno sviluppati nel campo delle negoziazioni climatiche e monitorerà se la propensione agli incontri virtuali possa compromettere la possibilità di queste nazioni di far sentire la propria voce. Si tratta di un’area in cui un utilizzo intelligente e sveglio di un finanziamento climatico relativamente piccolo potrebbe fare davvero la differenza.

É necessaria un’azione urgente sia nei confronti della pandemia che della crisi climatica. Forse l’imminenza del coronavirus renderà più facile trovare quest’urgenza.

In molte nazioni ricche (ma in poche tra quelle più povere) la minaccia della crisi climatica non viene percepita come incombente. Ma anche le politiche di azione sono molto diverse.

Nel caso del coronavirus non ci sono lobby che traggono un beneficio diretto dal promuovere l’inazione o un rinvio all’azione, come l’industria dei combustibili fossili nel caso della crisi climatica. Certamente non abbiamo solo a che fare con caratteristiche teoricamente innate della percezione umana: anche le politiche e gli interessi personali giocano la loro parte.

Forse la pandemia porterà a dei cambiamenti che renderanno la società più propensa ad agire per la crisi climatica nel lungo termine.

Aumentare la consapevolezza della nostra interrelazione, del fatto che la salute dell’altro è un problema comune, potrebbe aumentare la comprensione che la compassione e l’empatia sono tratti funzionali per l’umanità.

Accettare la necessità di fare sacrifici e rispettare le restrizioni, sia per il bene comune che per la propria salute personale, potrebbe aiutare ad aumentare la consapevolezza che per affrontare la crisi climatica sono necessari degli enormi cambi sia a livello normativo che comportamentale.

Forse si tratta di una pia illusione, ma i valori non cambiano in modo lineare e i momenti di crisi possono anche essere sfruttati come opportunità di cambiamento.

La portata della pandemia del coronavirus a livello globale è ancora sconosciuta, e le possibilità sono difficili da cogliere appieno. Porterà sicuramente dei grossissimi problemi tecnici per l’azione climatica e potrebbe rendere più complesso il raggiungimento dei principali obiettivi entro la Cop26 di novembre.

Ma nel lungo termine, se ci porta a comprendere più a fondo i legami che ci uniscono tutti a livello globale, potrebbe aumentare, invece che diminuire, le possibilità che l’umanità affronti la crisi climatica.