Cop 15: un vertice fallito

17 / 12 / 2009

Trascrizione di una parte dell'intervento audio.

Ieri è stata una giornata straordinaria dal punto di vista dei movimenti perché non era semplice viste le condizioni create dalla polizia, dalla gestione politica di questo vertice.

Un vertice fallimentare anche per la gestione della polizia.

Un atteggiamento che fa trasparire una grande debolezza politica che emerge anche dal fallimento del vertice.

Una grande giornata perché ha saputo cogliere questo aspetto e tramutarlo, attraverso un'azione di disobbedienza di massa, in un elemento politico concreto.

Ieri non si sono avute semplicemente le azioni collaterali degli ambientalisti che protestano ma l'irruzione sulla scena di un presenza scomoda, di chi reclama il potere dal basso per distribuirlo, per dissezionarlo, per farne un elemento di valore d'uso e non di scambio anche e nonostante la durezza del trattamento poliziesco che credo metteranno in difficoltà anche il governo danese.

Un vertice fallito ma in realtà è fallita l'idea di poter proporre una governance all'interno della crisi.

Abbiamo detto spesso che la crisi climatica è il punto più alto della dinamica di crisi globale che poi informa di sé tutti i meccanismi strutturali della dimensione capitalistica mondiale e questo vertice aveva il compito di affermare un meccanismo possibile multilaterale di governance all'interno di questa crisi più generale. Un'ipotesi fallita.

Credo che si aprano enormi spazi per la disobbedienza, per i movimenti di esodo dai meccanismi del potere costituito. Si è partiti dall'idea di conferenza allargata con oltre 20.000 accreditati ma si è ritornati al vertice.

Al suo interno Cop 15 funzionava con tre “anelli” di partecipazione. Il primo era quello della partecipazione dei visitatori, sostanzialmente moltissimi attivisti di ONG e giornalisti, il secondo livello era quello “negoziatori” quindi ad esempio le grandi ONG che rappresentavano anche in qualche maniera posizioni condivise coi propri governi. Il terzo livello era quello dei negoziati ristretti ed è rimasto solo quello. Praticamente il negoziato USA-CINA, con questo ruolo della Cina che fino ad ora ha fatto la parte del pese povero, della rappresentante del G77 che racchiude quello che viene definito il Global South, tutti i paesi poveri che erroneamente sono ancora mescolati con i paesi in via di sviluppo. Dentro il G77, infatti, come paese povero c'è anche l'India che dal punto di vista capitalistico è il secondo paese al mondo.

Quindi il re è nudo, Usa e Cina decidono anche il fallimento della conferenza trasformando questa conferenza in vertice vero e proprio.

All'interno di questa crisi quindi un meccanismo di governance “istituzionale”, multilaterale, che sappia dare delle risposte non c'è.

Dall'altra parte questo significa che quello che abbiamo visto nella giornata di Reclaim Power cioè che la disobbedienza, questo elemento che si tramuta poi i dinamica costituente di un esodo possibile, quindi di pratiche, di vita, diverse, altre che esulano dall'ordine costiutito e dagli ordini impartiti ha un grandissimo spazio ed infatti viene affronatata con cattiveria, con brutalità, con arroganza ma anche con paura da questi potenti del mondo.

Foto: Ehrbahn Jacob (politiken.dk)

Luca Casarini su Cop 15 e Reclaim power 17.12.09