Cop21. I limiti della conservazione di un sistema

In attesa del documento finale di Cop21 vengono confermati tutti i limiti della Conferenza di Parigi rispetto ad un cambiamento reale

11 / 12 / 2015

L'accordo perde pagine. Dalle 55 compilate nella riunione preliminare alla Cop21, siamo arrivati in prossimità del traguardo (il testo definitivo dovrebbe essere approvato entro domani a mezzogiorno, salvo ulteriori imprevisti) con solo 27 pagine. Il che non è necessariamente una buona notizia. Un certo “smagrimento” dell’accordo era necessario ed inevitabile. In fondo, il summit parigino è stato organizzato proprio per mettere d’accordo i tanti Governi su un testo condiviso capace di vincolare gli esecutivi a mantenere l’economia entro determinati binari di sostenibilità, o meglio di “non troppa devastazione”, climatica.

Il rischio è che l’accordo resti solo una bella carta di intenti, senza nessun potere sanzionatorio e priva di qualsiasi capacità di incamminare il mondo lungo quella strada che rimane l’unica davvero in grado di salvare il pianeta, così come noi lo conosciamo: ribaltare l’attuale “economia predatoria” in una economia slegata dalla finanza, a misura d’uomo e di ambiente.

Non è un caso che nessuno dei ministri presenti a Parigi metta in discussione l'articolo 2 del testo che fissa la soglia di aumento della temperatura "ben al di sotto dei 2 gradi”, possibilmente entro al soglia del grado e mezzo.

Il problema sta in tutti gli altri articoli che dovrebbero spiegare “come” rimanere entro questo limite! Un po’ come impegnarsi a debellare la fame, la guerra e le ingiustizie sociali senza spiegare come, e, soprattutto, senza sognarsi di mettere in discussione l’ordine costituito. Un traguardo utopistico. Esattamente come molti commentatori hanno giudicato il limite del grado e mezzo auspicato dall’articolo 2.

Motivi del contendere, e del conseguente ritardo nell’approvazione del documento, è soprattutto la parte finanziaria. Ovvero come e quanto compensare i danni ambientali irreversibili causati dai cambiamenti climatici. Oppure, se preferite, quanto i Paesi ricchi debbano dare ai Paesi poveri per poter continuare a comportarsi come si comportano adesso.

C’è anche da dire che molti Paesi cosiddetti “in via di sviluppo” si sono avvicinati alla Cop21 solo con la mera intenzione di ottenere più finanziamenti possibile e vedono di traverso qualsiasi vincolo legato ad uno “sviluppo” diverso da quello che, ahimé, ammirano guardando verso i Paesi europei o nordamericani.

E che siano proprio coloro che hanno causato la crisi climatica (oltre che quella economica che le cammina a fianco) a salire sul pulpito per dare lezioni su come si deve fare economia pulita, è una cosa non priva di sarcastiche contraddizioni.

Dopo i finanziamenti, il secondo punto critico è quello delle sanzioni. Senza “multe” non c’è normativa che tenga. Tanto nella circolazione stradale, quanto negli accordi transnazionali. Non è un caso che la Cina, che se ne è stata buona a zitta per tutto il vertice, sia saltata come una tarantolata e abbia alzato barricate appena è stata prospettata l’ipotesi di una revisione sanzionatoria quinquennale dei risultati ottenuti nell’abbattimento delle emissioni e sul rispetto dei vincoli dell’accordo. Il che la dice tutta sulla volontà del Governo comunista cinese di spendersi a difesa del clima.

Ultima menzione al merito per il governo dell’Arabia Saudita. Gli emiri nutrono verso il clima lo stesso delicato sentimento che nutrono nei confronti delle donne, degli oppositori politici e dei diritti in generale. I portavoce del Regno saudita se ne sono usciti per tutto il vertice con affermazioni pubbliche atte a screditare come “nemica dell’ambiente” l’ipotesi di un azzeramento, anche a lungo termine, delle emissioni imputabile all’uso dei combustibili fossili.

Finanziare gli integralismi servirà anche a fare ulteriori profitti con il petrolio, ma non a farlo ricomparire nei pozzi che si stanno esaurendo. Non mancano troppi decenni che non ne avranno neppure per riempirsi il serbatoio della Rolls Royce. 

*** Riccardo Bottazzo, giornalista professionista di Venezia. Si occupa principalmente di tematiche ambientali e sociali. Ha lavorato per i quotidiani del Gruppo Espresso, il settimanale Carta e il quotidiano Terra. Per questi editori, ha scritto alcuni libri tra i quali ”Caccia sporca“, “Il parco che verrà”, “Liberalaparola”, “Il porto dei destini sospesi”, “Cemento Arricchito”. Collabora a varie testate giornalistiche come Manifesto, Query, FrontiereNews, e con la campagna LasciateCiEntrare. Cura la rubrica “Voci dal sud” sul sito Meeting Pot ed è direttore di EcoMagazine.